Punteggi di disabilità più elevati rappresentano un predittore potenziale del rischio di fratture nei pazienti con sclerosi sistemica secondo uno studio
Punteggi di disabilità più elevati rappresentano un predittore potenziale del rischio di fratture nei pazienti con sclerosi sistemica. Questo il responso di uno studio Usa recentemente pubblicato su Arthritis Care & Research, che suffraga dati precedenti di letteratura di provenienza francese che avevano documentato come la SSc fosse associata ad un rischio maggiore di osteoporosi e fratture rispetto alla popolazione generale.
Razionale e disegno dello studio
La prevenzione e la gestione delle complicanze della SSc sono importanti per ridurre al minimo la progressione verso la perdita funzionale e la disabilità, che hanno entrambe un impatto negativo sulla qualità della vita e sulla sopravvivenza di questi pazienti, ricordano i ricercatori nell’introduzione allo studio. In particolare, molte complicanze della SSc (ad esempio, l’infiammazione sistemica cronica, il malassorbimento o la malnutrizione gastrointestinale, i bassi livelli di vitamina D, la malattia renale e la limitazione dell’attività fisica dovuta a contratture e/o debolezza), rappresentato dei potenziali fattori di rischio per l’osteoporosi e le fratture.
Inoltre, diversi farmaci utilizzati per trattare le manifestazioni della SSc, come gli inibitori di pompa protonica (IPP), i glucocorticoidi, gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), gli oppioidi e i FANS possono contribuire al rischio e/o al tasso di fratture.
Di conseguenza, i pazienti con SSc possono presentare un maggior numero di fratture, sia per le complicanze specifiche della malattia che per l’esposizione ai farmaci utilizzati per gestire la disfunzione multisistemica.
Ciò premesso, l’identificazione di fattori di rischio modificabili per le fratture potrebbe migliorare la qualità di vita di questi pazienti. Lo scopo di questo studio, pertanto, è stato quello di esaminare la relazione tra i fattori di rischio clinici (ad esempio, l’uso di farmaci e le caratteristiche cliniche della SSc) e le fratture nei pazienti affetti da SSc in un’ampia coorte statunitense, nonché di determinare come questi fattori si rapportino rispetto ad un gruppo di pazienti con OA della stessa coorte di pari età e genere, ma non affetti da SSc.
Per studiare i potenziali fattori associati al rischio di frattura nei pazienti con SSc, i ricercatori hanno condotto un’analisi del database FORWARD, una banca dati nazionale di pazienti con malattie reumatiche. Sono stati inclusi nell’analisi i pazienti del registro con SSc, così come i pazienti di età e sesso corrispondenti con OA come gruppo di confronto, secondo un rapporto di 1:5.
Di tutti i pazienti registrati nel database erano note alcune variabili demografiche e cliniche, rilevate sia al momento dell’arruolamento che su base semestrale. I dati riportati regolarmente comprendevano l’età, la durata della malattia, lo stato di menopausa, il livello di istruzione, il BMI e lo stato di fumatore. Sesso ed etnia, inoltre, erano stati riportati al momento dell’iscrizione nel database.
I pazienti, inoltre, hanno fornito dettagli sulla loro storia clinica e sull’impiego di farmaci sia al reclutamento nello studio che mediante compilazione di questionari semestrali.
I ricercatori hanno utilizzato diversi strumenti di valutazione della gravità delle fratture e della malattia, come il Fracture Risk Assessment Tool (FRAX), l’Health Assessment Questionnaire-Disability Index (HAQ-DI) e il Rheumatic Disease Comorbidity Index (RDCI).
L’outcome primario era rappresentato dal verificarsi di una frattura osteoporotica maggiore. Non sono state considerate le fratture del cranio, delle mani, dei piedi, delle dita delle mani e dei piedi.
Risultati principali
L’analisi ha incluso un totale di 922 pazienti; di questi, 154 erano affetti da SSc e 768 da OA. In tutto, 51 pazienti hanno sperimentato almeno un frattura durante un follow-up avente una durata mediana di 4,2 anni.
In generale, i pazienti con SSc avevano maggiori probabilità, rispetto a quelli con OA, di sperimentare una frattura (HR = 2,38; IC95%: 1,47-3,83).
Tra i pazienti con SSc, i fattori associati con più fratture erano rappresentati da un indice di comorbilità reumatiche e da un punteggio di disabilità più elevati (HR: 1,45; IC95%: 1,2-1,75 e HR: 3,83; IC95%: 2,12-6,93), rispettivamente.
Riassumendo
Nel commentare i risultati, i ricercatori hanno sottolineato come il loro studio sia il primo, a loro conoscenza, ad aver identificato nella disabilità un fattore di rischio diretto e parzialmente modificabile di frattura nei pazienti con SSc.
La disabilità nella SSc, misurata dall’HAQ DI, rappresenta un indicatore particolarmente forte del futuro tasso di fratture. Per questo, secondo gli autori dello studio, lo screening di routine della disabilità associata alla SSc, integrato con l’adozione di interventi mirati a migliorare lo stato funzionale dei pazienti, può portare ad un miglioramento degli outcome clinici nella SSc.
Di qui il loro suggerimento ai medici di prendere in considerazione l’utilizzo di strumenti come l’RDCI e l’HAQ DI nelle valutazioni cliniche per l’identificazione precoce dei pazienti con SSc che sono ad aumentato rischio di frattura osteoporotica maggiore.
La riabilitazione terapeutica multidimensionale dovrebbe essere mirata a migliorare la mobilità di questi pazienti per limitare il rischio di fratture e la morbilità e mortalità correlate alle fratture.
Bibliografia
Rogers B, et al. Clinical Features Associated With Rate of Fractures in Patients With Systemic Sclerosis: A US Cohort Study Arthritis Car Res. 2023;doi:10.1002/acr.25137.
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