Accadde oggi: tre anni fa l’esplosione nel porto di Beirut, in 300 all’Onu per chiedere la verità. La denuncia: “La politica ha ostacolato l’inchiesta interna”
Gli Stati membri del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite sono chiamati a sostenere l’istituzione di una missione conoscitiva internazionale, indipendente e imparziale sull’esplosione del porto di Beirut del 4 agosto 2020, attraverso una risoluzione ad hoc: così chiedono più di 300 tra sopravvissuti, famigliari delle vittime e organizzazioni tra cui Human Rights Watch (Hrw). Lo fa sapere quest’ultima in una nota, alla vigilia dell’esplosione di un silos al porto contenente nitrato di ammonio, definita dagli esperti una delle più grandi esplosioni non nucleari della storia recente.
Almeno 220 persone hanno perso la vita e oltre 7.000 sono rimaste ferite, mentre la capitale riportò ingenti danni in diversi quartieri. Nella lettera, i firmatari osservano che in questi tre anni “si sono verificate continue interferenze politiche nelle indagini interne”. “Non abbiamo ancora verità e giustizia a tre anni di distanza dall’esplosione ha portato via nostra figlia, la nostra casa e i nostri quartieri, in un paese afflitto dall’impunità”, hanno denunciato Paul e Tracy Naggear, che hanno perso la figlia maggiore Alexandra nell’esplosione. “Chiediamo a tutti gli Stati membri del Consiglio dei diritti umani di ascoltare la nostra richiesta di giustizia e sostenere l’istituzione di una missione internazionale d’inchiesta”.
Nella nota Hrw ricorda che il 23 dicembre 2021 l’indagine interna sull’esplosione è stata sospesa dopo che alcuni politici accusati del disastro hanno presentato oltre 25 richieste di destituzione contro il procuratore che coordinava le indagini, il giudice Tarek Bitar e altri giudici coinvolti nel caso, provocando ripetute sospensioni dell’inchiesta. A gennaio scorso, il tentativo di Bitar di riprendere le indagini è stato bloccato dal pubblico ministero libanese, Ghassan Oueidat, a sua volta accusato da Bitar dell’esplosione. Oueidat ha intentato una causa contro Bitar, sospendendo le indagini e ordinando il rilascio di tutti i 17 sospettati. Da allora almeno è fuggito dal Paese.
A marzo, 38 paesi al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite hanno condannato l’ostruzione e le ingerenze nelle indagini in una dichiarazione congiunta rilasciata dall’Australia davanti al Consiglio. Più di cinque mesi dopo, le autorità libanesi non hanno ancora adottato misure significative per garantire che l’inchiesta possa progredire o per adottare una legge sull’indipendenza della magistratura in linea con gli standard internazionali. Le autorità, riferiscono ancora le associazioni, non hanno inoltre risposto a una comunicazione inviata a marzo dal relatore speciale delle Nazioni Unite sull’indipendenza di giudici e avvocati, Margaret Satterthwaite.
Quest’ultima ha condannato l’interferenza nelle indagini e ha espresso preoccupazione per il fatto che “ex funzionari statali e altri che sono stati implicati nel caso hanno fatto ricorso in malafede a procedimenti di ricusazione e altre azioni dirette al giudice istruttore incaricato di esaminare il caso”. Human Rights Watch fa sapere di aver realizzato un’indagine sulla vicenda, secondo cui il disastro sarebbe stato dovuto all’incapacità del governo di proteggere il diritto fondamentale alla vita. Lo studio indica anche il potenziale coinvolgimento di alti funzionari politici e di sicurezza in Libano. I paesi con Global Magnitsky e altri regimi di sanzioni per i diritti umani e la corruzione secondo Hrw dovrebbero sanzionare i funzionari libanesi implicati nelle continue violazioni dei diritti umani legate all’esplosione e agli sforzi per minare la possibilità di perseguire i responsabili”.
“Per tre anni, le autorità libanesi hanno ripetutamente e deliberatamente ostacolato le indagini sull’esplosione, mostrando assoluto disprezzo per i diritti delle vittime e delle loro famiglie alla verità e alla giustizia”, ha affermato Ramzi Kaiss, ricercatore libanese di Human Rights Watch. “È necessaria un’azione internazionale per spezzare la cultura dell’impunità in Libano”.