Tumore al fegato: durvalumab più tremelimumab allungano la vita


Tumore del fegato avanzato: con durvalumab più tremelimumab un paziente su quattro vivo a 4 anni secondo i dati dello studio HIMALAYA

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I risultati aggiornati dello studio di Fase III HIMALAYA hanno mostrato che la combinazione di durvalumab di AstraZeneca associato ad una singola dose di tremelimumab ha prodotto un beneficio di sopravvivenza globale (OS) clinicamente significativo e sostenuto a quattro anni nel trattamento dei pazienti con carcinoma epatocellulare (HCC) non resecabile non trattati con precedente terapia sistemica e non eleggibili a un trattamento locoregionale.

I risultati aggiornati dello studio HIMALAYA sono stati presentati ieri al World Congress on Gastrointestinal Cancer 2023 della Società Europea di Oncologia Medica (European Society for Medical Oncology – ESMO) a Barcellona, Spagna (abstract #SO-15).

Al follow-up a quattro anni, i dati recenti mostrano che una singola dose priming di tremelimumab associata a durvalumab, il cosiddetto regime STRIDE (Single Tremelimumab Regular Interval Durvalumab), ha ridotto il rischio di morte del 22% rispetto a sorafenib (rapporto di rischio [HR] 0,78; intervallo di confidenza 95% [CI 0,67-0,92; maturità dati 78%). In base alle stime, il 25,2% dei pazienti trattati con il regime STRIDE era vivo a quattro anni rispetto al 15,1% di quelli trattati con sorafenib. Un’analisi esplorativa post-hoc ha mostrato che gli effetti del trattamento con il regime STRIDE rispetto a sorafenib si sono mantenuti in tutti i sottogruppi clinicamente rilevanti di pazienti vivi almeno dopo tre anni, indipendentemente dalla eziologia della malattia epatica sottostante (epatite B [HBV], epatite C [HCV] o non virale) o da altre caratteristiche demografiche di base.

“I dati di sopravvivenza a lungo termine dello studio HIMALAYA sono unici nel panorama dell’epatocarcinoma avanzato – afferma Lorenza Rimassa, Professore Associato di Oncologia Medica presso Humanitas University e IRCCS Humanitas Research Hospital di Rozzano (Milano) -. E’ importante osservare che un paziente su quattro trattato con il regime STRIDE, basato sulla duplice immunoterapia, è vivo a quattro anni. Nessun altro regime terapeutico ha dimostrato finora questi risultati. Se confrontato con i dati storici a disposizione, solo il 7% dei pazienti con tumore del fegato avanzato è vivo a cinque anni. STRIDE è basato su un innovativo approccio di ‘priming immunitario’ con una singola dose di tremelimumab seguita da durvalumab in monoterapia. Quest’unica somministrazione di tremelimumab, a un dosaggio superiore rispetto a quello tradizionale, è in grado di fornire una ‘spinta’ alla risposta immunitaria, offrendo contemporaneamente un miglioramento del profilo di sicurezza, e pertanto offrendo maggiore efficacia e tollerabilità. Il trattamento dell’epatocarcinoma è complesso perché bisogna trattare il tumore senza sottovalutare il fatto che il paziente molto spesso è affetto da un’altra patologia molto importante, l’epatopatia cronica. La gestione di due gravi patologie concomitanti richiede terapie tollerabili, che non peggiorino la funzionalità epatica residua”.

Susan Galbraith
, Vicepresidente Esecutivo, Oncology R&D, AstraZeneca, dichiara: “Il notevole beneficio in termini di sopravvivenza a quattro anni dimostrato da durvalumab e tramelimumab in questo setting di tumore del fegato avanzato supporta l’utilizzo del regime STRIDE per il trattamento di un’ampia popolazione di pazienti eleggibili a livello globale. Questi ultimi risultati dello studio HIMALAYA fanno parte di una serie di studi clinici che hanno lo scopo di fornire trattamenti innovativi ai pazienti nei vari stadi del tumore del fegato”.

Riepilogo dei risultati aggiornati: HIMALAYA
Il profilo di sicurezza del regime STRIDE è risultato coerente con i profili già noti di ogni farmaco, e non sono stati osservati nuovi segnali di sicurezza al follow-up prolungato. Eventi avversi legati al trattamento (TRAEs) gravi, di Grado 3 o 4 o morte, sono stati riportati dal 17,5% dei pazienti trattati con il regime STRIDE rispetto al 9,6% di quelli trattati con sorafenib, senza nuovi eventi dopo l’analisi primaria di STRIDE (17,5%).

La combinazione di durvalumab e tremelimumab è approvata per il trattamento dei pazienti adulti con HCC avanzato o non resecabile negli Stati Uniti, Unione Europea (nel setting di prima linea), Giappone e in numerosi altri Paesi. Durvalumab in monoterapia è inoltre approvato in Giappone in questo setting.

Il tumore del fegato
Il tumore del fegato è la terza causa di morte per cancro e la sesta neoplasia più comunemente diagnosticata a livello mondiale. Circa il 75% di tutti i tumori primari del fegato negli adulti è un carcinoma epatocellulare. La prognosi dell’HCC avanzato è sfavorevole, con un tasso di sopravvivenza a 5 anni del 7%. L’80-90% dei pazienti con HCC presenta anche cirrosi. Le malattie epatiche croniche come la cirrosi sono associate a infiammazione che può causare lo sviluppo di HCC.

Più della metà dei pazienti presenta stadi avanzati di malattia, spesso alla prima manifestazione dei sintomi. Vi è un’esigenza critica non soddisfatta per i pazienti con HCC che dispongono di opzioni di trattamento limitate. L’ambiente immunitario unico del tumore del fegato fornisce un chiaro razionale per lo studio di farmaci che sfruttano il potere del sistema immunitario per trattare l’HCC.

Lo studio HIMALAYA
HIMALAYA è uno studio globale di Fase III randomizzato, in aperto, multicentrico di durvalumab in monoterapia e un regime composto da una singola dose priming di tremelimumab da 300mg in aggiunta a 1500mg di durvalumab seguiti da durvalumab ogni quattro settimane (regime STRIDE) rispetto a sorafenib, inibitore multichinasico standard di cura.

Lo studio ha incluso 1.324 pazienti randomizzati con HCC avanzato non resecabile, non trattati con precedente terapia sistemica e non eleggibili alla terapia locoregionale (trattamento localizzato al fegato e ai tessuti circostanti).

Lo studio è stato condotto in 181 centri di 16 Paesi, tra cui Stati Uniti, Canada, Europa, Sud America e Asia. L’endpoint primario era la sopravvivenza globale (OS) per la combinazione rispetto a sorafenib e gli endpoint secondari erano OS per durvalumab rispetto a sorafenib, tasso di risposta obiettiva e sopravvivenza libera da progressione (PFS) per la combinazione e per durvalumab da solo.

Durvalumab
Durvalumab è un anticorpo monoclonale umano diretto contro il PD-L1, che blocca l’interazione di PD-L1 con PD-1 e CD80, contrastando i meccanismi di immuno-evasione messi in atto dal tumore e consentendo la riattivazione del sistema immunitario.

Durvalumab è approvato in combinazione con chemioterapia (gemcitabina più cisplatino) nel tumore delle vie biliari (BTC) localmente avanzato o metastatico e in combinazione con tremelimumab nel HCC non resecabile negli Stati Uniti, Unione Europea e Giappone e in numerosi altri Paesi sulla base degli studi di Fase III TOPAZ-1 e HIMALAYA, rispettivamente.

Oltre alle indicazioni nei tumori gastrointestinali (GI), durvalumab è l’unica immunoterapia approvata e lo standard di cura a livello globale per il trattamento con intento curativo del carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) di stadio III non resecabile nei pazienti non in progressione dopo radio-chemioterapia, sulla base dello studio di Fase III PACIFIC.

Durvalumab è inoltre approvato negli Stati Uniti, Unione Europea, Giappone, Cina e in vari altri Paesi nel mondo per il trattamento del tumore del polmone a piccole cellule (SCLC) di stadio esteso, sulla base dello studio di fase III CASPIAN. Durvalumab è anche approvato in combinazione con un breve ciclo di tremelimumab e chemioterapia per il trattamento del NSCLC metastatico negli Stati Uniti, Unione Europea e Giappone sulla base dello studio di Fase III POSEIDON. In un numero ristretto di Paesi durvalumab è approvato nei pazienti con tumore della vescica avanzato precedentemente trattati.

Dalla prima approvazione a maggio 2017, più di 200.000 pazienti sono stati trattati con durvalumab.

Come parte di un ampio programma di sviluppo, durvalumab viene studiato come monoterapia e in combinazione con altri trattamenti antitumorali per i pazienti con SCLC, NSCLC, tumore della vescica, numerosi tumori gastrointestinali (GI), tumore dell’ovaio, dell’endometrio e altri tumori solidi. Nel 2023 AstraZeneca ha annunciato i risultati positivi degli studi di Fase III relativi alle combinazioni con durvalumab nei tumori dell’ovaio (DUO-O), dell’endometrio (DUO-E) e del polmone non a piccole cellule resecabile (AEGEAN).

In particolare nei tumori gastrointestinali, AstraZeneca ha in corso numerosi studi registrativi che analizzano durvalumab in molteplici setting del tumore del fegato (EMERALD-1, EMERALD-2 e EMERALD-3), nei tumori gastrici e della giunzione gastroesofagea resecabili (MATTERHORN) e nel tumore dell’esofago localmente avanzato (KUNLUN). In giugno 2023, durvalumab in aggiunta alla chemioterapia neoadiuvante standard di cura ha soddisfatto l’endpoint secondario principale di risposta patologica completa nello studio di Fase III MATTERHORN.

Tremelimumab
Tremelimumab è un anticorpo monoclonale umano che colpisce l’attività della proteina 4 associata ai linfociti T citotossici (CTLA-4). Tremelimumab blocca l’attività di CTLA-4, contribuendo all’attivazione delle cellule T, innescando la risposta immunitaria al cancro e favorendo la morte delle cellule tumorali.

Oltre alle indicazioni approvate nei tumori del fegato e del polmone, tremelimumab viene analizzato in combinazione con durvalumab in molteplici tipi di tumori come HCC locoregionale (studio EMERALD-3), SCLC (studio ADRIATIC) e tumore della vescica (studi VOLGA e NILE).