Nonostante l’ampia diffusione, l’atrofia vulvo-vaginale è ancora oggi sottostimata e parlarne è fonte di imbarazzo per migliaia di donne. Diversi i percorsi di cura
Ha un’incidenza altissima, colpisce in Italia una donna su due dopo la menopausa e provoca sintomi come secchezza vaginale, prurito e dolore ai rapporti sessuali. È l’atrofia vulvo-vaginale (AVV), patologia con forte impatto negativo sulla qualità di vita della donna. Una malattia che, nonostante l’ampia diffusione, è ancora oggi decisamente sottostimata: il coinvolgimento delle parti intime provoca spesso disagio e vergogna nelle donne, che tendono quindi a trascurare questa patologia, con inevitabili conseguenze sia di salute che sulla vita di coppia. I percorsi terapeutici per la sua cura sono diversi: dai lubrificanti vaginali alla terapia estrogenica locale, sino ad un nuovo trattamento senza farmaci basato su uno strumento a radiofrequenza utilizzato proprio al Policlinico di Milano, pensato per donne che non possono utilizzare terapie ormonali locali, come ad esempio le pazienti con storia di tumore al seno.
Ma cos’è l’atrofia vulvo-vaginale? Ne parlano Paola Pifarotti ed Eugenia Di Loreto, ginecologhe alla Clinica Mangiagalli del Policlinico di Milano.
Che cos’è l’atrofia vulvo-vaginale e da cosa è causata?
L’AVV è una condizione cronica che tende a peggiorare nel tempo. Si caratterizza per l’assottigliamento della mucosa vaginale, con conseguente riduzione della vascolarizzazione, dell’elasticità e del grado di idratazione. Inoltre, si contraddistingue per un aumento del pH vaginale associato ad una riduzione dei lactobacilli, batteri buoni che proteggono la flora vaginale.
Quali sono i sintomi?
Le donne che soffrono di AVV presentano una serie di sintomi tipici della menopausa (Sindrome Genitourinaria della Menopausa): secchezza vaginale, prurito, dolore e sanguinamento nei rapporti sessuali che coinvolgono tutta l’area vulvo-vaginale. L’AVV interessa anche il tratto urinario inferiore: l’aumento della necessità e l’improvviso e irrefrenabile stimolo a urinare sono fra i sintomi più comuni, oltre a possibili infezioni che possono colpire tutta l’area genito-urinaria.
Che conseguenze può avere sulla vita di coppia?
L’atrofia vulvo-vaginale è una condizione che non solo peggiora la percezione fisica che la donna ha di sé stessa, ma è anche frequentemente associata a rapporti sessuali dolorosi (dispareunia). Ha quindi un forte impatto sulla vita relazionale, tanto che circa due terzi delle donne che soffrono di atrofia vulvo-vaginale evitano l’intimità con il partner proprio per questa ragione.
Si calcola che l’AVV colpisca in Italia una donna su 2: è possibile che la paura di parlarne abbia portato questa patologia ad essere sottovalutata?
Nonostante sia estremamente diffusa, l’atrofia vulvo-vaginale è una patologia sottostimata perché coinvolge la sfera intima delle donne ed è percepita pertanto come un tema imbarazzante da trattare. Rappresenta fonte di grande disagio e vergogna, in particolare per le donne in età avanzata, alle quali risulta difficile parlarne persino con i medici di medicina generale.
In che modo si può far fronte a questo tabù?
Le donne vanno correttamente informate, affinché possano riconoscere i primi sintomi di questa patologia e quindi siano in grado di descriverli ai loro medici curanti. Contestualmente bisognerebbe incoraggiare i colleghi di medicina generale a riconoscere tali sintomi, ad associarli alle patologie legate alla menopausa e quindi a indirizzare le pazienti nei centri di riferimento affinché possano ricevere un trattamento adeguato. La comunicazione rappresenta dunque uno strumento fondamentale per poter demolire questi pregiudizi.
Solitamente colpisce le donne in menopausa. Può colpire anche donne più giovani?
L’AVV è una patologia strettamente legata alla carenza di estrogeni, condizione che caratterizza la menopausa. Questa si può però manifestare precocemente, come conseguenza di particolari situazioni patologiche: raramente risulta legata a fattori genetici, ambientali o a stili di vita; più frequentemente è dovuta a cause iatrogene, ovvero indotta da cure mediche, chemioterapia, radioterapia o conseguenza di un intervento di asportazione delle ovaie (intervento chirurgico demolitivo di ovariectomia bilaterale).
È vero che ha una maggior incidenza sulle pazienti oncologiche?
L’AVV si presenta nel 70% delle pazienti con pregressa diagnosi di tumore al seno (ovvero il 20% in più rispetto alla popolazione sana) come effetto collaterale delle terapie oncologiche, che spesso includono anche trattamenti farmacologi endocrini responsabili della menopausa.
Qual è il percorso terapeutico?
Quando idratanti e lubrificanti vaginali non sono efficaci, la terapia estrogenica locale rappresenta la prima opzione di trattamento. Se non controindicata, è utile poiché l’assorbimento sistemico è limitato, non aumenta il rischio trombotico e ha un basso costo. Tuttavia, per la diffidenza che le donne comunemente nutrono nei confronti della terapia ormonale, questa soluzione è difficilmente accettata e poco rispettata dalle pazienti: di conseguenza risulta scarsamente efficace. Un’ulteriore opzione farmacologica, non ormonale, è rappresentata dalla terapia con modulatori selettivi dei recettori degli estrogeni (SERM) come l’ospemifene. Per le donne in cui l’utilizzo di terapie ormonali è controindicato vi sono inoltre trattamenti fisici come laser e radiofrequenze, che possono avere effetti benefici sui sintomi vulvo-vaginali e, di conseguenza, sull’attività sessuale.
Quali percorsi sono disponibili in Policlinico per il trattamento di questa patologia?
Le donne che soffrono di atrofia vulvo-vaginale possono accedere agli ambulatori ginecologici che si occupano di menopausa così da poter discutere le alternative terapeutiche. Ogni donna verrà informata su tutti i trattamenti disponibili e coinvolta nel processo decisionale sulla scelta della cura a lei più idonea. Oltre alle terapie farmacologiche, per le donne che non possono assumere trattamenti ormonali o per coloro che non sono soddisfatte da essi, nel nostro centro è disponibile uno strumento a radiofrequenza (che impiega energia quadripolare dinamica a bassa diffusione) per la cura della patologia. Il trattamento con la radiofrequenza ha una durata media di 15 minuti e prevede 4 sedute a distanza di 15 giorni circa ed eventuali successive sedute di mantenimento in base ai risultati e benefici ottenuti.