Leucemia mieloide acuta: identificate le cellule tumorali responsabili delle ricadute di malattia. Uno studio del San Raffaele apre alla possibilità di pianificare cure mirate
I risultati di uno studio scientifico, appena pubblicato sulla rivista Nature Communications, svelano in modo approfondito gli effetti eterogenei della chemioterapia su cellule di pazienti con leucemia mieloide acuta (LMA). Gli autori sono un gruppo di medici e i ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, SR-Tiget e Università Vita-Salute San Raffaele, e la ricerca, svolta grazie al sostegno di Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro, si è avvalsa di innovative tecniche di sequenziamento dell’RNA e di nuovi approcci bioinformatici.
I ricercatori, studiando in dettaglio le cellule tumorali di pazienti e di modelli animali durante la prima somministrazione di chemioterapia, hanno scoperto una rara popolazione di cellule staminali leucemiche, già presenti al momento della diagnosi, che condizionano la mancata risposta alla terapia. Successivamente hanno sviluppato una firma molecolare, composta da un pannello di geni, utile per caratterizzare queste rare cellule staminali leucemiche già al momento della diagnosi, al fine di individuarle tempestivamente per offrire terapie alternative e migliore personalizzazione del trattamento.
La malattia
La leucemia mieloide acuta è una patologia aggressiva che colpisce con maggiore probabilità le persone sopra i 60 anni, ma può insorgere anche nei bambini e nei giovani. Le cure attuali possono portare la malattia a remissione ma una percentuale considerevole di pazienti adulti ha una ricaduta dopo il trattamento standard.
Dati recenti suggerivano che la ricaduta spesso avesse origine da cellule già presenti alla diagnosi, difficili da distinguere dalla massa leucemica. Inoltre, il meccanismo utilizzato da tali cellule per dare ricaduta non era noto.
Lo studio
“Siamo partiti dai campioni clinici seriali (cioè analizzati alla diagnosi, lungo il percorso di terapia e alla ricaduta) di 13 pazienti con leucemia mieloide acuta conservati nella Biobanca dell’Ospedale San Raffaele e li abbiamo analizzati con una tecnologia innovativa, chiamata sequenziamento dell’RNA a livello di singole cellule (scRNAseq) che ha permesso di ottenere i livelli di espressione di migliaia di geni per ogni singola cellula (il loro trascrittoma)”, spiega il primo autore dello studio, Matteo Naldini, ricercatore dell’SR-Tiget.
Lo sviluppo di nuovi approcci bioinformatici ha consentito di identificare in modo specifico i trascrittomi associati alle cellule leucemiche che coesistono con la malattia residua dopo la chemioterapia, e che non possono essere distinte in modo affidabile dalla tecnologia standard.
“Per la prima volta abbiamo descritto in modo molto approfondito gli effetti della chemioterapia su cellule leucemiche che erano altamente eterogenee: alcune morivano, altre proliferavano e altre ancora ricadevano in un profondo stato di quiescenza”, aggiunge il professor Bernhard Gentner, fino a poco tempo fa responsabile del Laboratorio di cellule staminali e leucemia dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica e ora docente presso l’Università di Losanna.
Applicando tecniche di ingegneria genetica a topi di laboratorio, il passo successivo è stato identificare, in una percentuale rilevante dei campioni dei pazienti, una rara popolazione di cellule staminali leucemiche, già presenti al momento della diagnosi, che condizionano la mancata risposta alla terapia. “Identificare questa rara popolazione di cellule è stato come trovare un ago in un pagliaio e non sarebbe stato possibile con le tecniche standard che rilevano solo la ‘risposta media’ dell’intera popolazione leucemica”, conclude Gentner.
Le prospettive
La prospettiva per il futuro è introdurre sistematicamente la ricerca di queste cellule al momento della diagnosi, potendo così identificare i pazienti con LMA che potrebbero non beneficiare della chemioterapia classica e offrire loro immediatamente un approccio alternativo basato su farmaci epigenetici e mirati.
“Questi risultati forniscono un nuovo strumento per rendere le cure più precise e mirate, che si aggiunge ai marcatori molecolari esistenti nella definizione della gravità della malattia e nella pianificazione del percorso di trattamento”, afferma il professor Fabio Ciceri, direttore dell’Unità di Ematologia e Trapianto di Midollo Osseo e direttore del Cancer Center dell’IRCCS Ospedale San Raffaele.