Diabete di tipo 1: l’Europa attende l’approvazione di teplizumab per ritardare l’insorgenza della malattia
Mentre uno studio pubblicato di recente su Lancet rivela proiezioni allarmanti sul carico globale del diabete per il 2050, le persone con diabete di tipo 1 in stadio 2 attendono in Europa e in Italia l’arrivo di teplizumab, il primo farmaco in grado di ritardare l’insorgenza della malattia di 2-5 anni. Nonostante il diabete di tipo 1 rappresenti circa il 10% di tutti i casi di diabete, si tratta di una patologia cronica che insorge in giovane età, con costi elevatissimi sia economici che sociali.
Il diabete di tipo 1 si sviluppa il tre stadi e quasi tutti i pazienti allo stadio 2 passano al terzo entro 1-5 anni. Lo stadio 3 è il più insidioso con l’entrata nella routine dei numerosi controlli glicemici e delle iniezioni di insulina. Ritardare l’evoluzione della malattia allo stadio 3 può inoltre ridurre il rischio del paziente di sviluppare chetoacidosi diabetica, una complicanza spesso pericolosa per la vita, e ridurre lo stress, la paura e l’ansia associati alla progressione della malattia.
Teplizumab è un anticorpo anti-CD3 (un antigene di superficie cellulare presente sui linfociti T) che agisce riprogrammando il sistema immunitario per impedire che attacchi erroneamente le cellule pancreatiche che producono insulina. Allo stesso tempo aumenta la proporzione di cellule T regolatorie e cellule T CD8+ esaurite nel sangue periferico, che aiutano a moderare la risposta immunitaria.
Il farmaco viene somministrato per infusione endovenosa una volta al giorno per 14 giorni consecutivi. In diversi studi ha mostrato la capacità di ritardare l’esordio clinico del diabete di tipo 1 in pazienti dagli 8 anni in poi. Gli studi condotti hanno portato all’approvazione della molecola da parte della FDA statunitense nel novembre 2022.
Attesa per il via libera di EMA e AIFA
Se nel 2021 circa 529 milioni di persone vivevano con il diabete (il 6% della popolazione mondiale), le stime per il 2050 descrivono uno scenario allarmante con circa 1,31 miliardi di persone e con un incremento di quasi il 300%. La crescita della popolazione, l’invecchiamento e l’incremento dell’obesità sono i fattori dell’aumento del numero di casi di diabete di circa l’1,7 % all’anno.
In tutto il mondo ci sono 8,4 milioni di persone con diabete di tipo 1 e nel 2021 ci sono stati 0,5 milioni di nuovi casi diagnosticati in età infantile adolescenziale. Si prevede che entro il 2040 questo numero aumenterà tra 13,5 e 17,4 milioni di casi.
«C’è una grande attesa in Europa e in Italia, dove si aspetta il via libera di EMA e AIFA, dato che teplizumab si è dimostrato efficace nel prevenire la perdita di funzione delle cellule beta pancreatiche, che nei soggetti con diabete sono aggredite e progressivamente distrutte dal sistema immunitario del paziente» spiega la prof.ssa Raffaella Buzzetti, Presidente Eletto della Società Italiana di Diabetologia (SID). «Si tratta di un vantaggio importante che offre mesi e anni liberi dalla malattia, la possibilità di pianificare e organizzare la vita e, perché no, prendere tempo rispetto a trattamenti che potrebbero curarla».
«Nello studio TN-10 con un ciclo di terapia endovena di 14 giorni, teplizumab ha ritardato di 25 mesi l’esordio della malattia, mentre un aggiornamento dello studio del 2021 ha mostrato un ulteriore vantaggio, rimandando l’appuntamento con la diagnosi di 32,5 mesi» aggiunge. «Gli studi ci hanno mostrato che l’insorgenza annua della malattia era del 35,9% nel gruppo trattato con placebo e del 14,9% in quello trattato con teplizumab, ma non solo: è stata evidenziata la capacità di ridurre l’attività aggressiva dei linfociti T CD8+, che riducono la capacità delle cellule beta del pancreas di funzionare»,
Per molti ma non per tutti
La sfida attuale, di fronte a questa nuova opportunità, è identificare il paziente che ne possa trarre vantaggio. «Possono beneficiarne i soggetti con più di 8 anni di età con predisposizione al diabete tipo 1, nei quali quindi lo screening abbia evidenziato due o più autoanticorpi e che abbiano una condizione di disglicemia» sottolinea il prof. Angelo Avogaro, Presidente SID. «Per questo motivo è necessario un programma di screening che individui i soggetti con diabete di tipo 1 allo stadio 2. Un obiettivo che può essere raggiunto con un semplice ed economico prelievo di sangue su alcune fasce della popolazione e con l’istituzione di un Registro Nazionale di Patologia».
Effetti collaterali transitori
Gli effetti collaterali più comuni interessano reazioni nella sede dell’infusione, sintomi simil influenzali, affaticamento, dolori articolari, nausea e cefalea. Meno comuni sono invece la sindrome da rilascio di citochine (una seria reazione infiammatoria sistemica), linfopenia (diminuzione dei linfociti) che tornano alla normalità in circa 30 giorni, riattivazione di infezioni come TBC e Epstein Barr Virus.