In prima visione Tv su Rai 5 “Napoli, la bella giornata”. La magia del tre (e del terzo scudetto) nel documentario di Giuseppe Sansonna
Napoli fa perdere la cognizione del tempo. Soprattutto al culmine di un’attesa smisurata. Trentatré anni passati, per poter scrivere tre. Il numero perfetto, come un terzo scudetto. Una sospensione destinata a sovrapporsi, alle attese eterne di cui vive la città. Lo racconta il documentario di Giuseppe Sansonna “Napoli, la bella giornata”, in onda domenica 4 giugno alle 22.00 su Rai 5.
Aspetta da sempre, Napoli. Che la nottata di Eduardo passi davvero, cedendo il posto alla sospirata bella giornata di Raffaele La Capria. Che il Vesuvio si dimentichi di essere un vulcano, rassegnandosi a rimanere solo lo sfondo di una cartolina. Che finisca persino il sortilegio dolce e amaro di Maradona. Ultimo viceré vittorioso, napoletano d’argentina, amore tossico fin troppo aderente a certe viscere napoletane. Ricordo così ingombrante da riuscire a tenere in ostaggio l’immaginario cittadino.
Con la morte recente, e la definitiva trasfigurazione nel mito, El pibe de oro sembra però deciso a riportare Napoli al posto che le spetta. In Paradiso. Per la prima volta in quarant’anni di calcio moderno, vince lo scudetto una società attenta ai conti, senza firmare cambiali da bancarotta, ma addirittura guadagnandoci almeno una cinquantina di milioni. E senza avere le spalle coperte da un colosso industriale, una multinazionale, un fondo internazionale, un magnate o un mecenate. Tra gli intervistati: filosofi politici, fotografi, uomini di scienza e di lettere, calciofili raffinati, storiche dell’arte, attori e registi, nonché il Rettore Emerito della Federico II.
La squadra azzurra ha ammazzato il campionato fin dall’inizio, creando un abisso tra sé e le storiche rivali del Nord e della Capitale. La città scaramantica per antonomasia sembra costretta all’ennesimo paradosso della sua storia. A imbandierarsi, con mesi d’anticipo sul gong finale. Ad aspettare una vittoria sempre più prossima cedendo, progressivamente, alle tentazioni della festa. Fino quasi a trasformarsi davvero in un musical permanente, assecondando l’immagine più abusata che il mondo ha di lei.
È dal Seicento che la città scoppia di vita, e di morte. Sovrappopolata e pericolosa, disperata e vitale. Il buio, accecante come la luce. È da allora che il popolo napoletano si prende cura dei resti anonimi. Intravedendo sguardi imploranti, nelle orbite vuote dei teschi. Fratelli di un altro mondo, in cui rispecchiarsi. Pure loro ai ferri corti con la vita, persino dall’altro lato, in eterna attesa di un paradiso.