Tumore alla prostata: 50 anni fa la prima protesi peniena, nel futuro sarà comandata dal cervello. Gli andrologi: solo un uomo su 10 la ottiene dopo la malattia
Mezzo secolo fa un team di chirurghi in Texas, ebbe l’intuizione di realizzare la prima protesi peniena che sostituisce il sistema idraulico del pene. Ma a distanza di 50 anni l’intervento oggi sicuro, efficace, mininvasivo e in futuro di utilizzo più agevole, non è ancora inserito nei Lea del nostro Paese, nonostante la recente approvazione del decreto tariffe. Così per i limiti di budget, solo poche strutture pubbliche lo assicurano e appena il 10% degli italiani che hanno bisogno di una protesi peniena riesce a farsi operare in ospedale per tornare a una normale attività sessuale. Il restante 90% è costretto a ricorrere al privato. L’intervento deve essere inserito quanto prima nei Livelli essenziali di assistenza perché non sono più accettabili differenze di genere nei trattamenti oncologici, nonostante il problema riguardi migliaia di uomini e imponga un decisivo cambio di passo. È questa la richiesta avanzata dagli esperti della Società Italiana di Andrologia (SIA), finora inascoltata, al centro del congresso nazionale in corso a Roma fino al 25 giugno.
LA DENUNCIA DEGLI ANDROLOGI. Ogni anno in Italia circa 20mila uomini vengono sottoposti a un intervento di rimozione radicale della prostata a seguito di un tumore e di questi, almeno 10mila vanno incontro a disfunzione erettile con indicazione all’impianto di protesi peniena per risolverla. Ma la maggior parte dei candidati non ha accesso alle cure perché escluse dal nuovo decreto tariffe e le Regioni non sono tenute ad erogarle. Così sono pochissimi gli impianti a disposizione, in altrettanti pochi centri pubblici, distribuiti in modo disomogeneo sul territorio.
“Le protesi peniene non sono un vezzo o un lusso ma un diritto per continuare una normale e degna vita di coppia quando le terapie mediche falliscono”, dichiara Alessandro Palmieri, presidente SIA e professore di Urologia all’Università Federico II di Napoli. “L’efficacia terapeutica di questi device e il carattere ‘non estetico’ dell’intervento, sono infatti ampiamente riconosciuti dalle più recenti linee guida europee per gli uomini reduci da chirurgia oncologica per la prostata, ma anche per vescica e retto, che superano il cancro e però perdono ancora giovani la propria funzionalità sessuale. Ma il problema riguarda anche altre malattie dal diabete a patologie neurologiche fino a malattie deformative del pene che impediscono l’erezione. Tuttavia – ricorda l’esperto -contrariamente a quanto ormai consolidato per le donne, per cui da tempo è prevista la rimborsabilità delle protesi mammarie, a seguito di una mastectomia, gli uomini non ricevono invece lo stesso trattamento dopo una chirurgia pelvica radicale”, sottolinea Palmieri.
“Questo succede perché si tratta di presidi non compresi nei Lea che presentano un Drg che non copre le spese: 2740 euro a fronte di un costo per la sola protesi di circa 8500 euro, più sala operatoria e chirurghi – rimarca Marco Bitelli, co-presidente del congresso e Dirigente Medico Unità Ospedaliera Complessa di Urologia all’Ospedale San Sebastiano di Frascati -. La conseguenza è che questi presidi vengono concessi con il contagocce, non più di 3/5 l’anno per ogni centro in cui viene praticata questa chirurgia. Stando ai dati del Registro nazionale della SIA, a fronte di 3000 richieste, le protesi erogate sono circa 400 l’anno, concentrate per il 75% fra Nord e Centro. A conti fatti, meno di un paziente su 10 elegibile, accede all’impianto tramite la sanità pubblica e convenzionata: tutti gli altri devono rivolgersi alle strutture private”.
“La Società Italiana di Andrologia rinnova l’appello al Ministero e alle Regioni affinché sia modificato il decreto tariffe recentemente approvato e l’intervento di protesi peniena venga inserito quanto prima nei Lea, per garantire a tutti i pazienti oncologici e non, candidati all’impianto, un accesso equo e omogeneo alle cure, destinate ad incidere su aspetti critici legati alla salute psicofisica di migliaia di uomini di ogni età”, conclude Palmieri.
PRIMO INTERVENTO DI PROTESI PENIENA 50 ANNI FA: DALLE PROTESI DI LEGNO AGLI ATTUALI ACCESSI MININVASIVI CON IMPIANTI IDRAULICI. Dalle protesi di legno create nel XVI secolo in Francia da Ambroise Paré, all’inserimento di ossa degli anni ‘30, alle stecche acriliche degli anni ’50, fino all’inserimento di impianti di polietilene negli anni ‘60, bisognerà attendere fino al luglio del 1973 quando la prima protesi peniena idraulica impiantata veniva descritta sulla rivista Urology da Scott, Bradley e Timm. L’intervento, eseguito con successo senza problemi di rigetto né di infezioni dagli autori presso la Divisione di Urologia del Baylor College of Medicine Texas Medical Center di Houston, venne realizzato con due pompe anziché una, collocate nella zona scrotale e l’inserimento submuscolare nell’addome di un serbatoio piatto, che diventerà cilindrico successivamente con un cambio di forma dettato soprattutto per facilitare il lavoro del chirurgo.
“Dal primo impianto, le protesi sono evolute con l’avvento di nuove tecnologie, materiali e conil perfezionamento della tecnica chirurgica sono diventate una procedura sicura, mininvasiva ed efficace. Il posizionamento protesico richiede circa un’ora ed è completamente nascosto perché non ci sono componenti esterne”, illustra Palmieri. “La convalescenza è molto breve e i tempi di recupero complessivamente rapidi: nel giro di un mese e mezzo circa si può riprendere ad avere una vita sessuale attiva con una erezione ripristinata al 100%. Il principale rischio è quello di infezione della protesi, che ne richiede l’immediata rimozione. Tale complicanza è tuttavia molto bassa e avviene in un caso ogni mille impianti”.
PROTESI COME FUNZIONANO ATTUALMENTE.
La protesi del pene è un dispositivo meccanico che ripristina il meccanismo interno dell’erezione senza alterare la sensibilità esterna del pene nell’emissione del liquido seminale. Esistono attualmente due classi di protesi: gonfiabile e non gonfiabile. La prima detta anche semirigida è un dispositivo formato da due cilindri di silicone rigido che vengono inseriti nei cilindri naturali del pene, chiamati corpi cavernosi. Il dispositivo conferisce una rigidità tale da consentire la penetrazione in ogni momento, per cui il pene è sempre “pronto all’uso” ma ha una anima malleabile alla base, che permette all’organo di essere riposto nl cavo dell’inguine.
La protesi gonfiabile, detta anche idraulica, può mimare uno stato di flaccidità o di erezione a seconda che sia gonfia o no. È costituita da un circuito chiuso molto sofisticato, fatto da due cilindri di silicone che vanno ad occupare l’interno dei corpi cavernosi che si riempiono di acqua proveniente da un serbatoio, posizionato vicino alla vescica all’interno dell’addome. Il liquido dal serbatoio passa ai cilindri della protesi attraverso quella che in gergo viene definita una “pompetta”. Si tratta di un attivatore inserito all’interno dello scroto il cui schiacciamento fa passare l’acqua dal serbatoio ai due cilindri, che si riempiono di fluido anziché di sangue e vanno in erezione. Una volta che il rapporto viene completato, lo stesso attivatore viene utilizzato per sgonfiare l’impianto, permettendo all’acqua di compiere il passaggio inverso dai cilindri al serbatoio. La protesi così si svuota e il pene ritorna flaccido.
PROTESI DEL FUTURO: SARANNO ATTIVATE DA UN NEUROTRASMETTITORE O DA UN ELETTROMAGNETE.
Dalla prima protesi nel 1973 la ricerca in campo chirurgico e nella produzione di device ha fatto passi da gigante e oggi punta a realizzare protesi touchless, capaci di funzionare senza “pompetta”, di utilizzo più agevole e minori rischi di rotture delle componenti idrauliche.
“Oggi è in sperimentazione presso l’ospedale universitario Eleuterio Gonzalez della Universidad Autonoma di Monterrey in Messico, un prototipo penieno che ha il vantaggio di essere attivato senza la necessità di pompare manualmente sullo scroto, come avviene tipicamente negli impianti idraulici convenzionali”, dichiara Simone Cilio, andrologo del Dipartimento di Neuroscienze, Scienze Riproduttive e Odontostomatologia, Unità di Urologia dell’Università “Federico II” di Napoli.
“In questo caso, è un neurotrasmettitore modulare che percepisce lo stimolo eccitativo dal sistema nervoso centrale per innescare l’erezione. Per il futuro – aggiunge l’andrologo – si sta studiando anche un altro meccanismo che permette di innescare la funzione di erezione per induzione termica, grazie alla attivazione di un elettromagnete. L’impianto protesico, da pochi anni introdotto anche in Italia e oggi in sperimentazione presso la Urological Institute and Department of Urology della “Johns Hopkins” University School of Medicine di Baltimora, è stato descritto nello studio pubblicato su The Journal of Sexual Medicine. Il prototipo di protesi è costituito da un cilindro impiantabile che usa tubi in lega di nichel-titanio al posto di silicone rigido. Questa tipologia di protesi non gonfiabile elimina la necessità di serbatoi e pompe, rendendo il dispositivo più facile da utilizzare”, conclude Cilio.