I farmaci per il diabete sembrano affrontare diversi aspetti metabolici implicati in malattie neuronali come l’Alzheimer e il Parkinson, come i depositi di amiloide e l’infiammazione
I farmaci per il diabete sembrano affrontare diversi aspetti metabolici implicati in malattie neuronali come l’Alzheimer e il Parkinson, come i depositi di amiloide e l’infiammazione, e alcune molecole, in particolare i GLP-1 agonisti, sono in fase di studio per valutarne la capacità di contrastare il grave declino cognitivo che caratterizza alcuni dei disturbi cerebrali più difficili da trattare.
La speranza è che il miglioramento dell’utilizzo del glucosio e la riduzione dell’infiammazione in tutto il corpo, incluso il cervello, possano rallentare la progressione di alcune malattie molto debilitanti. Diversi scienziati hanno sottolineato l’aumento della ricerca a sostegno della sperimentazione di farmaci per il diabete contro le malattie neurodegenerative.
Nuovo slancio alla teoria dell’amiloide
Anche se i risultati non sono dietro l’angolo e non vi sono certezze, i recenti dati positivi sui farmaci per l’Alzheimer sviluppati da Eisai/Biogen e da Eli Lilly, che dimostrano come la rimozione delle placche amiloidi che si accumulano nel cervello sia in grado di rallentare il declino cognitivo, hanno dato un nuovo slancio alla teoria dell’amiloide che era passata in secondo piano dopo il fallimento di diversi agenti sperimentali contro l’Alzheimer.
Suzanne Craft, professoressa di gerontologia e medicina geriatrica presso la Wake Forest University School of Medicine, alla fine del 2022 ha tenuto un discorso programmatico in un importante congresso scientifico sull’Alzheimer, sostenendo la necessità di testare trattamenti come i farmaci per il diabete per ridurre ulteriormente l’avanzamento della malattia. Attualmente sta conducendo una sperimentazione in questa direzione per valutare gli effetti dell’insulina intranasale in combinazione con un altro antidiabetico.
I trattamenti per il diabete possono amplificare il beneficio clinico dei farmaci anti-amiloidi e portare potenzialmente alla completa stabilizzazione o addirittura a un certo recupero nei pazienti con Alzheimer. «Questi agenti svolgono un ruolo nella rigenerazione e, considerato il loro ruolo nella modulazione della funzione immunitaria, potrebbero impedire all’amiloide di continuare ad accumularsi» ha ipotizzato Craft.
Gli interessi commerciali inoltre incentivano la ricerca con gli antidiabetici più recenti, come la classe dei GLP-1 agonisti, in rapida espansione per il loro potente effetto sulla perdita di peso.
Ivan Koychev, neuropsichiatra consulente per l’Oxford University Hospitals NHS Foundation Trust, sta conducendo uno studio con il GLP-1 agonista semaglutide per verificarne la capacità di arrestare le prime alterazioni neuronali che si verificano nelle persone a rischio di sviluppare l’Alzheimer. Questa classe di farmaci è il suo obiettivo principale, ha affermato, in quanto vi sono buone evidenze epidemiologiche che li collegano a un rischio inferiore di demenza e soprattutto a un rischio molto più basso di gravi effetti collaterali rispetto alle terapie specifiche per l’amiloide.
Considerata la scarsità di opzioni terapeutiche efficaci contro il grave declino cognitivo, qualsiasi successo rappresenterebbe un passo avanti. La demenza colpisce più di 55 milioni di persone in tutto il mondo e si prevede che il mercato dei farmaci per l’Alzheimer crescerà fino a 9,4 miliardi di dollari entro il 2028 e fino a 6,6 miliardi di dollari per il Parkinson.
Occhi puntati su semaglutide
Investire nella ricerca sull’Alzheimer comporta ingenti investimenti con un alto rischio di fallimento, come già successo molte volte in passato, quindi l’attenzione di diverse compagnie che stanno sviluppando nuovi GLP-1 agonisti (Pfizer, Eli Lilly) è concentrata soprattutto su semaglutide, in valutazione in due studi avviati nel 2021 su migliaia di pazienti con Alzheimer precoce e i cui risultati sono attesi entro il 2025.
Aziende più piccole (Neuraly e Kariya Pharmaceuticals) stanno valutando GLP-1 agonisti sperimentali contro il Parkinson e potrebbero considerare di passare all’Alzheimer se il trial con semaglutide dovesse avere successo. Gli studi sul Parkinson tendono a richiedere meno tempo e meno pazienti perché è più facile valutare l’impatto sulle caratteristiche della funzione motoria della malattia per capire se i trattamenti apportano dei benefici al cervello.
Wassilios Meissner, responsabile del dipartimento di neurologia per le malattie neurodegenerative presso l’ospedale universitario di Bordeaux, è coinvolto in uno studio che sta il GLP-1 agonista lixisenatide su pazienti con Parkinson in fase intermedia.
«La ricerca post-mortem sul cervello dei pazienti con Alzheimer e Parkinson mostra che la segnalazione dell’insulina è compromessa. Questo significa che questi percorsi che forniscono supporto al cervello sono disfunzionali» ha affermato. «Da qui il crescente interesse per gli antidiabetici nel trattamento di questi disturbi».