Nonostante le nuove opportunità terapeutiche per l’emofilia, come la terapia genica, mancano ancora medici, pdta regionali e investimenti per strutturare i centri e le reti
A circa 10 anni di distanza dalla definizione dell’Accordo Stato-Regioni sull’assistenza alle Malattie emorragiche congenite (Mec), l’Agenzia europea del farmaco (EMA) ha concesso l’approvazione condizionata, e quindi con maggiori garanzie, a due farmaci di terapia genica per l’emofilia A e per l’emofilia B. I pazienti emofilici assistono, quindi, a uno sviluppo della ricerca farmacologica per molti versi entusiasmante in termini di efficacia ed innovatività e la terapia genica potrebbe essere realtà per molti pazienti a brevissimo ma rimangono alcune problematicità.
Ecco perché FedEmo, chiede a tutte le Istituzioni che operano in sanità di destinare maggiori risorse strutturali e umane all’assistenza alle MEC e garantire una più ampia partecipazione diretta dei pazienti ai processi decisionali.
“Dopo un decennio dalla sigla dell’Accordo Stato-Regioni sull’assistenza alle malattie emorragiche congenite, la terapia genica per l’emofilia è ormai alle porte e attualmente in fase di registrazione – dichiara Cristina Cassone, Presidente FedEmo -. A fronte di ciò, le problematicità del sistema assistenziale dedicato alla malattia sono invece aumentate, nonostante l’impegno quotidiano dei clinici specialisti. Il post Covid ha visto le Regioni ridurre sistematicamente gli investimenti sui Centri Emofilia e sulle professionalità che vi operano. FedEmo chiede, perciò, con forza a tutte le Istituzioni che operano in sanità di destinare più risorse strutturali e umane all’assistenza alle Mec e un maggior coinvolgimento diretto dei pazienti all’interno dei tavoli tecnici nazionali e regionali di programmazione”.
L’emofilia è una patologia genetica caratterizzata dall’incapacità di produrre l’adeguato livello di alcuni fattori di coagulazione. La persona colpita non riesce così a coagulare il sangue e una semplice emorragia può diventare un evento estremamente pericoloso. A oggi si calcola che al mondo ne soffrano circa 400 mila persone, circa 4 mila solo in Italia. Secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità sulle coagulopatie congenite del 2022, i pazienti sono in totale 9.784: circa 30 per cento con emofilia A, 28,6% con malattia di von Willebrand 7,2% con emofilia B e 34,1% con carenze di altri fattori.
L’evoluzione del trattamento dell’emofilia, negli ultimi anni, ha portato notevoli miglioramenti nella vita del paziente. “Un primo progresso è stato ottenuto con i prodotti a lunga emivita che hanno permesso ai pazienti in regime di profilassi di infondersi intravena un minor numero di volte – illustra Flora Peyvandi, Direttore del Centro Emofilia e Trombosi “Angelo Bianchi Bonomi” del Policlinico di Milano -. Successivamente, l’utilizzo di un nuovo farmaco, a somministrazione sottocutanea, ha reso ancora più semplice la profilassi, soprattutto nei pazienti più piccoli. Ma la svolta nel trattamento dell’emofilia si è ottenuta con la terapia genica: con un’unica infusione è possibile raggiungere la protezione dalle emorragie per diversi anni”. In un futuro molto prossimo, quindi, questa nuova terapia potrà rientrare tra le opzioni terapeutiche a disposizione di tutte le persone con emofilia in Italia.
Ma servono, medici preparati e infrastrutture più adeguate a gestire l’innovazione terapeutica che la ricerca ha reso disponibile. “La gestione delle nuove terapie nell’ambito delle sperimentazioni cliniche richiede una strutturazione articolata da parte non solo del personale medico-infermieristico – spiega Giancarlo Castaman, Direttore Centro Malattie Emorragiche, Azienda Ospedaliera, Universitaria Careggi di Firenze – ma anche di figure ad hoc come i data manager o gli infermieri di ricerca, ancora in gran parte non contemplate negli organici dei centri, se non per iniziative dei centri stessi. L’impegno è notevole. La stessa terapia genica, ad esempio, richiede un serie di adempimenti amministrativo-gestionali che richiedono tempo e costanza e personale adeguato in termini di numeri congrui e qualificazione”.
Uno sforzo notevole ma anche una delle sfide più importanti per il Servizio Sanitario Nazionale. “Consentire l’accesso a farmaci innovativi, a fronte di un impegno di spesa maggiore che richiede immediate coperture, potrebbe, con il tempo, avere effetti virtuosi in termini di riduzione dei costi diretti delle cure e di altre voci di spesa connesse, come i costi indiretti e costi sociali – chiarisce Claudia Santini, Agenzia Italiana del Farmaco –. Come nel caso di terapie geniche in cui la rilevanza del prezzo richiesto si associa alla natura one-shot, cioè un’unica somministrazione, per la maggior parte delle terapie, con le conseguenze di costi molto rilevanti nel breve periodo ma benefici e costi evitati nel lungo periodo, qualora il paziente risponda alle terapie stesse”.
Obiettivi importanti per gli emofilici resi possibili anche grazie al contributo della ricerca italiana. “Non solo è importante sottolineare che clinici italiani hanno un ruolo chiave nel monitorare i pazienti sottoposti a terapia genica per valutare efficacia e sicurezza – osserva Mirko Pinotti, Direttore Dipartimento biotecnologie, Università degli Studi di Ferrara – ma è da evidenziare come eccellenti ricercatori italiani lavorino per sviluppare “terapie geniche differenti” che includono virus, già usati con successo per altre patologie; e terapie cellulari in cui cellule del paziente vengono isolate, modificate, e reintrodotte. In quest’ultima nicchia si inserisce la ricerca italiana nel campo della correzione diretta del gene difettivo detto “gene editing”. Infine, i nostri ricercatori spesso sono parte di network collaborativi internazionali, ed è proprio questa sinergia che apre sempre nuovi orizzonti, e con essi speranze, per i portatori di malattie genetiche come l’emofilia, e non solo”.