SIGENP: uno studio condotto in Italia e Usa ha chiarito che alcuni fattori ambientali abbassano e altri aumentano le probabilità di sviluppare celiachia
Era noto da tempo che una determinata struttura del sistema HLA (un gruppo di geni) è una condizione quasi necessaria per lo sviluppo della celiachia. Ma non era chiaro perchè la malattia insorgesse effettivamente solo nel 3% dei soggetti con questo difetto genetico. A Matera, nel corso il XXX Congresso Nazionale della SIGENP – Società Italiana di Gastroenterologia e Nutrizione Pediatrica presieduta dal professor Claudio Romano, è stato presentato uno studio condotto negli Stati Uniti (Harvard) e in Italia (Roma, Milano, Ancona, Salerno, Bari, Bergamo, Genova, Bologna) che ha scoperto quali fattori ambientali, in presenza della predisposizione genetica, possono favorire o ostacolare l’insorgere della patologia.
La celiachia ha le massime probabilità di manifestarsi non solo quando la predisposizione è più marcata, ma anche se sono stati assunti antibiotici o determinati farmaci anticidi cioè inibitori della pompa protonica (per periodi prolungati); e soprattutto nelle bambine.
Per contro, il suo sviluppo sembra invece essere chiaramente ostacolata nei bambini maschi che, oltre ad avere un rischio genetico meno acuto, assumono probiotici, hanno accanto a sè animali domestici come cani e gatti e hanno avuto infezioni virali.
“I legami tra l’insorgenza della celiachia e questi fattori ambientali” commenta il professor Claudio Romano, presidente SIGENP, “a questo punto sono evidenti, ma è chiaro che andranno indagati a fondo, in altri studi, per comprenderne la natura e i meccanismi. Tuttavia, quello che è emerso da questa ricerca è importante perchè fornisce indicazioni che potrebbero aiutare a prevenire o almeno a non favorire la patologia”.
Lo studio, promosso dal professor Alessio Fasano del Massachusetts General Hospital, Harvard Medical School, Boston e coordinato in Italia dal professor Francesco Valitutti ricercatore in Pediatria presso l’Università di Perugia, è stato condotto finora su 423 bambini (219 negli Stati Uniti e 204 nel nostro Paese), seguendoli dalla nascita fino ai sette anni analizzando 80 fattori clinici identificati da questionari longitudinali, compilati periodicamente dai genitori, relativi a dati demografici, storia medica, ambiente e abitudini alimentari. “Questo studio, denominato CD-GEMM, dall’acronimo inglese Celiac Disease Genomica Environmental Microbiome and Metabolomic”, specifica il dottor Valitutti, “si pone fondamentalmente due obbiettivi ambiziosi: identificare marcatori non invasivi per una diagnosi molto precoce della celiachia; intercettarla prima del suo pieno sviluppo clinico, nell’ottica di una prevenzione primaria della stessa, contrastando i fattori di rischio ambientali e facendo in modo che non si perda del tutto la tolleranza immunologica al glutine”.