La progressione indipendente dall’attività recidivante (PIRA, progression independent of relapse activity) è abbastanza comune tra i pazienti con sclerosi multipla
La progressione indipendente dall’attività recidivante (PIRA, progression independent of relapse activity) è abbastanza comune tra i pazienti con sclerosi multipla (SM) ed è legata a esiti più scarsi nei nuovi reperti che, secondo gli autori di una ricerca pubblicata su “JAMA Neurology”, dovrebbero indurre a riconsiderare come vengono classificati i pazienti con SM recidivante-remittente.
«Riteniamo che questi pazienti dovrebbero essere considerati pazienti con SM progressiva, con o senza attività infiammatoria alla RM, indipendentemente dal loro punteggio di disabilità o dalla loro durata di malattia» scrivono i ricercatori, guidati da Carmen Tur, dell’Università Autonoma di Barcellona. «Cio può avere implicazioni terapeutiche».
Accumulo di disabilità
Il team di Tur ha condotto lo studio per ottenere maggiori informazioni sull’effetto di PIRA. «Negli ultimi 2 o 3 anni, è stato proposto che PIRA sia il principale meccanismo responsabile dell’accumulo di disabilità nella SM» affermano.
«Ciò viene detta anche ‘progressione silenziosa’ e può verificarsi in qualsiasi momento durante il decorso della malattia, anche prima di una diagnosi formale di SM secondaria progressiva. Abbiamo mirato a valutare il fenomeno PIRA e le sue conseguenze a lungo termine nei pazienti con un primo attacco demielinizzante» aggiungono Tur e colleghi
I ricercatori hanno monitorato 1.128 pazienti (69,2% donne; età media, 32,1 anni) che hanno avuto un primo attacco demielinizzante da SM dal 1994 al 2020 e che erano stati trattati in un centro di studio in Spagna. Dei partecipanti, 277 (25%) hanno sviluppato uno o più eventi PIRA in un tempo mediano di follow-up di 7,2 anni.
«Presentare almeno un evento PIRA in qualsiasi momento durante il decorso della malattia è fortemente associato a una prognosi sfavorevole a lungo termine, specialmente se tale primo evento PIRA si verifica entro i primi 5 anni della malattia» osservano gli autori. Se ciò accadeva, il rischio di raggiungere un marcato livello di disabilità (definito come un punteggio di 6 sulla scala EDSS [Expanded Disability Status Scale]) «era 26 volte superiore rispetto a quello dei pazienti che presentavano PIRA nelle fasi successive della malattia» specificano. L’ hazard ratio (HR) è stato di 26,21 (IC 95%, 2,26 – 303,95; P = 0,009).
Il rischio di raggiungere un EDSS di 6 era complessivamente otto volte superiore tra i soggetti con PIRA rispetto a quelli senza PIRA (HR, 7,93; IC 95%, 2,25 – 27,96; P = 0,001). Il PIRA in presenza di precedente attività infiammatoria non è stato chiaramente associato a una prognosi peggiore rispetto a PIRA non attivo.
Predizione impegnativa
I ricercatori osservano che PIRA era il principale fattore responsabile dell’accumulo di disabilità nei pazienti con SM a esordio recidivante rispetto al peggioramento associato alla recidiva, come mostrato in studi precedenti. Sfortunatamente, «si è scoperto che la predizione di PIRA è estremamente impegnativa. Nella coorte studiata, solo un’età avanzata all’insorgenza dei sintomi ha predetto un rischio più elevato di PIRA» affermano Tur e colleghi.
PIRA è un buon indicatore di esiti scarsi, sostengono Tur e colleghi, perché può riflettere «un processo neurodegenerativo sottostante, che può essere presente dall’insorgenza dei sintomi in alcuni pazienti».
«Pertanto, il fatto che un paziente si presenti con PIRA può suggerire che vi è un processo neurodegenerativo relativamente forte o percepibile che molto probabilmente determinerà la loro prognosi a lungo termine» aggiungono.
Gli autori osservano che lo studio evidenzia l’importanza di rilevare precocemente PIRA poiché «può avere importanti implicazioni prognostiche» e aggiungono che i risultati possono contraddire l’idea che «la SM recidivante-remittente è caratterizzata da recidive, con un grado variabile di recupero dopo di loro e nessuna chiara progressione tra le recidive». Gli autori si chiedono infine se si debba cambiare l’attuale classificazione clinica della SM.
In linea con le osservazioni cliniche
Lo studio sembra valido e «la dimensione della coorte dà fiducia sul fatto che i risultati siano robusti» scrive – in un editoriale di commento d cui è coautrice – la neurologa Cristina Granziera, dell’Università di Basilea (Svizzera). Granziera ha inoltre scritto che i risultati si adattano alle sue osservazioni di pazienti in clinica – e concorda anche sul fatto che è tempo di riclassificare i tipi di SM.
«La malattia è estremamente complessa» precisa. «Dobbiamo trovare altri modi per definire i nostri pazienti, e questo non può essere fatto solo utilizzando parametri clinici». Inoltre, «le scansioni RM, i biomarcatori e i test del liquido spinale possono fornire altre informazioni utili».
Bibliografia:
Tur C, Carbonell-Mirabent P, Cobo-Calvo Á, et al. Association of Early Progression Independent of Relapse Activity With Long-term Disability After a First Demyelinating Event in Multiple Sclerosis. JAMA Neurol, 2023; 80:151-60. doi: 10.1001/jamaneurol.2022.4655. leggi
Granziera C, Derfuss T, Kappos L. Time to Change the Current Clinical Classification of Multiple Sclerosis? JAMA Neurol, 2023; 80: 128-30. doi: 10.1001/jamaneurol.2022.4156. leggi