Semiconduttori: l’Europa seconda al mondo per ricerca ma doppiata dalla Cina, l’Italia accelera sui brevetti. Il report Elsevier sullo stato della ricerca nel mondo
Appena stanziati dall’Ue 43 miliardi di euro per potenziare l’industria dei semiconduttori, motore trainante del progresso tecnologico e settore chiave in un contesto geopolitico sfidante. Ma a che punto è l’Europa in termini di posizionamento su questo tema? Una risposta a questo interrogativo la fornisce “Semiconductors Chips. What published academic research can tell us”, il nuovo report di Elsevier, uno dei più importanti editori scientifici del mondo, con più di 3mila riviste accademiche in ogni ambito, che ha esaminato la produzione accademica globale sul tema dei semiconduttori dal 2003 al 2022.
Guardando al 2022, gli ultimi dati disponibili, ciò che emerge è che nonostante oggi l’Europa ricopra la seconda posizione mondiale dal punto di vista delle pubblicazioni sul tema, con 15.000 paper nell’ultimo anno, la distanza con la Cina – leader incontrastato con 30.000 output nello stesso periodo, circa il 40% della produzione globale in materia – è decisamente importante. Ancora di più se si considera che lo stesso numero di produzioni, 15.000, solo 5 anni prima, nel 2017, consentivano all’Europa di vantare una posizione di leadership. Insomma, mentre la regione europea si è mostrata incostante, passando dalle 15.000 pubblicazioni del 2017 alle circa 17.000 del 2019, per tornare alle 15.000 nel 2022, la Cina ha continuato a investire su questo tema, anno su anno, passando dai 13.000 output del 2017 ai quasi 30.000 del 2022.
“I recenti investimenti dimostrano non solo la consapevolezza dell’Europa, fino a pochi anni fa leader mondiale nella ricerca sul tema, del ruolo strategico del settore, ma anche la sua vocazione collaborativa, di cui è un chiaro esempio il progetto IPCEI ME/CT a sostegno della ricerca e dell’innovazione e della prima diffusione industriale della microelettronica e delle tecnologie della comunicazione lungo tutta la catena del valore”, commenta Claudio Colaiacomo, Vice President for Academic Relations. Concepito e notificato da 14 paesi membri, il progetto prevede 8,1 miliardi di euro di finanziamenti pubblici, con la previsione di ulteriori 13,7 miliardi di investimenti privati. “Un’iniziativa che, combinata ai finanziamenti destinati specificamente all’industria dei semiconduttori, potrebbe giocare un ruolo fondamentale nell’inversione della tendenza che vede affermarsi il primato cinese, rilanciando la competitività europea su scala globale”, aggiunge Colaiacomo.
Un settore critico per l’economia globale
Elemento fondamentale per l’elettronica moderna, i semiconduttori sono utilizzati per la produzione di circuiti integrati, nei transistor, per diversi componenti elettronici con proprietà variabili. Il loro impatto ha cambiato settori come le telecomunicazioni, i trasporti, la sanità, l’intrattenimento, grazie a elaborazioni dati più veloci ed efficienti, innovazioni nell’energia rinnovabile, nella robotica e nell’intelligenza artificiale.
Non mancano le sfide: il processo di produzione è molto complesso e richiede un alto livello di precisione, i materiali sono scarsi e costosi, si generano molti rifiuti, la produzione è ad alta intensità energetica. Tuttavia, sono diversi i Paesi che stanno cercando di incrementare la produzione, nel contesto di una complessa situazione geopolitica: gli Stati Uniti – il maggior produttore mondiale – e la Cina – il maggior consumatore mondiale – sono impegnati in una guerra commerciale che mette a rischio l’economia globale. Un “testa a testa” mondiale che emerge anche dalla lettura dei dati relativi alle attività di ricerca.
In questo tentativo globale di affrontare la carenza di semiconduttori, l’Unione Europea non fa eccezione. L’European Chips Act, il piano UE da 43 miliardi di euro per potenziare l’industria dei semiconduttori, che prevede finanziamenti per la ricerca e lo sviluppo, la costruzione di nuove fabbriche e la formazione di nuovi lavoratori, oggi operativo, era stato annunciato a febbraio di quest’anno. Il programma fa parte di una più ampia strategia dell’UE per diventare più indipendente nelle tecnologie strategiche e più competitiva nell’economia globale.
In UE 104mila articoli, oltre la metà da collaborazioni internazionali
Guardando agli ultimi 20 anni in Europa (considerando i paesi CE insieme a Svizzera, Norvegia e Regno Unito), vediamo una crescita non lineare della produzione accademica intorno alle tematiche dei semiconduttori, con le punte maggiori dopo il 2008 e il 2020, in linea con il trend mondiale. Dal 2017, autori europei compaiono nel 25% di tutta la ricerca pubblicata sui semiconduttori, con circa 104mila articoli accademici, il 54% del quale pubblicato con collaborazioni internazionali. Quest’ampia produzione scientifica colloca l’Europa al secondo posto al mondo dopo la Cina, ma comunque, come già anticipato, a una certa distanza. Guardando alle università più attive, il Politecnico di Milano è la prima università italiana, al 15° posto con 1220 pubblicazioni. Tra le aziende europee che pubblicano ricerca in questo settore, Leonardo è la prima italiana ad apparire nella lista delle 100 aziende europee più prolifiche, al 42° posto con 35 paper.
Oltre 56mila articoli internazionali sono pubblicati da autori europei (54% del totale). La maggior parte dei paesi europei collabora con i loro vicini europei, mentre, al di là dell’Europa, gli Stati Uniti si posizionano al primo posto con 11.657 articoli co-autorizzati, seguiti dalla Cina con quasi 10mila. Taiwan ha 884 articoli co-autorizzati con l’Europa.
Quanto ai brevetti, la Germania resta il paese europeo con il portafoglio più grande, nonostante sia diminuito in dimensioni e competitività negli ultimi anni. Il Regno Unito e la Francia occupano il secondo posto per numero di brevetti. L’Italia invece, sebbene abbia un portafoglio piccolo e stabile, ha visto il proprio livello di competitività aumentare, in un’accelerazione che va in direzione opposta a Regno Unito, Germania, Francia e alla maggior parte degli altri paesi UE.
Italia: collaborazioni internazionali oltre la media UE
Tra il 2017 e il 2022, l’Italia ha pubblicato circa 12.500 articoli correlati alla ricerca sui semiconduttori, mostrando un andamento stabile negli anni. La qualità della ricerca è piuttosto buona, con un indice di citazioni (FWCI) di 1.25, poco al di sotto della media nazionale di 1.43. In media, la collaborazione internazionale dell’Italia è leggermente superiore alla media: il 47% delle sue ricerche è in collaborazione con partner internazionali – la media per l’UE 27 è del 42% – e, nel caso della ricerca sui semiconduttori, raggiunge addirittura il 58%. I tre maggiori partner sono Germania e Stati Uniti. Seguono da vicino Francia e Regno Unito. Gli articoli con collaborazioni internazionali mostrano un FWCI complessivamente più elevato – di 1,41 per gli articoli con co-autori internazionali rispetto a 1,07 per le sole collaborazioni nazionali.
Italia: 1,8 miliardi per potenziare il settore
L’industria italiana dei semiconduttori, con aziende come STMicroelectronics, leader globale nel settore, e alcune aziende di nicchia, resta relativamente piccola rispetto a quella di paesi come Stati Uniti, Cina e Corea del Sud, i maggiori produttori di semiconduttori a livello globale. La Cina rappresenta da sola oltre il 30% delle importazioni totali di semiconduttori dell’Italia. Seguono Taiwan e Corea del Sud, con circa il 20% ciascuno. Altri paesi fornitori sono Giappone, Stati Uniti e alcuni paesi europei, tra cui Germania e Paesi Bassi.
Per affrontare la carenza di semiconduttori, sono diverse le misure in via di adozione in Italia. Nel marzo 2023 è stato annunciato un piano di investimento da 1,8 miliardi di euro per potenziare l’industria dei semiconduttori nel Paese e rendere l’Italia più competitiva. Il piano prevede fondi destinati alla ricerca e allo sviluppo, alla costruzione di nuove fabbriche e alla formazione di nuove figure professionali. Commenta Colaiacomo: “Abbiamo davanti una sfida. Per il successo del piano di investimento saranno infatti fondamentali il coinvolgimento e la collaborazione attiva del settore privato. Solo attraverso uno sforzo congiunto tra governo, industria e istituzioni sarà possibile realizzare gli obiettivi prefissati”.
La corsa di Cina e Usa e la rincorsa dell’India
A livello globale vediamo negli ultimi 20 anni una forte crescita, con rallentamenti solo temporanei. Soprattutto, si osservano un cambiamento di leadership dagli Stati Uniti alla Cina e una rapida ascesa dell’India.
Tra il 2017 e il 2022, la Cina distacca gli altri paesi a livello mondiale, con un totale nel periodo considerato di circa 144mila pubblicazioni e avvicinandosi nel solo 2022 alle 30mila. Nel 2022, infatti, la Cina è in testa, con quasi 3 volte la quantità di ricerca degli Stati Uniti e quasi il doppio di quella dell’UE+. L’India mostra una crescita significativa, soprattutto se si considera che, se nel 2012 pubblicava appena un quarto degli Stati Uniti, nel 2022 il paese ha raggiunto i livelli Usa, con un volume complessivo tra 2017 e 2022 di circa 49mila pubblicazioni, che nel quinquennio la collocano al terzo posto.
In ogni caso, anche l’Europa, gli Stati Uniti e il Giappone con la Corea del Sud vantano un aumento nella produzione accademica dal 2017, seppur inferiore alla Cina. Nel 2012, l’UE+ ha svolto il doppio della ricerca rispetto alla Cina, superata anche dagli Stati Uniti. Ma se la Cina ha continuato a crescere, i paesi UE+ non si sono ancora ripresi dal calo del 2019. Una tendenza che potrebbe essere invertita grazie agli importanti finanziamenti annunciati a fine 2022.
In termini di RAI (indice di attività relativa), cioè quanto un determinato paese è prolifico su un certo tema rispetto alla produzione globale su quell’argomento, i rapporti globali cambiano. Taiwan è il paese che mostra la maggiore attività relativa nell’ambito dei semiconduttori, seguito da Corea del Sud, India, Cina e Giappone. Gli Stati Uniti hanno un focus relativamente modesto rispetto ad altre regioni, ma i livelli di citazione degli studi americani sono particolarmente elevati, indicando come i ricercatori seguano da vicino ciò che viene prodotto in America in questo campo. In Europa, Germania e Francia sono leggermente più attive dei loro vicini, ma l’UE nel suo complesso non sembra aver dato priorità alla ricerca in questo settore.
In generale, troviamo i livelli più elevati di collaborazione internazionale nei paesi europei, in Africa e in Canada, con gli Stati Uniti attorno al 45%. In Asia orientale, invece, si riscontrano livelli inferiori di collaborazione internazionale. Cina e India, in particolare, mostrano la percentuale inferiore, appena oltre il 20% del totale.
Brevetti: la Cina in testa con 165mila brevetti
Gli Stati Uniti conquistano il podio invece per quanto riguarda il trasferimento di tecnologia dalla ricerca accademica alle applicazioni industriali, con l’1,8% di produzione scientifica citata da brevetti. Seguono Corea del Sud e Regno Unito (1,3%) e Canada e Francia (1,2%). L’UE+ condivide il quarto posto con il Giappone (1%) e la Cina mostra livelli molto inferiori alla media, con lo 0,5%. L’Italia si allinea invece al trend mondiale con lo 0,9%.
In termini di brevetti, però, la Cina torna a guidare la classifica, con oltre 165mila brevetti, seguita da Giappone, Sud Corea e Usa. Tuttavia, il quadro è reso ulteriormente complesso dalle differenze in termini di impatto competitivo. Se infatti la dimensione del portafoglio della Cina è aumentata notevolmente, questa non è ancora riuscita a superare l’impatto competitivo degli altri paesi. Il Giappone mostra la diminuzione più significativa nella dimensione del portafoglio – che nel 2014 superava gli altri paesi – seguito dagli Stati Uniti. Le posizioni della Corea del Sud e della Germania non sono cambiate molto e, se la dimensione del portafoglio di Taiwan è quasi invariata, il suo impatto competitivo è significativamente aumentato. Anche le dimensioni dei portafogli di Regno Unito, Francia, India e Canada sono state relativamente costanti negli ultimi anni, ma il loro impatto competitivo è diminuito, in particolare nel Regno Unito. L’Italia si fa invece notare in Europa per l’aumento dell’impatto competitivo nel periodo considerato.