Carcinoma uroteliale metastatico: erdafitinib nuova opzione di cura


Carcinoma uroteliale metastatico: erdafitinib possibile nuovo standard di cura per i pazienti con alterazioni di FGFR

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Nei pazienti affetti da carcinoma uroteliale metastatico, con alterazioni dei geni FGFR 2 e 3 e già trattati con un anti-PD-1, il trattamento con l’inibitore della tirosin-chinasi (TKI) di FGFR2 erdafitinib può fornire un beneficio clinicamente significativo rispetto alla chemioterapia scelta dallo sperimentatore. Lo dimostrano i risultati dello studio di fase 3 THOR, presentati al recente congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), a Chicago.

Nel braccio trattato con erdafitinib, infatti, si è osservata una riduzione del rischio di morte del 36% rispetto al braccio trattato con la chemioterapia.

I risultati dello studio sono stati presentati da Yohann Loriot, dell’Institut Gustave Roussy e dell’Università Paris-Saclay di Villejuif (Parigi), il quale ha affermato nelle sue conclusioni che, sulla base dei risultati dello studio THOR, erdafitinib dovrebbe essere considerato il nuovo standard di cura per questa popolazione di pazienti.

In particolare, con un follow-up mediano di 15,9 mesi la sopravvivenza globale (OS) mediana è risultata di 12,1 mesi nei 136 pazienti trattati con erdafitinib contro 7,8 mesi nei 130 pazienti trattati con docetaxel o vinflunina, a scelta dallo sperimentatore (HR 0,64; IC al 95% 0,47-0,88; P = 0,005). Loriot ha spiegato che dopo i risultati dell’analisi ad interim, il comitato di monitoraggio indipendente dello studio ha raccomandato di interrompere anticipatamente lo studio, togliere il cieco e trasferire i pazienti dal trattamento con la chemioterapia a quello con erdafitinib.

La sopravvivenza libera da progressione (PFS) mediana è risultata di 5,6 mesi con erdafitinib contro 2,7 mesi con la chemio, differenza che si traduce in una riduzione del rischio di progressione della malattia o di morte del 42% per il braccio sperimentale (HR 0,58; IC al 95% 0,44-0,78; P = 0,0002).

Anche il tasso di risposta globale (ORR) è risultato a favore di erdafitinib rispetto alla chemio: 45,6% contro 11,5%, con un tasso di risposta completa del 6,6% contro 0,8% e un tasso di risposta parziale del 39% contro 10,8%.

L’efficacia clinica dimostrata da erdafitinib nello studio THOR, ha detto Loriot, pone le basi per la sua adozione come standard-of-care per i pazienti con carcinoma uroteliale metastatico e alterazioni di FGFR dopo il fallimento di un trattamento con un anti-PD-1 o un anti-PD-L1.

Test di FGFR per tutti i pazienti con tumore metastatico
L’autore ha anche aggiunto che il beneficio di OS associato al trattamento con erdafitinib in questo studio evidenzia l’opportunità di sottoporre tutti i pazienti con carcinoma uroteliale metastatico all’analisi molecolare per individuare la presenza di alterazioni di FGFR.

Sulla stessa linea anche il commento di Daniel P. Petrylak, del Cancer Signaling Networks presso lo Yale Cancer Center di New Haven, Connecticut. L’esperto ha ricordato che, secondo dati recenti, tra il 2019 e il 2021 solo il 41% dei pazienti è stato sottoposto al test per rilevare le alterazioni di FGFR e solo il 30% è stato avviato al trattamento con erdafitinib, una cifra deludente. «Il messaggio più importante della giornata è che tutti i pazienti con carcinoma uroteliale metastatico devono essere testati per le alterazioni di FGFR3 o FGFR2», ha dichiarato Petrylak.

Lo studio THOR, trial di conferma
Erdafitinib aveva ricevuto l’approvazione accelerata da parte della Food and drug Administration il 12 aprile 2019 per il trattamento di pazienti con carcinoma uroteliale metastatico o localmente avanzato portatori di alterazioni di FGFR3 o FGFR2, con malattia in progressione dopo almeno una chemioterapia a base di platino. L’approvazione si è basata sui dati dello studio di fase 2 BLC2001 (NCT02365597), Lo studio di fase 3 THOR rappresenta il trial di conferma.

THOR (NCT03390504) è uno studio multicentrico randomizzato, in aperto, disegnato per confrontare l’efficacia e la sicurezza di erdafitinib rispetto alla chemioterapia in pazienti con carcinoma uroteliale metastatico o non resecabile in stadio IV.

Dopo essere stati sottoposti a screening per verificare la presenza di alterazioni di FGFR, i pazienti sono stati assegnati a due coorti in funzione del trattamento precedente effettuato. Quelli sottoposti a una terapia precedente con anti-PD-1 (coorte 1) sono stati assegnati in modo casuale al trattamento con erdafitinib o alla chemioterapia scelta dallo sperimentatore e fanno parte dell’analisi presentata al convegno. Erdafitinib è stato somministrato alla dose di 8 mg una volta al giorno, aumentata a 9 mg una volta al giorno a patto che il livello di fosfato sierico fosse inferiore o uguale a 9,0 mg/dl e in assenza di eventi avversi correlati al trattamento il quattordicesimo giorno di terapiaLa chemioterapia era costituita da docetaxel 75 mg/m2 o vinflunina 320 mg/m2 ogni 3 settimane, a scelta dello sperimentatore.

Il trattamento è proseguito fino alla progressione della malattia, allo sviluppo di una tossicità non tollerabile o al ritiro del consenso da parte del paziente. I controlli mediante Tac o Rm sono state eseguiti ogni 6 settimane per i primi 6 mesi, ogni 12 settimane per i 6 mesi successivi e poi secondo indicazione clinica.

L’endpoint primario era l’OS mentre quelli secondari erano la PFS, l’ORR e la sicurezza.

Due terzi dei pazienti già trattati con due linee di terapia
In questa coorte di pazienti, il 33,1% nel braccio erdafitinib era stato trattato con una linea di terapia sistemica precedente, di cui il 24,3% con un anti-PD-1 in combinazione con la chemioterapia e l’8,1% con un anti-PD-1 da solo. Nel braccio della chemioterapia era stato trattato con una linea di terapia sistemica precedente il 25,4% dei pazienti, di cui l’11,5% con una combinazione chemioterapia-anti-PD-1 e il 12,3% con un anti-PD-1 in monoterapia.

Nei pazienti del braccio erdafitinib già trattati con due linee di terapia sistemica (il 66,2%), nella maggior parte dei casi (56,6%) la prima linea era stata la chemioterapia da sola, nel 4,4% la chemioterapia più un anti-PD-1 e nel restante 5,1% un altro tipo di trattamento. Invece, nel 74,6% dei pazienti del braccio della chemioterapia già trattati con due linee di terapia sistemica, nel 58,5% dei casi la prima linea era stata la chemioterapia da sola, nel 7,7% la combinazione di chemioterapia e anti-PD-1 e nell’8,8% un altro trattamento.

Per quanto riguarda la terapia di seconda linea, era consistita in un anti-PD-1 in monoterapia nel 55,9% dei pazienti del braccio erdafitinib e nel 58,5% dei pazienti del braccio di confronto, nella chemioterapia da sola rispettivamente nel 7,4% e 10,8% dei pazienti e in un altro trattamento nel 2,9% e 5,4% dei pazienti.

Altre caratteristiche dei pazienti
Le altre caratteristiche basali erano ben bilanciate tra i bracci. L’età mediana nel braccio erdafitinib era di 66 anni (range: 32-85), la maggior parte dei pazienti era di sesso maschile (70,6%), di razza bianca (59,6%) e con metastasi viscerali (74,3%), di cui il 22,8% al fegato. Quasi tutti i pazienti (il 91,2%) avevano un ECOG performance status di 0 o 1.

I tumori primari erano presenti nel tratto superiore nel 30,1% dei pazienti del braccio erdafitinib e nel 36,9% di quelli del braccio di confronto.

La maggior parte dei partecipanti aveva una bassa espressione di PD-L1 (CPS < 10) sia nel braccio sperimentale (92,7% dei 96 pazienti valutabili) sia in quello di confronto (86,1% dei 79 pazienti valutabili).

Inoltre, al basale la maggior parte dei partecipanti era portatrice di mutazioni di FGFR (rispettivamente il 79,4% e l’82,3%), una piccola parte di fusioni di FGFR (18,4% e 14,6%) e solo una minima percentuale di entrambi i tipi di alterazioni (1,5% e 2,3%).

Risultati coerenti nei sottogruppi
I risultati sono stati coerenti in tutti i sottogruppi, tuttavia quelli hanno mostrato di trarre i maggiori benefici dalla terapia con erdafitinib sono stati il sottogruppo dei portatori di traslocazioni genetiche e quello in cui la localizzazione del tumore primario era a livello del tratto superiore.

Infatti, i partecipanti con traslocazioni di FGFR trattati con erdafitinib hanno raggiunto un’OS mediana doppia rispetto a quelli trattati con la chemioterapia: 16,4 mesi contro 8,0 mesi (HR 0,49; IC al 95% 0,23-1,03). Quelli con tumori a livello del tratto superiore hanno mostrato un’OS mediana addirittura triplicata se trattati con il TKI rispetto alla chemioterapia: 23,3 mesi contro 7,2 mesi (HR 0,34; IC al 95% 0,18-0,64). A questo proposito, Loriot ha tuttavia precisato che la differenza riscontrata nei pazienti con localizzazione a livello del tratto superiore rispetto alla vescica potrebbe essere imputabile a mutazioni e altre componenti biologiche, ma al momento non sono disponibili dati conclusivi.

I risultati di sicurezza
Riguardo alla sicurezza, tra i pazienti del braccio erdafitinib in cui si è potuta valutare la sicurezza (135), il 45,9% ha manifestato almeno un evento avverso di grado 3/4 correlato al trattamento. Quelli più comuni, di qualsiasi grado o di grado 3/4 in questo braccio sono stati iperfosfatemia (78,5% e 5,2%), diarrea (54,8% e 3%), stomatite (45,9% e 8,1%), secchezza delle fauci (38,5% e 0%), eritrodisestesia palmo-plantare (30,4% e 9,6%) e onicolisi (23% e 5,9%).

Nel 112 pazienti valutabili del braccio assegnato alla chemioterapia, i risultati sono stati simili: il 46,4% ha manifestato almeno un evento avverso di grado 3/4 correlato al trattamento. Gli eventi più comuni, di qualsiasi grado e di grado 3/4 sono stati anemia (27,7% e 6,3%), alopecia (21,4% e 0%), nausea (19,6% e 1,8%), neutropenia (18,8% e 13,4%), leucopenia (11,6% e 8%) e neutropenia febbrile (8% e 8,9%).

I pazienti che hanno interrotto il trattamento sono stati l’8,1% nel braccio erdafitinib e il 13,4% in quello della chemioterapia.

Inoltre, sono stati riportati eventi avversi seri nel 13,3% dei pazienti del braccio erdafitinib, nei quali si è registrato anche un decesso correlato al trattamento, per morte improvvisa. Gli eventi avversi nel braccio sperimentale sono stati per lo più gestibili attraverso l’aggiustamento della dose e terapie di supporto.

Nel braccio della chemioterapia, il 24,1% dei pazienti ha manifestato eventi avversi seri e i decessi correlati al trattamento sono stati sei (due per aplasia midollare febbrile, uno legato a neutropenia febbrile, due per shock settico e uno per una polmonite atipica).

Gli eventi avversi indicati nel protocollo come di interesse speciale includevano alterazioni delle unghie, della cute, disturbi oculari in generale e retinopatia sierosa centrale. Nel braccio erdafitinib questi eventi di qualsiasi grado hanno mostrato un’incidenza rispettivamente del 66,7%, 54,8%, 42,2% e 17,0%, e rispettivamente dell’11,1%, 11,9%, 2,2% e 2,2% se di grado 3/4. Nel braccio trattato con la chemioterapia, nessuno di questi eventi è risultato di grado 3/4, bensì di grado 1/2, con un’incidenza del 5,4% per le alterazioni ungueali, 12,5% per quelle cutanee e 5,4% per quelle oculari.

Passi futuri
Petrylak nel suo commento ha osservato che ulteriori studi dovranno identificare la sequenza più razionale dei trattamenti di terza linea con erdafitinib, enfortumab vedotin e sacituzumab govitecan, ma allo stato attuale la scelta tra questi agenti dovrebbe essere presa in base al profilo di tossicità dei farmaci.

Bibliografia
Y. Loriot, et al. Phase 3 THOR study: results of erdafitinib (erda) versus chemotherapy (chemo) in patients (pts) with advanced or metastatic urothelial cancer (mUC) with select fibroblast growth factor receptor alterations (FGFRalt). J Clin Oncol. 2023;41(suppl 17):LBA4619; doi: 10.1200/JCO.2023.41.17_suppl.LBA4619. Link