Tumore dell’endometrio avanzato: con dostarlimab aggiunto alla chemioterapia di prima linea rischio di progressione ridotto fino al 72%
Aggiungere l’immunoterapia con l’anti-PD-1 dostarlimab alla chemioterapia di prima linea migliora in modo significativo la sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto alla sola chemioterapia nelle pazienti con carcinoma dell’endometrio avanzato o ricorrente. Lo dimostrano i risultati di un’analisi importante dello studio di fase 3 RUBY (ENGOT-EN6-NSGO/GOG3031), appena presentati a Tampa (Florida) al congresso annuale della Society of Gynecologic Oncology (SGO) e alla Virtual Plenary di marzo della European Society for Medical Oncology (ESMO). Poche ore dopo, i dati sono stati pubblicati anche sul New England Journal of Medicine (Nejm).
Il beneficio di dostarlimab è risultato maggiore nel sottogruppo di pazienti che presentano un deficit del meccanismo di riparazione dei mismatch del DNA (dMMR) o un’elevata instabilità dei microsatelliti (MSI-H), ma si è riscontrato, ed è risultato statisticamente significativo, anche nella popolazione complessiva delle pazienti arruolate. Le analisi hanno evidenziato, infatti, una riduzione del 72% del rischio di progressione della malattia o morte nel sottogruppo con dMMR/MSI-H, mentre nell’intera popolazione tale riduzione è risultata del 36%.
Inoltre, l’analisi ad interim dei dati di sopravvivenza globale (OS) ha evidenziato un promettente trend di miglioramento anche di questo parametro nelle pazienti trattate con la combinazione di dostarlimab e la chemioterapia rispetto a quelle trattate con la sola chemioterapia.
Questi risultati rappresentano la prima conferma dei benefici dell’immunoterapia nel setting della terapia di prima linea del tumore dell’endometrio avanzato. «Si tratta della più grossa notizia per le pazienti con tumore dell’endometrio in oltre 30 anni», ha dichiarato l’autore principale dello studio, Mansoor Mirza, del Rigshospitalet dell’Università di Copenhagen. «Questi risultati hanno mostrato un miglioramento senza precedenti della PFS come risultato dell’aggiunta dell’immunoterapia alla chemioterapia standard, soprattutto in quel 25% di pazienti con dMMR, cioè con tumori endometriali cosiddetti ‘caldi’, che presentano un deficit dei meccanismi di riparazione dei mismatch del DNA».
Inoltre, ha sottolineato in conferenza stampa il coordinatore italiano dello studio, Giorgio Valabrega, Professore Associato di Oncologia Medica dell’Università di Torino, «guardando le curve di PFS, si osserva che il beneficio dell’immunoterapia probabilmente si mantiene a lungo, anche dopo che il trattamento con dostarlimab è terminato».
Forte di questi risultati, l’azienda produttrice del farmaco (GSK) intende presentare alle autorità regolatorie domanda di ampliamento delle indicazioni di dostarlimab entro la prima metà del 2023. L’anti-PD-1, infatti, è già approvato nell’Unione europea come agente singolo per il trattamento di seconda linea delle pazienti con carcinoma dell’endometrio avanzato/ricorrente con dMMR/MSI-H. Grazie ai dati dello studio RUBY, il trattamento con dostarlimab in combinazione con la chemioterapia standard potrebbe essere anticipato in prima linea.
«L’arrivo di dostarlimab, aggiunto alla chemioterapia, in prima linea significherebbe un cambio radicale della pratica clinica in un setting di malattia che finora era sostanzialmente orfano di nuove terapie efficaci», ha commentato in collegamento da Tampa, Domenica Lorusso, Professore Associato di Ostetricia e Ginecologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e responsabile della Programmazione Ricerca Clinica presso la Fondazione Policlinico Universitario ‘A. Gemelli’ IRCCS di Roma. Una volta ottenuta l’approvazione dell’Ema, ha aggiunto l’esperta, «è auspicabile che le nostre pazienti possano avere subito a disposizione questo trattamento, grazie alle varie modalità di accesso anticipato attualmente disponibili», prima di ottenere il via libera anche dall’Aifa.
Urgente bisogno di nuove terapie efficaci
Il cancro dell’endometrio è il sesto tumore più comune nelle donne in tutto il mondo, con oltre 400.000 nuovi casi all’anno. Sia l’incidenza della malattia sia la mortalità associata questo tumore, tuttavia, sono in aumento.
La malattia localizzata è curabile con la chirurgia, con un tasso di sopravvivenza a 5 anni del 96%, che scende però al 20% nelle pazienti con malattia avanzata.
Nonostante i progressi compiuti negli ultimi anni nella caratterizzazione genetico-molecolare del tumore, che hanno portato a una nuova classificazione del tumore dell’endometrio, ora suddiviso in quattro sottogruppi (fra cui quello con dMMR o MSI-H) proprio in base alle caratteristiche genetiche, il trattamento standard di prima linea per la malattia avanzata resta per ora la chemioterapia con carboplatino e paclitaxel; sebbene sia efficace in quasi il 50% delle pazienti, la maggior parte di esse progredisce entro un anno dal trattamento.
Per questo, c’è urgente bisogno di nuove terapie efficaci e grazie ai risultati dello studio RUBY, specialmente alla luce del fatto che nel trial sono state arruolate anche pazienti con istologie difficili da trattare, ha sottolineato Mirza, la combinazione dell’immunoterapia con dostarlimab più l’attuale chemioterapia potrebbe diventare un nuovo standard di cura per il tumore dell’endometrio avanzato o ricorrente.
Lo studio RUBY
Lo studio RUBY è un trial multicentrico internazionale di fase 3, randomizzato, controllato e in doppio cieco, diviso in due parti e condotto su un’ampia popolazione di pazienti con tumore dell’endometrio avanzato/ricorrente, fra cui anche pazienti con istologie spesso escluse da altri studi clinici (10% con carcinosarcoma e 20% con carcinoma sieroso).
Nella prima parte dello studio, nella quale sono state randomizzate 494 pazienti secondo un rapporto 1:1, si valuta la combinazione di dostarlimab più carboplatino-paclitaxel seguita dal trattamento con il solo dostarlimab per un massimo di 3 anni rispetto alla sola chemioterapia con carboplatino-paclitaxel più un placebo, seguita dal placebo. Nella parte 2, invece, viene testata la combinazione di dostarlimab più carboplatino-paclitaxel seguita dal trattamento con dostarlimab più il PARP-inibitore niraparib rispetto a carboplatino-paclitaxel più un placebo, seguiti dal placebo.
Gli endpoint primari della parte 1 sono la PFS, valutata dagli sperimentatori secondo i criteri RECIST v1.1, e l’OS. I risultati ora presentati a Tampa e nella Virtual Plenary dell’ESMO, e pubblicati sul Nejm, sono quelli relativi alla parte 1 dello studio.
Miglioramento significativo della PFS con dostarlimab più chemio in tutte le pazienti
I dati evidenziano che l’aggiunta di dostarlimab alla chemioterapia standard ha prodotto un miglioramento significativo della PFS sia nella popolazione con dMMR/MSI-H, che ha ottenuto il beneficio maggiore, sia nella popolazione complessiva.
Infatti, nel sottogruppo con dMMR/MSI-H la PFS mediana non ha potuto essere valutata nel braccio trattato con la combinazione di immunoterapia e chemioterapia perché troppo poche pazienti erano andate in progressione durante i 25 mesi di follow-up, mentre è risultata di 7,7 mesi nel braccio trattato con la chemioterapia e il placebo (HR 0,28; IC al 95% 0,162-0,495; P < 0,0001). Inoltre, sempre in questo sottogruppo, le pazienti non ancora in progressione e tuttora in vita dopo 24 mesi sono risultate quattro volte più numerose se trattate con la combinazione: 61,4% contro 15,7%.
Nella popolazione complessiva, la PFS mediana è risultata di 11,8 mesi nel braccio assegnato al trattamento con dostarlimab più la chemioterapia contro 7,9 mesi nel braccio di controllo (HR 0,64; IC al 95% 0,507-0,800, P < 0,0001), mentre la PFS a 24 mesi è risultata praticamente raddoppiata nel braccio sperimentale: 36,1% contro 18,1%.
Gli autori dello studio hanno poi effettuato anche un’analisi esplorativa dei risultati di PFS anche nel sottogruppo di pazienti con tumori immunologicamente ‘freddi’, cioè quelli con sistema della riparazione dei mismatch del DNA funzionante (pMRR) o con stabilità dei microsatelliti (MSS), che rappresentano circa il 70% dei casi di tumore dell’endometrio avanzato/ricorrente. Si è così osservato che l’aggiunta di dostarlimab alla chemioterapia produce un beneficio, seppur minore, anche in questa popolazione. In questo caso, infatti, la PFS mediana è risultata di 9,9 mesi nel braccio trattato con dostarlimab contro 7,9 mesi nel braccio placebo (HR 0,76; IC al 95% 0,592-0,981; P non disponibile).
«Nelle pazienti con tumori ‘caldi’ (cioè con dMMR/MSI-H) trattate con l’immunoterapia in aggiunta alla chemio, la riduzione osservata del 72% del rischio di progressione o morte è un risultato molto superiore al 50% che ci aspettavamo», ha sottolineato Mirza, «ma anche in quelle con tumori ‘freddi’ abbiamo visto un moderato effetto dell’immunoterapia sulla PFS. Potrebbe essere che la chemioterapia danneggi i meccanismi di riparazione del DNA di questi tumori in modo da renderli più sensibili all’immunoterapia».
Trend promettente di miglioramento dell’OS con dostarlimab
Questa prima analisi ad interim dei risultati dello studio RUBY ha evidenziato anche un trend clinicamente rilevante di miglioramento dell’OS per le pazienti trattate con dostarlimab in aggiunta alla chemioterapia rispetto a quelle trattate con la sola chemio.
L’OS a 24 mesi è risultata del 71,3% nel braccio trattato con dostarlimab contro 56% nel braccio placebo (HR 0,64; IC al 95% 0464-0,870; P = 0,0021) nella popolazione complessiva, mentre nella popolazione con dMMR/MSI-H è risultata rispettivamente del 83,3% contro 58,7% (HR 0,30; IC al 95% 0,127-0,699; P non disponibile) e nella popolazione con MMRp/MSS rispettivamente del 67,7% contro 55,1% (HR 0,73; IC al 95% 0,515-1,024; P non disponibile).
Questo trend di beneficio di OS è molto incoraggiante, secondo gli esperti, ma naturalmente andrà confermato con un follow-up più lungo, tenendo anche conto del fatto che nel braccio di controllo molte pazienti hanno effettuato l’immunoterapia nelle linee successive di trattamento. L’analisi, infatti, è stata condotta con una maturità dei dati solo del 33%, per cui le pazienti continueranno a essere seguite per poter effettuare una migliore valutazione di questo parametro.
Profilo di sicurezza senza sorprese
Il profilo di sicurezza e tollerabilità di dostarlimab in combinazione con carboplatino-paclitaxel nello studio RUBY è risultato generalmente coerente con i profili di sicurezza noti dei singoli agenti.
Gli eventi avversi emergenti dal trattamento più comuni (quelli con una frequenza superiore al 45%) in entrambi i bracci di trattamento, sia nel sottogruppo con dMMR/MSI-H sia nella popolazione complessiva, sono stati la nausea, l’alopecia e l’affaticamento, nonché l’anemia nel braccio di controllo del sottogruppo con dMMR/MSI-H.
Riguardo agli eventi avversi immuno-correlati, i più frequenti sono risultati quelli di tipo endocrino (15,8% contro 3,3%) e le reazioni cutanee (14,1% contro 3,7%).
Sviluppi futuri
Oltre allo studio RUBY, vi sono altri trial in cui si stanno valutando diverse combinazioni con farmaci immunoterapici per il carcinoma dell’endometrio avanzato, fra cui anche combinazioni di immunoterapia, chemioterapia e PARP-inibitori.
Inoltre, sono in corso studi condotti su pazienti con tumori immunologicamente ’caldi’ nelle quali si sta provando a confrontare direttamente l’immunoterapia da sola, e non più in combinazione, con la chemioterapia standard.
Infine, sono già avviati anche trial nei quali si sta valutando l’immunoterapia in pazienti con tumore dell’endometrio in stadio iniziale.
Bibliografia
M.R. Mirza, et al. Dostarlimab for Primary Advanced or Recurrent Endometrial Cancer. New Engl J Med 2023; doi: 10.1056/NEJMoa2216334. https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2216334