Tumori: con la radiomica si punta a migliorare la diagnosi e personalizzare la terapia. Si possono ricavare informazioni sulla patologia ‘invisibili’ all’occhio umano
In certi film di fantascienza si vedono i protagonisti entrare in cabine di vetro e poi essere scansionati integralmente da centinaia di sensori i quali, in men che non si dica, restituiscono diagnosi accurate di malattie: si tratta solamente di una deriva fantastica o dietro all’immaginazione si cela un fondo di verità? La rapida esplosione del campo della radiomica sembra propendere per la seconda ipotesi e il livello di interesse per questo nuovo tassello della medicina personalizzata, che si basa sull’analisi matematica e computerizzata delle immagini radiologiche, è tale che numerose collaborazioni stanno già nascendo tra ingegneri, bio-matematici e medici di varie specialità. Ne abbiamo discusso con la dott.ssa Lara Cavinato, del MOX Lab presso il Dipartimento di Matematica del Politecnico di Milano, che ha affrontato queste tematiche durante il suo dottorato sponsorizzato dall’Istituto Clinico Humanitas e supervisionato dalla prof.ssa Francesca Ieva.
“Una domanda che in molti si sono posti, e alla quale è difficile dare risposta, è cosa faccia evolvere un tumore in maniera differente in alcune persone rispetto ad altre”, afferma la dott.ssa Cavinato. “A parità di condizioni socio-demografiche o di salute, e anche quando la malattia si presenta con profili iniziali sovrapponibili nei diversi individui, alcuni pazienti vanno incontro a remissione e altri a peggioramento. L’obiettivo è cercare di capire perché ciò avvenga. Ovviamente, esiste un elevato numero di variabili da tenere in considerazione ma per migliorare l’approccio terapeutico e portare ai pazienti cure sempre più efficaci occorre cercare di individuarne il più possibile”.
Le tecniche diagnostiche basate su immagini si sono notevolmente evolute, con la realizzazione di sofisticati macchinari per l’esecuzione di PET (tomografia a emissione di positroni), TAC (tomografia assiale computerizzata) ed RM (risonanza magnetica). Tuttavia, le informazioni restituite da questi strumenti non solo necessitano di un’accurata interpretazione ma devono essere opportunamente correlate a dati di genetica e di anatomia-patologia. Si tratta di una modalità di studio del tumore già adottata all’interno dei team di lavoro multidisciplinari ma che può trovare ancora più solidità grazie all’analisi matematica: il tentativo di applicare un tale approccio ha quindi portato a considerare il tumore da una prospettiva sempre più ampia, coinvolgendo non solo figure dal profilo medico ma anche bio-informatici e matematici capaci di ‘tradurre l’immagine in numero’.
“Il termine “biopsia virtuale”, molto in voga in questo momento, si riferisce proprio alla possibilità di raccogliere e analizzare le informazioni invisibili all’occhio umano contenute nelle immagini restituite dalla TAC o dalla PET”, precisa Cavinato. “Tali informazioni rappresentano lo specchio dei processi biologici che si verificano a livello cellulare”. Infatti, l’esame di riferimento per la diagnosi dei tumori è la biopsia, che si effettua prelevando direttamente dal sito della lesione un campione del tessuto da analizzare. Ma quando un paziente presenta metastasi diffuse è difficile pensare di poter effettuare biopsie in ogni sede tumorale; ecco allora che la diagnostica per immagini può fornire molte informazioni senza intervenire in maniera invasiva sul corpo del paziente. “L’idea all’origine di questo approccio è di sfruttare le tecniche di imaging, che producono un dato esaustivo in senso spaziale, per recuperare in maniera completa e non invasiva le informazioni altrimenti deducibili da una normale biopsia”, prosegue Cavinato. “Una volta ottenuta l’immagine completa del tumore, mediante una specie di bisturi virtuale è possibile selezionare l’area di interesse per concentrare le analisi in quella sezione. Così le immagini della TAC o della PET vengono trasformate in dati numerici che, attraverso metodiche di intelligenza artificiale, si possono analizzare fornendo informazioni di tipo diagnostico e prognostico sul tumore”.
Oggetto della ricerca della dottoressa Cavinato e dei suoi colleghi sono stati sia tumori solidi, come il cancro del colon-retto con metastasi epatiche e il tumore metastatico della prostata, che tumori onco-ematologici quali il linfoma di Hodgkin. Lo studio delle metastasi, in particolare, ha un ruolo fondamentale perché il tumore, nel corso della sua evoluzione, muta frequentemente, divenendo spesso resistente ai trattamenti: comprendere la direzione di tale evoluzione è una delle moderne – e più difficili – sfide della medicina. “L’immagine prodotta da una PET o dalla TAC è in scala di grigio e la variabilità di grigio è informazione”, specifica la dottoressa Cavinato. “Maggiore è la variabilità nella scala dei voxel [la versione tridimensionale dei pixel, N.d.R.] che compongono l’immagine e più il tumore è eterogeneo”. Ciò significa che un maggior numero di eventi mutazionali sta innescando meccanismi patogenetici che inducono il tumore a trasformarsi: la comprensione di come siano organizzati i vari livelli di grigio e del loro significato può fornire risposte sulle modalità di evoluzione della patologia e sulle sue risposte alla terapia. Perciò la quantità di dati potenzialmente estraibile dall’immagine è enorme.
“Abbiamo correlato le informazioni prodotte dalle tecniche di imaging con il dato ottenuto dalla biopsia”, aggiunge Cavinato. “Nel caso del cancro al colon-retto abbiamo notato che, nella regione di interesse, il quadro di entropia [che indica il grado di imprevedibilità della distribuzione dei livelli di grigio nell’immagine della lesione, N.d.R.] era significativamente correlato alla patologia e alla risposta alla terapia”. Le immagini delle lesioni metastatiche del cancro al colon-retto, infatti, sono caratterizzate da vari gradi di entropia e omogeneità: un alto livello di entropia e un basso quadro di omogeneità nelle metastasi sono associate a una prognosi migliore e a una probabile risposta alla terapia.
Nel contesto di una medicina sempre più personalizzata e dello sviluppo di terapie mirate contro il cancro, la radiomica si sta affermando come un settore di notevole interesse ma la traslazione in clinica di questa metodica di diagnosi necessita del superamento di alcuni passaggi di non trascurabile entità. “Occorre istruire un modello di analisi dell’enorme mole di dati che può essere raccolta”, conclude Cavinato. “Affinché i dati a disposizione siano interpretativi sarà necessario aprire la ‘scatola nera’ dell’intelligenza artificiale e mettere a punto software di elaborazione sempre più potenti e descrittivi. Inoltre, occorrerà individuare dei modelli di studio consensuali e standardizzati per le diverse forme tumorali. Serve una base condivisa da tutti e per raggiungerla è necessario proseguire l’impegno sulla strada della ricerca”.