La ricerca dal titolo “Mezzogiorno e Germania Est: un confronto”, coordinata da Luigi Ruscello è pubblicata nella collana dedicata agli studi dell’Eurispes
Il confronto tra il Mezzogiorno e la Germania Est costituisce, da anni, il leitmotiv di molti economisti e commentatori sulla improbabile soluzione della carsica questione meridionale. Quest’ultima è sempre presente ma, appunto come un fiume carsico, appare e scompare nel dibattito pubblico. Con la ricerca dal titolo “Mezzogiorno e Germania Est: un confronto”, coordinata da Luigi Ruscello e pubblicata nella collana dedicata agli studi dell’Eurispes con Rubbettino Editore, l’Istituto ha realizzato un lavoro certosino di raccolta dati e di consultazione bibliografica per valutare ciò che si è fatto in Germania e in Italia per superare il divario tra le zone più arretrate e quelle più sviluppate.
Nel Rapporto vengono raffrontati il processo di unificazione, l’andamento della popolazione, il reddito, globale e pro capite, il finanziamento dello sviluppo, i consumi, la bilancia commerciale e il mercato del lavoro.
Tra i diversi aspetti, è stato esaminato un argomento quasi mai presente nel dibattito: il ruolo svolto dalla moneta unica. Se in Germania questo processo ha provocato conseguenze esiziali per il sistema industriale orientale, in Italia, sia pure in misura più ridotta, ha avuto un altrettanto esito negativo nei confronti del Mezzogiorno, contribuendo non poco al formarsi del dualismo economico generale. In entrambi i casi, insomma, non si è operato al meglio per ottenere una armonica unione.
Per quanto concerne l’andamento della popolazione, si è riscontrato un problema analogo a quello italiano, in quanto anche nella ex DDR si assiste ad un processo di riduzione della popolazione e a un notevole flusso migratorio interno. A differenza dell’Italia, però, se da un lato, un’accorta politica immigratoria ha permesso di invertire la tendenza, riducendo in modo drastico il calo di popolazione a livello nazionale, dall’altro, le previsioni mostrano un risultato simile a quello italiano, e cioè che la popolazione delle zone meno sviluppate continuerà a ridursi in misura maggiore e in modo non proprio trascurabile.
Nel comparto più specificatamente economico – cioè la produzione e la distribuzione della ricchezza – si notano in modo tangibile gli effetti delle politiche adottate. In particolare, il Pil globale indica una crescita maggiore dell’Est che recupera, sia pure in parte il distacco, aumentando il suo peso sul totale. Al contrario, in Italia, l’incidenza del Pil prodotto nel Mezzogiorno si riduce rispetto al Centro-Nord, per cui anche quando si considerino i dati pro capite, si ottiene un peggioramento. In Germania, dopo il crollo nell’immediatezza della riunificazione, già nel 1995 si recuperano i valori precedenti e poi inizia una rincorsa continua, anche se non si è ancora raggiunta quella che Vera Lutz definì “parità approssimativa”. In Italia, invece, la situazione rimane stazionaria, tanto da presagire una situazione di sottosviluppo permanente.
Il raffronto tra la Germania Est e il nostro Mezzogiorno, quindi, indica un notevole peggioramento del Mezzogiorno rispetto all’Est. Se nel 1995 il rapporto tra il Pil pro capite del Mezzogiorno e quello della Germania Est era pari al 78,45%, nel 2020 precipita al 61,89%. La spiegazione di tale differenza, tuttavia, è molto semplice perché è data dall’ammontare delle risorse impiegate nei due Paesi per sostenere l’economia delle zone più svantaggiate o, per dirla in un modo più elegante, per la politica di coesione territoriale. Il paragone, infatti, è quasi improponibile vista la notevolissima differenza dei capitali utilizzati per le due entità territoriali. Basti pensare che in Germania, e in soli cinque anni, cioè dal 1991 al 1995, sono stati spesi ben 433,6 miliardi di euro, cioè quasi una volta e mezzo la cifra spesa in Italia dal 1951 al 1998. Da noi, nemmeno con le più diverse leggi si è riusciti mai ad ottenere una vera perequazione territoriale. In Germania – a dimostrazione di cosa significhi essere un popolo – si è pagato un contributo straordinario per finanziare in parte lo sviluppo dell’Est.
Le condizioni economiche generali, per quanto ovvio, si riflettono nel settore dei consumi e, nonostante il modello di sviluppo della Germania sia basato sulle esportazioni, che comprime la possibilità di investire e spendere in misura maggiore, il livello dei consumi tedesco è ben maggiore di quello italiano. In primo luogo, dal 2000 al 2019, in parallelo alla crescita del Pil pro capite, emerge una forte avanzata dei consumi e si denota che sono i nuovi Länder a trascinare in alto la percentuale, perché a fronte del suo +38,32% si contrappone il +28,21% dell’Ovest, contrariamente all’Italia, ove si registra addirittura una riduzione. In secondo luogo, il confronto italo-tedesco mette in evidenza che nel 2000 il Mezzogiorno prevaleva con una spesa di 2.045 euro al mese, contro i 1.558 della Germania Est. Nel 2017, invece, è quest’ultima a prevalere con 2.124 euro contro i 2.042 del Mezzogiorno.
L’indagine sulla bilancia commerciale ha evidenziato l’impostazione tedesca e italiana all’esportazione, ma con la Germania che solo il Covid-19 è riuscita a fermare, ancorché in modo parziale. L’indirizzo della politica economica tedesca, basato sulle esportazioni, ha provocato molte discussioni e polemiche che sono ben documentate nel testo. E vengono anche spiegati i motivi per cui la Germania non viene sanzionata per il superamento della soglia relativa al surplus della bilancia commerciale e l’Italia sì per l’eccesso di debito. Uno dei 14 indicatori del quadro di valutazione economica, infatti, prevede che esiste uno squilibro se le partite correnti arrivano al +6% del Pil in caso di surplus e del -4% del Pil in caso di deficit. Per il rapporto debito/Pil, invece, il superamento della soglia del 60% è motivo di sanzione.
In conclusione, la lezione fondamentale che si può trarre dalla lettura di questa ricerca è che gli investimenti nelle infrastrutture sono sicuramente indispensabili, ma non sufficienti per un completo sviluppo delle zone più arretrate. E, pertanto, oltre a dimostrare che è necessario un sistema produttivo autoctono, giustifica anche l’esigenza di intervenire nel settore del sociale per sostenere la parte della popolazione più debole.