“C’erano tutti i parenti”, ecco chi ha ucciso Saman Abbas: parlano i detenuti in carcere con lo zio della ragazza. Il capo della Procura reggiana ha chiesto che gli imputati restino in carcere per tutta la durata del processo
Il padre, lo zio e i due cugini di Saman Abbas, accusati di aver ucciso la 18enne pachistana nel 2021 a Novellara, restino in carcere per tutta la durata del processo di primo grado in cui sono imputati a Reggio Emilia. Lo ha chiesto stamattina in aula il capo della Procura reggiana Calogero Gaetano Paci, inoltrando in particolare alla Corte d’Assise un’istanza di sospensione dei termini di custodia cautelare “fino al limite massimo” consentito dalle norme. La richiesta del procuratore discende da due motivi. Innanzitutto, spiega lo stesso Paci, perché “gli imputati non hanno avuto alcuna esitazione nel darsi alla fuga nell’immediatezza del fatto” riparando all’estero e creando “non pochi problemi alla Corte”.
I due cugini Ikram Ijaz e Nomanullaq Nomanullaq e lo zio di Saman Danish Hasnain, sono infatti stati arrestati in Spagna e Francia, mentre il padre Shabbar Abbas, dopo un lungo iter, è stato solo di recente estradato dal Pakistan dove la moglie (Nazia Shaeen) è invece ancora latitante. Per Paci c’è anche una ragione tecnica, che riguarda i tempi del processo, destinati ad allungarsi proprio per le integrazioni all’istruttoria presentate dall’ufficio di Procura e ammesse stamattina dalla presidente Cristina Beretti. In particolare saranno sentiti dei nuovi testimoni che ruotano intorno alle segnalazioni di fine agosto di due detenuti del carcere di Reggio a cui lo zio di Saman Danish, in un momento di “particolare sconforto personale”, avrebbe rivelato i dettagli dell’omicidio della giovane e dell’occultamento del suo cadavere (fatto poi ritrovare dallo stesso imputato indicando un casolare diroccato a Novellara vicino alla casa di famiglia).
I due detenuti, cittadini nordafricani, sono stati sentiti dagli investigatori a inizio settembre. Uno di loro ha riferito quanto gli avrebbe raccontato Danish Hasnain, mentre il secondo detenuto ha detto di aver avuto le informazioni “de relato” dal primo. La Procura ha poi chiesto di sentire sul banco dei testimoni anche il comandante e un agente di polizia penitenziaria, oltre ad una infermiera, a cui i detenuti avrebbero rivelato l’intenzione di voler parlare con i magistrati.
Secondo quanto trapelato dai racconti dei due reclusi, all’omicidio di Saman Abbas sarebbero stati presenti tutti e cinque i parenti imputati: i due cugini l’avrebbero tenuta ferma e lo zio le avrebbe spezzato il collo. I difensori degli imputati non si sono opposti all’audizione dei nuovi testimoni, puntando però fin da subito a minarne la credibilità. Liborio Cataliotti, che assiste Danish Hasnain, ha fatto presente che uno dei detenuti, di nazionalità marocchina, ha riportato più di una condanna per maltrattamenti in famiglia, perché non sopportava lo stile di vita “troppo occidentale” adottato dalla moglie e dalla figlia. Inoltre, dice Cataliotti, “alcuni particolari ‘inediti’ che questi grandi accusatori hanno riferito (un mozzicone di sigaretta sul luogo del delitto e un frigorifero sopra la fossa in cui Saman era stata sotterrata, ndr) erano in realtà ben noti e riportati da organi di stampa”.
Ancora più netto Luigi Scarcella (per Nomanullaq, Nomanullaq) che parla dei detenuti come di “teatranti del genere farsa” e di “contraddizioni, smentite e affermazioni ridicole” nelle loro versioni che su alcuni punti non coincidono totalmente. Per Enrico Della Capanna, codifensore di Shabbar Abbas, “chi è sottoposto a restrizione può dire delle cose per molti motivi, non ultimo ottenere dei vantaggi. Ma, in un processo come questo non è giusto”. Della Capanna ha poi chiesto di sentire anche un detenuto “eccellente” che per qualche tempo ha condiviso la cella con Hasnain: Milan Racz, condannato lo scorso maggio a 23 anni per un omicidio in città. Secondo il Procuratore Paci, invece, lo zio di Saman avrebbe reso “per la prima volta una confessione sulla sua partecipazione al delitto, sulle modalità con cui si è svolto e sull’organizzazione dell’intera vicenda”