I vaccini anti-Covid sono efficaci per le persone affette dalle malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI). A dirlo è lo studio multicentrico, dal titolo ESCAPE
I vaccini anti Sars-Cov-2 sono efficaci sia per la popolazione sana sia per le persone affette dalle malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI). A dirlo è lo studio multicentrico, dal titolo ESCAPE, promosso e condotto dall’Italian Group For The Study Of Inflammatory Bowel Disease (IG-IBD).
Il lavoro ha coinvolto 25 centri e valutato la risposta ai vaccini in 1076 pazienti con MICI e in un gruppo di controllo, composto da 1126 persone sane. I risultati, contenuti in un articolo pubblicato sulla rivista Digestive and liver disease, dimostrano che la riposta anticorpale nei pazienti è stata alta, anche se significativamente più bassa rispetto ai sani.
“Nei pazienti con MICI, il tasso di risposta di sieropositività è risultato del 92,1% mentre nei sani è stato pari al 97%. C’è quindi una differenza nei tassi di sieroconversione dopo il vaccino fra chi ha la malattia e chi invece è sano”, spiega dottor Ambrogio Orlando, responsabile della IBD Unit della Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti “Villa Sofia-Cervello” di Palermo.
Lo studio si è spinto anche nell’osservazione del tasso di sieroconversione nei pazienti con MICI sottoposti a terapia immunosoppressiva, scoprendo come non ci sia alcuna differenza con i pazienti con MICI che non praticano tale terapia. “Ci siamo accorti – commenta Orlando – che la riduzione della sieroconversione era indipendente dai trattamenti immunosoppressivi e quindi era legata intrinsecamente alla malattia infiammatoria intestinale invece che al trattamento. Solo nella valutazione dei vari sottogruppi di trattamento è emersa una lieve riduzione del tasso fra coloro che erano trattati con farmaci biologici anti-TNF Alfa. Questi ultimi essendo potenti immunosoppressori, potrebbero aver condizionato il sistema immunitario nella produzione di anticorpi rispetto a chi non li assumeva”.
Sempre in base ai risultati emersi dallo studio, i ricercatori hanno potuto identificare i fattori che favoriscono la ricomparsa dell’infezione da SARS-CoV-2 fra i pazienti con MICI, dopo la seconda dose di somministrazione del vaccino. Oltre alla mancanza di sieroconversione, cioè alla produzione di anticorpi, gli altri fattori sono risultati l’età giovanile, da correlare al fatto che i ragazzi si muovono di più e hanno maggiori occasioni di incontro, e l’essere ex fumatori.
I pazienti affetti da IBD non sembrano essere ad aumentato rischio di sviluppare infezione da Sars-CoV-2 e non sembrano avere un andamento peggiore dell’infezione rispetto alla popolazione generale. Questi dati emergono da una serie di studi clinici, tra cui quelli condotti sin dalle prime fasi della pandemia da IG-IBD.
“Lo studio IG-IBD è stato il primo del mondo a valutare il decorso di Covid-19 nei pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali e il possibile ruolo delle terapie. Lo studio, che ha incluso 79 pazienti, identificati su tutto il territorio nazionale, ha dimostrato che l’andamento dell’infezione nei pazienti affetti da MICI non era differente rispetto a quello della popolazione generale, per quanto riguardava il tasso di polmoniti, il ricovero in terapia intensiva e di mortalità; i fattori di rischio identificati dallo studio per andamento clinico peggiore erano l’età avanzata, le comorbidità, l’attività di malattia e l’utilizzo di corticosteroidi”, afferma dottoressa Cristina Bezzio, gastroenterologa presso l’Ospedale di Rho (MI) afferente all’Azienda Socio Sanitaria Territoriale Rhodense.
“Negli anni successivi altri studi hanno sostanzialmente confermato questi dati, anche se è emerso anche da altre casistiche che il tasso di ospedalizzazione nei pazienti con IBD e Covid-19 è maggiore rispetto a quello della popolazione generale – prosegue la dottoressa Bezzio – e che, per quanto riguarda le terapie, sembrerebbe che solamente i corticosteroidi siano associati a un maggior tasso di ricoveri ospedalieri, di ricovero in terapia intensiva e di mortalità.”
Da studi successivi è emerso addirittura che i farmaci biologici usati per il trattamento delle MICI, in particolare gli anti TNF alpha, potrebbero avere un ruolo protettivo sulle forme più gravi dell’infezione. Ciò potrebbe essere spiegato dal fatto che “la terapia con anti-TNF alpha potrebbe bloccare la cascata infiammatoria innescata dal virus, che si scatena nelle forme più gravi di covid-19”.
Alla luce di questi dati, le linee guida internazionali raccomandano di non sospendere preventivamente le terapie immunomodulanti che i pazienti con MICI assumono, al fine di evitare riattivazioni della malattia intestinale, reale fattore di rischio per andamento peggiore dell’infezione da SARS-CoV-2.