Carcinoma gastroesofageo avanzato: l’aggiunta di regorafenib a nivolumab e chemioterapia promettente in prima linea nei pazienti HER2-negativi
L’inibitore delle tirosin chinasi (TKI) regorafenib può essere combinato in sicurezza con il trattamento di prima linea con l’anti-PD-1 nivolumab più la chemioterapia, esercitando al contempo una promettente attività clinica, in pazienti con adenocarcinoma esofagogastrico metastatico HER2-negativo (HER2-). A suggerirlo sono i risultati di uno studio di fase 2 pubblicato di recente su Lancet Oncology.
«Per quanto ne sappiamo, questo è il primo studio a valutare l’attività di regorafenib, nivolumab e la chemioterapia in pazienti con carcinoma esofagogastrico metastatico non trattato in precedenza», scrivono gli autori, coordinati da Samuel L Cytryn, del Gastrointestinal Oncology Service del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York.
La mediana della sopravvivenza libera da progressione (PFS) è risultata di 13 mesi (IC al 95% 7,6-non raggiunto [NR]); inoltre, il trattamento ha prodotto un tasso di PFS a 6 mesi del 71% (IC al 95% 58%-88%) e a 12 mesi del 51% (IC al 95%, 37%-71%). La mediana della sopravvivenza globale (OS) non era ancora stata raggiunta al momento dell’analisi e i tassi di OS a 6 e 12 mesi sono risultati rispettivamente del 97% (IC al 95% 92%-100%) e 85% (IC al 95% 74%-98%) .
«I nostri risultati suggeriscono che regorafenib combinato con nivolumab e la chemioterapia è sicuro e ha mostrato una promettente attività antitumorale nei pazienti con carcinoma esofagogastrico avanzato», scrivono Cytryn e i colleghi. «Riteniamo che l’attività osservata in questo studio supporti lo sviluppo di combinazioni a base di regorafenib nei futuri studi clinici».
Gli autori aggiungono che è già stato pianificato uno studio randomizzato di fase 3 in cui si valuta l’aggiunta di regorafenib alla terapia di prima linea con nivolumab più la chemio. Inoltre, i ricercatori stanno effettuando un ulteriore lavoro sui biomarcatori per analizzare le associazioni tra immunogenicità dei neoantigeni, soppressione immunitaria e risposta al blocco dei checkpoint immunitari.
Necessarie nuove opzioni terapeutiche
Cytryn e i colleghi spiegano nel loro articolo che lo studio CheckMate 649 ha dimostrato come l’aggiunta di nivolumab alla chemioterapia di prima linea migliori l’OS rispetto alla sola chemio nei pazienti con carcinoma esofagogastrico metastatico. Questo studio ha cambiato la pratica clinica in tutto il mondo e grazie ai suoi risultati la combinazione di nivilumab più la chemioterapia con fluoropirimidina e platino è diventata lo standard of care per i pazienti con carcinoma esofagogastrico metastatico HER2- non trattati in precedenza.
Anche se una certa quota di pazienti trattati con questa combinazione ottiene un beneficio a lungo termine, e il 17% è ancora vivo a 3 anni, la maggior parte sviluppa una resistenza al trattamento. Sono quindi necessarie nuove opzioni terapeutiche per questi pazienti.
Regorafenib ha dimostrato di migliorare gli outcome di sopravvivenza rispetto al placebo in pazienti con malattia refrattaria e nello studio di fase 1b REGONIVO ha mostrato un buon profilo di sicurezza, associato a una significativa attività anti-tumorale in pazienti fortemente pretrattati.
Pertanto, Cytryn e i colleghi hanno provato a valutare se sia possibile combinare in sicurezza regorafenib con nivolumab e il regime chemioterapico FOLFOX, e se questa combinazione possa potenziare la risposta immunitaria antitumorale sufficientemente da meritare uno studio ulteriore, randomizzato.
Lo studio
Lo studio appena pubblicato (NCT04757363) è un trial di fase 2, a braccio singolo, che ha arruolato 34 pazienti, trattati con 400 mg/m2 di fluorouracile seguiti da 2400 mg/m2 nell’arco di 48 ore più 400 mg/m2 di leucovorina, 85 mg/m2 di oxaliplatino, 240 mg di nivolumab per via endovenosa nei giorni 1 e 15 e 80 mg di regorafenib per via orale nei giorni da 1 a 21 come parte di cicli di trattamento di 28 giorni.
L’endpoint primario dello studio era la PFS a 6 mesi, mentre gli endpoint secondari comprendevano l’ORR secondo i criteri RECIST v1.1, l’OS e la sicurezza.
Potevano essere arruolati nello studio pazienti di almeno 18 anni con una diagnosi di carcinoma esofagogastrico, gastrico o della giunzione gastroesofagea (GEJ) avanzato, non trattato in precedenza, e qualsiasi grado di espressione di PD-L1. Ulteriori criteri di inclusione erano la presenza di una malattia misurabile o non misurabile sulla base delle linee guida RECIST v1.1, una funzione d’organo adeguata e un performance status ECOG pari a 0 o 1.
L’età mediana dei partecipanti era di 57 anni (intervallo inter quartile [IQR]: 52-66). Il 74% dei pazienti era di sesso maschile, l’80% era bianco e il 46% aveva tumori gastrici. Inoltre, il 69% aveva un performance status ECOG pari a 0, l’83% aveva una malattia metastatica, l’86% aveva due o più organi con metastasi e il 57% aveva una malattia PD-L1 negativa, con un Combined Positive Score (CPS) inferiore a 1.
Risposte indipendenti dall’espressione di PD-L1
Tra i 29 pazienti che avevano una malattia misurabile al basale, il tasso di risposta obiettiva (ORR) è risultato del 76%, con un 10% di risposte e un 66% di risposte parziali. Secondo i risultati di un’analisi post hoc, il tempo mediano di risposta è stato di 2,1 mesi (IC al 95% 1,78-3,71) e la mediana della durata della risposta (DOR) di 17 mesi (IC al 95% 5,7-NR).
La risposta al trattamento si è dimostrata indipendente dal grado di espressione di PD-L1. Infatti, l’ORR è risultato del 75% (12 pazienti su 16; IC al 95% 48%-93%) nel sottogruppo con malattia misurabile PD-L1-negativa e 77% (10 pazienti su 13; IC al 95% 46%-95%) nel sottogruppo con malattia misurabile PD-L1-positiva (P > 0,99). Inoltre, il tasso di PFS a 6 mesi in ciascun sottogruppo è risultato rispettivamente del 75% (IC al 95% 51%-91%) e 67% (IC al 95% 38%-88%).
I dati di sicurezza
Nella popolazione in cui è stata valutata la sicurezza, il 97% dei pazienti ha manifestato effetti avversi di qualsiasi grado, tra cui principalmente affaticamento (92%), parestesia o neuropatia periferica (77%) e sindrome da eritrodisestesia palmo-plantare (67%).
Inoltre sono state segnalate tossicità di grado 3 o superiore nel 79% dei pazienti, tra cui diminuzione della conta dei neutrofili (46%), ipertensione (15%) e anemia (10%), e si è registrato un caso fatale di insufficienza respiratoria non correlato al trattamento o alla malattia in studio.
Il 18% dei pazienti ha dovuto interrompere il trattamento con regorafenib e nel 26% è stato necessario ridurre il dosaggio da 80 mg a 40 mg; i motivi più comuni per cui è stata richiesta una riduzione della dose sono stati lo sviluppo di rash (13%), sindrome da eritrodisestesia palmo-plantare (10%) e l’affaticamento (8%).
Bibliografia
S.L. Cytryn, et al. First-line regorafenib with nivolumab and chemotherapy in advanced oesophageal, gastric, or gastro-oesophageal junction cancer in the USA: a single-arm, single-centre, phase 2 trial. Lancet Oncol. Published online September 1, 2023; doi:10.1016/S1470-2045(23)00358-3. Link