Assegnato a Robin Foà, ematologo e ricercatore sostenuto da AIRC, il premio José Carreras per i risultati ottenuti nello studio dei tumori del sangue
Per “l’impareggiabile competenza e dedizione nel progresso della conoscenza sulle malattie linfoproliferative croniche e acute” Robin Foà si è aggiudicato il José Carreras Award, uno dei premi alla carriera più prestigiosi per lo studio delle malattie del sangue. La cerimonia di consegna del riconoscimento è avvenuta questo giugno a Francoforte, in occasione del congresso della European Hematology Association (EHA).
Foà è il quarto italiano ad aggiudicarsi il Carreras Award, dopo Lucio Luzzatto (2002), Brunangelo Falini (2010) e Francesco Lo Coco (2018). Le ricerche di Foà sono incentrate da tempo sulle caratteristiche genetiche e molecolari delle leucemie e dei linfomi. Tra i risultati più importanti, vi è lo sviluppo di un nuovo trattamento per la leucemia linfoblastica acuta, positiva per il cromosoma Philadelphia (Ph+), degli adulti. Il risultato è stato raggiunto grazie anche al contributo di Fondazione AIRC, che sostiene il suo gruppo di ricerca da tantissimi anni e dal 2010 anche nell’ambito dei programmi 5 per mille.
Com’è cambiata la cura della leucemia linfoblastica acuta Philadelphia positiva?
Il successo personale di Foà – ma soprattutto dei pazienti che hanno potuto beneficiare di questa innovazione terapeutica – riguarda la cura della “neoplasia ematologica che era a prognosi più infausta nel passato, la leucemia linfoblastica acuta, e in particolare del sottogruppo di questo tumore, quello positivo per il cromosoma Ph+, più frequente tra gli adulti” spiega lo specialista. In pratica, oltre i 50 anni più di un caso su due di leucemia linfoblastica acuta porta questa anomalia cromosomica.
Il cromosoma Philadelphia è dovuto a una ricombinazione aberrante tra i cromosomi 9 e 22, che porta alla formazione di un gene ibrido, il BCR::ABL1, e quindi all’attivazione incontrollata della tirosin-chinasi (TKI), un enzima che favorisce la progressione tumorale. Si tratta della prima alterazione citogenetica che è stata associata a un tumore umano, la leucemia mieloide cronica. In seguito ci si è accorti che questa anomalia era anche all’origine di altri tipi di leucemie, tra cui una parte delle linfoblastiche acute, e si è compreso come contrastarla. È stato così sviluppato l’imatinib, il primo farmaco a bersaglio molecolare, che inibisce in modo specifico la tirosin-chinasi (TKI). Nel tempo l’uso di questo inibitore, e dei molti che sono seguiti, ha cambiato la storia naturale della leucemia mieloide cronica ed è stato anche esteso ai pazienti con leucemia linfoblastica acuta Ph+.
“Fummo i primi a dimostrare, in uno studio condotto dal gruppo cooperatore italiano GIMEMA iniziato nel 2000, l’efficacia di un trattamento di induzione.” Si tratta del primo passo della terapia nelle malattie oncologiche del sangue. “Quel trattamento era basato sull’uso dell’imatinib assieme al cortisone e senza chemioterapia” ricorda Foà, 74 anni, già direttore della divisione di ematologia del Policlinico Umberto I, e ora professore emerito di ematologia all’Università La Sapienza di Roma. “Per ragioni etiche scegliemmo di studiarlo prima nei pazienti anziani, a cui erano spesso offerte soltanto terapie palliative, perché non potevano essere trattati con chemioterapia e trapianto di cellule staminali. Alla luce degli ottimi risultati ottenuti sono stati poi condotti studi su numerosi protocolli di prima linea con i diversi inibitori delle tirosin-chinasi. Con piccole differenze tra i diversi studi, nei pazienti adulti di tutte le età sono state registrate remissioni complete della malattia nel 94-100 per cento dei casi, a fronte di una tossicità estremamente bassa.”
Terapia a bersaglio molecolare e immunoterapia
Un ulteriore miglioramento dei risultati e della prognosi negli adulti di qualunque età con questa forma di leucemia linfoblastica acuta si è raggiunto aggiungendo alla terapia con l’inibitore della tirosin-chinasi dasatinib, l’immunoterapia con il blinatumomab, un anticorpo bispecifico. Il “cocktail” con il dasatinib in induzione seguito dal blinatumomab in consolidamento “ha portato oltre l’80 per cento dei pazienti trattati con questo approccio a ottenere una remissione molecolare della malattia” aggiunge Foà. Nella sua lezione, tenuta a Francoforte durante la cerimonia di conferimento del premio, Foà ha riportato alcuni risultati, non ancora pubblicati: dopo un follow-up di oltre 4 anni, i tassi di sopravvivenza hanno raggiunto per la prima volta percentuali attorno al 75-80 per cento. “Molti pazienti oggi possono essere gestiti senza la chemioterapia sistemica e il trapianto di cellule staminali”, ma bisogna ancora dare ulteriori risposte e speranze ai pazienti affetti da leucemie linfoidi acute e croniche e linfomi che vedono la propria malattia diffondersi a distanza. “Confidiamo di farlo grazie all’ultimo programma sostenuto con i fondi del 5 per mille” afferma Foà e aggiunge, ripensando ai risultati ottenuti finora: “Non avremmo mai potuto raggiungerli senza il contributo di Fondazione AIRC”.