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Radiodermite acuta associata alla presenza dello stafilococco aureo

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Un gruppo di ricercatori americani ha scoperto che molti dei casi di radiodermite acuta sono associati alla presenza dello stafilococco aureo

I malati di cancro che si sottopongono a radioterapia spesso vanno incontro a una dolorosa infiammazione cutanea che ne peggiora pesantemente la qualità di vita. Un gruppo di ricercatori ha scoperto che l’insorgenza di questa infiammazione, chiamata radiodermite acuta, è spesso legata alla presenza di un batterio, lo stafilococco aureo. Usando alcuni semplici accorgimenti in grado di impedire la colonizzazione batterica si potrebbe prevenire la radiodermite grave.

Concorso di colpa

La radiodermite si può presentare in forme più o meno gravi, e maggiore è la dose di radiazioni ionizzanti a cui si è stati esposti, maggiori sono i danni cutanei. Nei casi più lievi, di grado 1, la pelle è irritata e causa prurito, mentre nei casi di media gravità, o di grado 2, l’arrossamento è più intenso, la pelle si desquama e compare dolore. Nei casi più seri, di grado 3, si formano delle vescicole che, aprendosi, lasciano scoperto il derma, lo strato più profondo della cute. Dosi molto alte di radiazioni possono inoltre causare la morte, o necrosi, del tessuto cutaneo: in questi casi, di grado 4, l’infiammazione solitamente da acuta diventa cronica.

Finora si credeva che la radiodermite dipendesse esclusivamente dall’ustione provocata dalle radiazioni e che, di conseguenza, non ci fosse molto da fare per impedirne la comparsa. Alcuni ricercatori del Montefiore Einstein Cancer Center (MECC), un importante centro ricerche situato a New York, nel quartiere del Bronx, si sono chiesti se in questo processo infiammatorio non potesse avere un ruolo lo stafilococco aureo (Staphylococcus aureus, abbreviato S. aureus), un batterio noto per causare infezioni in caso di lesioni della pelle.

I ricercatori hanno preso in esame una settantina di pazienti con tumori del distretto testa-collo e del seno, curati con la radioterapia nell’ospedale collegato al centro di ricerca. Prima di iniziare la terapia, i pazienti sono stati sottoposti a tampone nasale per verificare la presenza dello stafilococco. Sono molte le persone che, senza esserne consapevoli, convivono pacificamente con questo batterio che può risiedere nel naso, sulle ascelle e in generale sulla pelle. Dopo la terapia tutti i pazienti hanno sviluppato radiodermite: il 62 per cento di grado 1, il 29 per cento di grado 2 e il 9 per cento circa di grado 3. I ricercatori hanno constatato che la colonizzazione nasale da parte dello stafilococco era più frequente tra i pazienti con radiodermite di grado 2-3 che tra i pazienti con radiodermite lieve.

Spazio alla prevenzione

Lo stafilococco aureo sembra dunque concorrere all’insorgenza della dermatite da radiazioni, secondo i ricercatori, che si sono quindi chiesti se l’eliminazione dei batteri dalla cute e dalla cavità nasale (in gergo si parla di “decolonizzazione batterica”) potesse ridurre il rischio di radiodermite.

Ha avuto così inizio uno studio clinico in cui sono stati arruolati 77 pazienti, di cui 75 con tumore del seno, che dovevano sottoporsi a radioterapia. A metà dei pazienti, scelti in modo causale, è stato chiesto di utilizzare quotidianamente un detergente per il corpo contenente clorexidina (un comune antibatterico) e di mettere due volte al giorno delle gocce nasali contenenti mupirocina (un antibiotico attivo contro lo S. aureus) nei cinque giorni precedenti la radioterapia e per cinque giorni ogni due settimane per tutta la durata della terapia radiologica. Nessuno di questi pazienti ha sviluppato radiodermite di grado 2 o superiore, a differenza dei pazienti dell’altro gruppo, in cui quasi uno su quattro è andato incontro a radiodermite con desquamazione. Solo uno dei pazienti sottoposti a decolonizzazione batterica ha avuto un evento avverso legato al trattamento antibatterico (nello specifico, ha sviluppato prurito).

Utilizzare degli antibatterici potrebbe quindi essere un modo semplice ed efficace per prevenire la radiodermite grave. Il metodo utilizzato nello studio clinico sembrerebbe sufficientemente sicuro per potere essere applicato a tutti i pazienti che devono sottoporsi a radioterapia. È ancora da comprendere se sia necessario valutare prima se i pazienti siano positivi per lo stafilococco aureo o meno. Effettuare questo test potrebbe evitare di somministrare antibatterici a chi non ne ha bisogno, limitando la possibilità di sviluppare pericolose resistenze antimicrobiche.

FONTE: AIRC

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