Dermatosi: esperti a confronto sul ruolo della disbiosi cutanea


Il ruolo della disbiosi cutanea nella patogenesi delle dermatosi è un’area relativamente nuova e in continua evoluzione

Il ruolo della disbiosi cutanea nella patogenesi delle dermatosi è un'area relativamente nuova e in continua evoluzione

Il ruolo della disbiosi cutanea nella patogenesi delle dermatosi è un’area relativamente nuova e in continua evoluzione, ma si conosce ancora poco su come tradurre le nuove evidenze nella pratica clinica. Se ne è discusso in occasione del congresso 2023 dell’American Academy of Dermatology (AAD).

«Abbiamo ancora molto da imparare» ha affermato nella sua relazione Adam Friedman, professore e presidente di dermatologia alla George Washington University a Washington DC. «Diversi fattori contribuiscono alla variabilità del microbiota cutaneo, come età, sesso, ambiente, sistema immunitario, genotipo dell’ospite, stile di vita e patobiologia. La domanda da porsi è quando questi fattori o il loro impatto sul microbiota diventano clinicamente significativi».

Microbiota cutaneo variegato e diverso da persona a persona
Secondo Friedman, nel nostro organismo le cellule batteriche sono 10 volte superiori alle cellule umane «ma non c’è una lotta costante per prevalere. Insieme, siamo un super organismo» ha aggiunto. «Sulla pelle umana ci sono anche più di 500 specie di batteri, escludendo virus e funghi, e ogni persona trasporta fino a 2 kg di batteri, che equivale ad avere un nuovo organo all’interno del corpo. Ma ognuno di noi ha la propria impronta batterica e ogni microbiota è diverso da quello degli altri».

Oltre alla genetica e all’ambiente, tra i fattori che possono contribuire ad alterare la flora della pelle o alla disbiosi cutanea vanno considerati l’applicazione topica di steroidi, antibiotici, retinoidi, saponi aggressivi, esfolianti chimici e fisici e tecniche di resurfacing. «Qualsiasi cosa applichiamo o facciamo sulla pelle comporta un’alterazione dell’habitat di molti microrganismi, nel bene e nel male» ha fatto presente il relatore.

Nella dermatite atopica, lo Staphylococcus aureus è stato implicato come colpevole nella fisiopatologia della malattia. «Non si tratta tuttavia di una singola specie di stafilococco. Stiamo scoprendo che, a seconda della gravità della malattia, anche lo S. epidermis può essere parte del problema» ha spiegato Friedman. «Inoltre, ancora più importante, questi cambiamenti nel microbiota e in particolare una diminuzione nella diversità microbica, ha dimostrato di precedere una riacutizzazione della malattia, evidenziando il ruolo centrale del mantenimento della diversità microbica e supportando quindi la barriera vivente nella nostra gestione della malattia».

In uno studio i ricercatori hanno utilizzato il sequenziamento ad alto rendimento per valutare in 49 pazienti le comunità microbiche associate alla pelle, sia affetta che non interessata dalla dermatite atopica, prima e dopo il trattamento emolliente. Dopo 84 giorni di utilizzo dell’emolliente, i sintomi clinici della malattia sono migliorati nel 72% dei partecipanti e le specie di Stenotrophomonas erano significativamente più abbondanti tra i responder.

Prebiotici, probiotici e postbiotici possono avere un ruolo nelle malattie cutanee?
«I nostri trattamenti possono certamente avere un impatto positivo sul microbiota, come abbiamo visto anche di recente con alcune delle nostre nuove terapie mirate, ma possiamo anche fornire un supporto diretto» ha continuato. I prebiotici, ovvero composti non digeribili che stimola selettivamente la crescita e/o l’attività dei batteri indigeni, si possono trovare in molte creme idratanti da banco.

Ad esempio, è stato scoperto che la farina d’avena colloidale supporta la crescita di S. epidermidis e migliora la produzione di acido lattico, anche se in realtà non si sa ancora molto sul significato di questi cambiamenti indotti da un punto di vista clinico.

Alla luce della recente attenzione all’applicazione precoce di creme idratanti nei neonati ad alto rischio di sviluppare la dermatite atopica, nel tentativo di prevenirla o limitarla, «forse in parte questo ha a che fare con l’applicazione di qualcosa che nutre un microbiota in evoluzione, ed è una questione su cui pensare».

Un’altra area di studio riguarda l’uso dei probiotici, che Friedman ha definito come integratori o alimenti che contengono microrganismi vitali che alterano la microflora dell’ospite. In uno studio i ricercatori hanno valutato la sicurezza e l’efficacia dell’applicazione topica di Roseomonas mucosa, un batterio aerobico Gram negativo, in 10 adulti e 5 bambini con dermatite atopica. Non sono stati osservati eventi avversi o complicanze legate al trattamento e l’applicazione del batterio è stata associata a riduzioni significative della gravità della malattia, del fabbisogno di steroidi topici e della presenza di S. aureus.

In uno studio randomizzato più recente su 11 pazienti con dermatite atopica, Richard Gallo, presidente di dermatologia presso l’Università della California a San Diego e colleghi hanno scoperto che l’applicazione di una crema topica personalizzata contenente Staphylococcus coagulasi-negativo con attività antimicrobica diretta contro lo S. aureus ne ha ridotto la colonizzazione e ha migliorato la gravità della malattia.

In un altro studio randomizzato e controllato, ricercatori italiani hanno arruolato 80 adulti con dermatite atopica da lieve a grave assegnati a ricevere per 56 giorni il placebo o un integratore composto da una miscela di lattobacilli. Hanno rilevato che gli adulti nel braccio di trattamento hanno mostrato un miglioramento della levigatezza della pelle, dell’idratazione cutanea e della percezione di sé, oltre a una riduzione dell’indice SCORAD (SCORing Atopic Dermatitis) e dei livelli dei marcatori infiammatori associati alla malattia.

Friedman ha anche discusso di postbiotici, ovvero prodotti batterici non vitali o sottoprodotti metabolici di microrganismi probiotici che hanno attività biologica nell’ospite. Uno studio francese ha arruolato 75 persone con dermatite atopica di età compresa tra 6 e 70 anni, assegnate a ricevere una crema contenente un lisato al 5% del batterio non patogeno Vitreoscilla filiformis, o una crema veicolo per 30 giorni. Rispetto al veicolo, il lisato batterico topico ha ridotto significativamente il punteggio SCORAD, il prurito e la perdita di sonno dal giorno 0 al giorno 29.

Secondo il relatore «questi nuovi approcci alla dermatite atopica sono un’area eccitante a cui dobbiamo prestare attenzione. Ma dobbiamo capire se, a parte questi prodotti appositamente realizzati e commercializzati che hanno pre, post e probiotici, presentano delle differenze con i prodotti che già utilizziamo. A mio parere sì, ma abbiamo bisogno di avere dei dati sui cui ragionare» ha concluso.