Secondo un recente studio guidato dall’Università di Pavia, sull’isola di Cipro ci sono rocce chiamate boniniti da considerarsi analoghi geochimici di quelle presenti su Mercurio
Secondo la Meteoritical Society, un’organizzazione internazionale di scienze planetarie, al 21 agosto 2023, sulla Terra, sono stati ritrovati 79.004 meteoriti, di cui 72.214 hanno nomi validati e confermati, mentre 6.790 hanno nomi provvisori. La maggior parte di essi proviene dalla fascia degli asteroidi che si trova tra le orbite di Marte e Giove, a circa 400 milioni di chilometri di distanza dal Sole. La restante parte – una piccola frazione – proviene da Marte, dalla Luna o ha origini cometarie. Nessun frammento ritrovato sino ad oggi, tuttavia, è stato classificato ufficialmente come meteorite di Mercurio, sebbene in teoria piccoli pezzi del pianeta più interno del Sistema solare possano raggiungere la Terra.
Per fortuna, grazie alla missione Mercury Surface, Space Environment, Geochemistry, and Ranging (Messenger) della Nasa, che dal 2011 al 2015 ha orbitato il pianeta studiandone la geologia, ora sappiamo di che pasta è fatta la superficie di Mercurio e, di conseguenza, un ipotetico meteorite proveniente dal pianeta.
Ovviamente, dal punto di vista geochimico, avere in mano pezzi di roccia autoctona sarebbe tutta un’altra storia. Una loro approfondita e dettagliata analisi mineralogica e spettroscopica permetterebbe, ad esempio, di creare un set di dati da utilizzare per meglio interpretare i dati chimici e spettrali che riceveremo dalle prossime missioni sul pianeta, come ad esempio BepiColombo, che giungerà su Mercurio nel 2025. Come fare, dunque, in loro assenza? In questi casi gli astronomi si affidano ai cosiddetti “analoghi geochimici”, cioè rocce di origine terrestre simili per composizione mineralogica a quelle presenti su Mercurio. La domanda a questo punto è: esiste da qualche parte del nostro pianeta un luogo che contenga tali rocce?
La risposta a questa domanda c’è, è affermativa, e arriva da una ricerca condotta da un team di ricercatori guidati dall’Università di Pavia, i cui risultati sono stati pubblicati sul volume numero 326 della rivista Planetary and Space Science. Il primo autore dello studio – che vede coinvolti tra gli altri Cristian Carli dell’Inaf di Roma, Piero D’Incecco e Gaetano Di Achille dell’Inaf di Abruzzo – è Nicola Mari, ricercatore in Geologia Planetaria e Vulcanologia, affiliato Università di Pavia. Il suo pane quotidiano è analizzare materiale extraterrestre, per comprendere l’evoluzione interna dei pianeti, utilizzando diversi metodi cosmochimici.