Una dieta ricca di alimenti ultraprocessati, in particolare di dolcificanti artificiali, è stata collegata a un aumento fino al 50% del rischio di depressione
Una dieta ricca di alimenti ultraprocessati, in particolare di dolcificanti artificiali, è stata collegata a un aumento fino al 50% del rischio di depressione, come rilevato da una nuova analisi dei dati del Nurses Health Study II pubblicata sulla rivista JAMA Network Open.
Evidenze crescenti suggeriscono che la dieta può influenzare il rischio di depressione, ma nonostante un collegamento tra alimenti ultraprocessati (UPF, alimenti ad alto contenuto energetico, appetibili e pronti al consumo) con le malattie umane, vi sono poche evidenze sull’associazione tra il loro consumo e la depressione, hanno premesso gli autori, motivando la loro decisione di condurre questa analisi.
Nello studio, le infermiere che consumavano più di otto porzioni al giorno di UPF avevano un rischio circa il 50% più elevato di sviluppare depressione rispetto a quelle che ne assumevano fino a quattro porzioni al giorno. In un’analisi secondaria in cui i ricercatori hanno cercato di individuare gli alimenti specifici che potrebbero essere associati a questo aumento del rischio, tuttavia solo i dolcificanti artificiali e le bevande zuccherate artificialmente sono stati associati a un rischio maggiore.
«Studi sugli animali hanno dimostrato che i dolcificanti artificiali possono innescare la trasmissione di particolari molecole di segnalazione nel cervello che sono importanti per l’umore» ha affermato l’autore Andrew Chan della Clinical and Translational Epidemiology Unit presso il Massachusetts General Hospital di Boston. «Considerata questa potenziale associazione tra alimenti ultraprocessati e diversi problemi di salute, quando possibile le persone dovrebbero cercare di limitarne l’assunzione. Questo cambiamento nello stile di vita potrebbe portare a importanti benefici, in particolare per quanti hanno problemi di salute mentale».
Rischio di depressione più elevato con un alto consumo di UPF
Quanto rilevato dai ricercatori si basa sulla valutazione di quasi 32mila donne bianche con un’età media di 52 anni che al basale non presentavano depressione. Nell’ambito del Nurses Health Study II (NHS II) le partecipanti hanno fornito informazioni sulla dieta ogni quattro anni utilizzando questionari validati sulla frequenza alimentare.
Rispetto alle donne con un basso apporto di alimenti ultraprocessati, quelle con un consumo elevato di UPF avevano un indice di massa corporea (BMI) maggiore. Erano inoltre inclini a fumare e a soffrire di diabete, ipertensione e dislipidemia, oltre che meno propense a svolgere un regolare esercizio fisico.
Nel corso dello studio sono stati registrati 2.122 casi di depressione stabiliti sulla base di una valutazione più rigorosa di depressione auto-riferita, diagnosticata dal medico e accompagnata da un uso regolare di antidepressivi e 4.840 casi di depressione stabiliti con una definizione più ampia che richiedeva la diagnosi clinica e/o l’uso di antidepressivi.
Rispetto alle donne nel quintile più basso di consumo di UPF (meno di quattro porzioni giornaliere), quelle nel quintile più alto (più di 8,8 porzioni giornaliere) avevano un rischio maggiore di depressione, sia per la definizione di depressione più rigorosa ( hazard ratio, HR, 1,49, P<0,001) che per quella più ampia (HR 1,34, P<0,001).
Alcuni UPF in particolare sono stati associati al rischio di depressione
Nelle analisi secondarie gli UPF sono stati differenziati in funzione degli ingredienti, portando a sottocategorie come alimenti a base di cereali ultraprocessati, snack dolci, piatti pronti, grassi, salse, latticini ultraprocessati, snack salati, carne lavorata, bevande e dolcificanti artificiali.
Confrontando i quintili più alti con quelli più bassi, solo un elevato consumo di bevande zuccherate artificialmente (HR 1,37, P<0,001) e dolcificanti artificiali (HR 1,26, P<0,001) era associato a un rischio maggiore di depressione. La correlazione è emersa in modo chiaro anche dopo l’aggiustamento per molteplici fattori confondenti tra cui BMI, fumo ed esercizio fisico.
In un’analisi esplorativa le donne che riducevano l’assunzione di UPF di almeno tre porzioni al giorno mostravano un rischio inferiore di sviluppare la depressione (definizione rigorosa: HR, 0,84) rispetto a quelle con un apporto relativamente stabile in ognuno dei periodi di 4 anni.
Risultati interessanti ma che sollevano diverse domande
Secondo Gunter Kuhnle, professore di nutrizione e scienze alimentari, Università di Reading, Regno Unito, lo studio offre solo informazioni sull’associazione e non sulla causalità. «È molto probabile che le persone depresse cambino la loro dieta e decidano di consumare cibi più facili da preparare, che spesso sono alimenti considerati ultraprocessati» ha commentato. «La cosa più interessante è che l’associazione tra assunzione di UPF e depressione è stata determinata solo dai dolcificanti artificiali e questo supporta una delle principali critiche al concetto stesso di UPF, ovvero che combina una vasta gamma di alimenti diversi e quindi rende difficile identificare le cause sottostanti».
Per Paul Keedwell, consulente psichiatra e membro del Royal College of Psychiatrists, questa è una scoperta interessante e importante che solleva più domande. In questa fase non è possibile stabilire quanto sia grande l’effetto della dieta sul rischio di depressione rispetto ad altri fattori di rischio, come la storia familiare di depressione, i livelli di stress e una rete sociale di supporto.
«Tuttavia non va dimenticato che una dieta basata su piatti pronti e bevande zuccherate artificialmente potrebbe indicare uno stile di vita frenetico o con lavoro a turni, quindi potrebbe essere un indicatore indiretto di stress cronico, che probabilmente rimane il principale fattore di rischio per la depressione» ha osservato.
Referenze
Samuthpongtorn C et al. Consumption of Ultraprocessed Food and Risk of Depression. JAMA Netw Open. 2023 Sep 5;6(9):e2334770.