Il sangue aiuta a distinguere le malattie infiammatorie intestinali: secondo uno studio olandese a fungere da marcatori potrebbero essere le immunoglobuline
Già lo è, ma da oggi il sangue potrebbe diventare un prezioso alleato della ricerca scientifica anche perl’individuazione di patologie gravi e invalidanti come le malattie infiammatorie intestinali. È quanto emerge da uno studio condotto alla University Medical Center di Leida, in Olanda, che nei giorni scorsi è stato pubblicato sul Journal of Proteome Research.
Si tratta solo di una fase iniziale che, tuttavia, pone le basi per la messa a punto di un test diagnostico che, proprio attraverso un campione ematico, sia in grado di aiutare gli specialisti in questo tipo di indagine. Le malattie infiammatorie intestinali possono manifestarsi sotto due forme principali: la malattia di Crohn e la colite ulcerosa. Pur avendo sintomi spesso associabili e cause non ben conosciute, interessano parti diverse del tratto gastrointestinale e, di conseguenza, devono essere trattate in modi altrettanto diversi. Considerando l’elevato livello di invasività generato da procedure come la biopsia e l’endoscopia, i risultati dello studio in questione assumono un valore ancora maggiore proprio per la facilità diagnostica di individuare biomarker nel sangue o in altri fluidi corporei.
Biomarcatori che potrebbero essere rappresentati dalle immunoglobuline, visto che in particolare l’IgG ha un ruolo nelle malattie autoimmuni comprese quelle infiammatorie intestinali. In questo ambito potrebbero però essere interessate anche le IgA, attive a livello delle mucose che avvolgono e proteggono gli organi interni, compreso il tratto intestinale. Quando le catene di zuccheri chiamate glicani si attaccano a queste molecole alterandone struttura e funzione, si verifica il fenomeno noto come glicosilazione delle IgA.
Per approfondire questo meccanismo i ricercatori hanno analizzato oltre 400 campioni ematici di pazientiaffetti da malattie infiammatorie intestinali, confrontandoli con quasi 200 di persone sane. Oltre 30, una diversa dall’altra, sono state le forme di anticorpi IgA1 e IgA2 trovate, insieme ai glicani. Dall’analisi è emerso che i pazienti con malattia di Crohn avevano IgA con meno zuccheri ramificati, ma un livello di glicosilazione più elevato rispetto agli altri. Quelli con colite ulcerosa, invece, più glicani all’estremità opposta della IgA.
I risultati ottenuti finora serviranno per stilare un modello di previsione delle malattie che, nelle fasi successive, potrà essere ampliato e sfruttato come strumento diagnostico.