Emofilia, lo sport è necessario per una buona qualità di vita. Secondo un’indagine italiana post pandemia, troppi pazienti hanno smesso di praticare attività fisica
Una recente indagine italiana, pubblicata sulla rivista International Scholars Journals, ci permette di tornare a trattare una tematica molto sentita dalle persone con emofilia: la pratica sportiva. L’emofilia è una malattia emorragica congenita ereditaria caratterizzata dalla carenza di attività di un fattore della coagulazione del sangue (fattore ottavo per l’emofilia A, fattore nono per l’emofilia B).
Oggi la patologia può essere gestita in modo ottimale grazie alla terapia sostitutiva: ai pazienti si somministra un farmaco (emoderivato oppure ricombinante) contenente il fattore carente, in regime di profilassi oppure al bisogno. Grazie ai progressi degli ultimi decenni anche ciò che prima era impensabile oggi è parte della quotidianità dei pazienti: fare sport. Se prima lo sport rappresentava un rischio di emorragia, e quindi era fortemente sconsigliato, oggi, al contrario, i pazienti emofilici sono fortemente incoraggiati a praticarlo in quanto fonte di vantaggi sia sul fronte fisico che su quello sociale.
L’indagine pubblicata, uno studio osservazionale sociologico trasversale che coinvolge 258 persone affette da emofilia, ha messo in luce l’impatto della pandemia di COVID-19 sulla pratica dell’attività fisica e dello sport per i pazienti emofilici. La situazione pandemica, infatti, ha avuto un forte impatto sui percorsi assistenziali, soprattutto relativi ai pazienti cronici, e lo svolgimento regolare di attività motoria è stato fortemente ridotto, con la relativa compromissione della qualità di vita delle persone con emofilia.
La ricerca, basata sugli esiti riferiti dai pazienti (Patient Reported Outcome), ha mostrato che la metà del campione era impegnato in attività fisica moderata o intensa e il 40% nella pratica di un vero e proprio sport. A fare più sport in assoluto sono i giovani adulti, mente i bambini ne praticano ancora troppo poco (solo il 28% del campione di età pediatrica). Molto diffuso il jogging, seguito da ginnastica, attrezzi e danza.
Durante il periodo pandemico, però, circa il 27% degli intervistati ha smesso di praticare sport e attività fisica intensa senza più riprenderla, compromettendo fortemente il raggiungimento di una qualità di vita ottimale per i pazienti. Nel 10% dei casi, il campione ha dichiarato che la cessazione dell’attività fisica ha peggiorato significativamente la percezione della propria salute.
Un’indagine realizzata nel 2021 in Italia dall’Assessorato allo Sport, volta a valutare eventuali cambiamenti nella pratica sportiva pre e post pandemia ha mostrato che la diminuzione dell’attività fisica è stato un fenomeno generalizzato, soprattutto tra i più giovani, con severe ripercussioni in termini di aumento dell’ansia, della tristezza e di stati d’animo di apatia. Questi cambiamenti hanno esiti ancora più drammatici per chi, come i giovani con emofilia, deve fare i conti con una condizione rara e cronica che richiede un trattamento continuo.
La ricerca ha dunque delineato un quadro preoccupante, che suggerisce la necessità di occuparsi in maniera mirata della promozione dell’attività sportiva per le persone con emofilia.