Disturbi del neurosviluppo: il supporto ai genitori modifica l’espressione genica nei bambini. Il dato emerge dalla ricerca EPI-BOND
Nei primi anni di vita il comportamento genitoriale è un fattore cruciale per la promozione dello sviluppo del bambino, ancora più rilevante nei casi di bimbi con problemi del neurosviluppo o a rischio evolutivo. Per i genitori di questi bambini la cura e la relazione sono molto complesse. “In primo luogo, affrontano un carico emotivo significativo che si manifesta con alti livelli di stress, sintomi depressivi e ansiosi. In secondo luogo, i segnali comunicativi dei loro bambini possono essere poco chiari e difficili da interpretare, causando una risposta non ottimale”, spiega Elisa Fazzi, presidente SINPIA e direttrice dell’Unità Operativa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, ASST Spedali Civili e Università di Brescia.
La ricerca ministeriale EPI-BOND (Early Parenting Intervention – Biobehavioral Outcomes in infants with Neurodevelopmental Disabilities), condotta dall’IRCCS Eugenio Medea di Bosisio Parini (LC) in collaborazione con l’IRCCS Fondazione Mondino di Pavia e l’Università di Brescia, ha indagato l’efficacia di un intervento di video-feedback, con un approccio collaborativo, rivolto a madri di bambini di 0-2 anni con una neurodisabilità dello sviluppo. Nello studio EPI-BOND non solo sono state prese in considerazione le modificazioni delle competenze genitoriali nel confronto prima e dopo l’intervento di video-feedback, ma si è anche esaminato l’impatto che il supporto genitoriale ha avuto sulle abilità socio-emozionali e sui marcatori epigenetici del bambino.
Lo sviluppo cerebrale nel corso della vita fetale e dei primi anni di vita, i cosiddetti primi mille giorni, è un processo tumultuoso: dalle 28 settimane agli 8 mesi di vita la grandezza del cervello praticamente si duplica. “L’aspetto centrale della nostra riflessione è la neuroplasticità cerebrale, cioè l’idea che il nostro cervello nelle prime fasi dello sviluppo sia plasmabile e in grado di essere sollecitato in modo proattivo e quindi di promuovere delle competenze”, spiega Rosario Montirosso, responsabile del Progetto EPI-BOND e del Centro 0-3 per il bambino a rischio evolutivo dell’IRCCS Medea di Bosisio Parini.
Inoltre, i nostri geni sono ‘sensibili’ a quello che accade nell’ambiente, che nei primi mesi di vita è costituito prevalentemente dal contatto e dagli scambi interattivi con i genitori. In sostanza, le esperienze ‘dicono’ al genoma come deve regolarsi: si tratta di meccanismi che accendono o spengono specifici geni, regolandone l’espressione. Ad esempio, stress precoci possono modificare la reattività del bambino alle successive esperienze avverse proprio a causa di modificazioni epigenetiche che riguardano geni che regolano la risposta allo stress.
Mentre esiste già un notevole filone di ricerca sull’intervento precoce che coinvolge i genitori nell’ambito dei disturbi dello spettro autistico, per le neurodisabilità complesse questa tradizione è in divenire. “Eppure si tratta di una percentuale significativa di famiglie: si stima che ogni anno circa 53 milioni di bambini in tutto il mondo ricevano una diagnosi di disabilità, che costituisce il 13% dei problemi di salute dei bambini. Ecco perché è fondamentale avere dati sull’efficacia degli interventi precoci”, spiega Simona Orcesi, UO Neuropsichiatria Infantile IRCCS Fondazione C. Mondino e Professore Associato di Neuropsichiatria Infantile presso l’Università di Pavia.
Lo studio EPI-BOND ha puntato ad avere delle evidenze empiriche, con un impianto di ricerca rigoroso sui metodi, i tempi e gli strumenti, con un campione di 45 famiglie con bambini con disabilità grave da 0 ai 2 anni (20 femmine e 17 maschi, di età compresa tra 6 e 25 mesi) con diverse condizioni cliniche, che includevano paralisi cerebrale infantile, sindromi genetiche con ritardo psicomotorio, malattie metaboliche, gravi lesioni cerebrali legate alla nascita pretermine.
La strutturazione del progetto EPI-BOND ha previsto 8 sessioni video registrate di interazione e gioco mamma/bambino. La particolarità della metodologia sta nel fatto che lo psicologo affianca la madre nella visione del filmato per far sì che colga gli elementi cruciali attraverso i quali avviare una riflessione su cosa è maggiormente funzionale nell’interazione: prendersi del tempo per osservare quali stimoli producono l’interesse e la partecipazione attiva del bambino; prestare attenzione alle sue espressioni, alle vocalizzazioni e ai suoi movimenti in diverse situazioni e l’individuazione della giusta “dose” di stimolazione. Non a tutti i bambini piacciono giochi energici e iperstimolanti, oppure essere toccati continuamente: ecco che allora il genitore impara a conoscere meglio il suo bimbo, diventando al contempo più consapevole della sua potenzialità nell’interazione quotidiana.
Dopo l’intervento con video feedback, è stato possibile osservare un incremento da parte del genitore in termini di coinvolgimento emotivo, responsività, incoraggiamento e insegnamento. Ma la cosa forse più interessante è che è migliorato anche il bambino, poiché è risultato più interattivo e meno irritabile.
Il gruppo di ricerca ha esaminato anche gli effetti dell’intervento genitoriale sulle variazioni epigenetiche nei bambini con disabilità del neurosviluppo. Nel campione sono stati riscontrati diversi cambiamenti, che si sono verificati in un arco di tempo relativamente breve, ossia nel corso di due mesi durante i quali sono stati effettuati gli 8 incontri di video-feedback: i dati suggeriscono che il miglioramento delle competenze genitoriali durante i primi anni di vita del bambino può avere un impatto sulla regolazione dell’espressione genica del DNA.
Gli interventi terapeutici con i bambini con disturbi del neurosviluppo sono solitamente limitati nel tempo, circoscritti a poche sedute settimanali. Tutto questo avviene in una fase di elevata plasticità cerebrale, quando cioè il trattamento riabilitativo potrebbe avere il suo massimo impatto. Perché allora non coinvolgere i genitori, integrando la potenzialità degli scambi quotidiani con il bambino con l’intervento svolto dai terapisti, di fatto moltiplicando in modo esponenziale il monte ore di supporto alle competenze dello sviluppo e ampliando la possibilità di offrire al bambino delle occasioni di apprendimento nella sua quotidianità?
“Il principio cardine è lavorare insieme ai genitori, partire da quello che sanno fare, sollecitarli a riflettere e porsi domande sulla ricchezza della relazione con il proprio bambino: ebbene, questo modo di lavorare è già di per sé un meccanismo di cambiamento. È importante offrire a queste famiglie un intervento precoce centrato sulla promozione delle potenzialità relazionali di ogni mamma e ogni papà: non basta che genitori siano semplicemente informati sugli sviluppi degli interventi specialistici, è fondamentale che siano parte integrante ed attiva dell’intervento. In questa prospettiva il cambio di passo nel lavoro riabilitativo consiste non tanto nel “che cosa” e nel “come” viene fatto direttamente per i bambini, ma soprattutto nel “che cosa” e nel “come” viene fatto con i loro genitori”, conclude Rosario Montirosso.