La mostra “Dream Prints” di Emanuele Antonelli, fino al 10 dicembre 2023 nella Galleria Umberto Mastroianni dei Musei di San Salvatore in Lauro a Roma
La mostra “Dream Prints” di Emanuele Antonelli, in arte anche Ema, a cura di Alice Lawil Lam e Marco Di Capua, sarà allestita fino al 10 dicembre 2023 nella Galleria Umberto Mastroianni dei Musei di San Salvatore in Lauro a Roma. L’ingresso è gratuito (dal martedì al sabato, dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 19.00).
Emanuele Antonelli nasce a Roma nel 1990. Sente un’attrazione particolare verso il disegno fin da bambino, quando inizia a disegnare i suoi primi doodles (ghirigori o scarabocchi). Negli anni l’interesse di Ema per l’arte si focalizza sulla pittura, passando per il disegno tecnico con chine e penne ad acqua. La sua volontà di rappresentare il non visto e gli stati d’animo sfocia nella pittura astratta quando realizza la sua prima serie di opere dal titolo Time Tickle. Qui l’artista rappresenta su tela frammenti di pixel che rimandano ad ambienti e luoghi reali del suo passato, ma scomposti e riassemblati. L’analisi sul ricordo, la sua percezione e la sua rappresentazione prosegue con la seconda serie di tele dal titolo Time Frame. “Le tele di Ema – dichiara Alice Lawil Lam – sono costellazioni di cieli blu, marroni, arancioni e verdi, macchiate di oro e argento. I suoi ossessivi ghirigori (doodles) richiamano Hollywood Africans di Basquiat, evocando l’infanzia, la spensieratezza e la leggerezza. Suscitano sug-gestioni metafisiche di mondi lontani. Richiamano anche Adamo ed Eva di Wifredo Lam. Nella mia ingenuità, gli ho chiesto se nei suoi percorsi artistici per il mondo aveva visitato Cuba. Tuttavia, l’arte di Ema è universale”.
In mostra a San Salvatore in Lauro, una selezione di 25 opere, la maggior parte in acrilico e foglia oro, foglia d’argento o piombo, su tela. Tra i dipinti più belli ci sono “Annunaki on the rocks 2” (in acrilico, foglia oro e argento su tela, 200 x 300 cm, 2022), “Tales of china” (in acrilico su tela, 200 x 150 cm, 2023), “Primordiale” (in acrilico, piombo e foglia oro su tela, 150 x120 cm, 2023), e Watching you (in acrilico, piombo, e foglia argento su tela, 100 x 100 cm, 2022).“Di una superficie piana – scrive Marco Di Capua nel catalogo d’arte – , enigmaticamente ricoperta di solo colore, della libertà che ogni volta la ispira e poi la segue, oggi risentiamo l’urgenza, la necessità, come fosse quella di un antidoto alle troppe immagini, allo sciocchezzaio universale, a questo grottesco imperativo di massa del mostrarsi, del farsi vedere, a quest’emorragia di figure che si riversa dappertutto. Da tutto ciò, dunque, astrarsi? È questa la parola chiave. Perciò, se nella mente di un critico d’arte affiorano – un termine che c’entra parecchio con questa mostra – e poi volteggiano immagini e parole, a loro piacimento spesso, adesso non chiedetemi il perché, né da quale deposito interiore e forse irreale mi sia tornato in mente il vecchio Vasilij osservando, per la prima volta, dunque registrando ciò che mi dicono nel loro specifico e immediato accadere, i quadri di un giovane artista di oggi come Emanuele Antonelli, romano benché girovago, classe 1990. Con quel grande, filosofico astrattista, Ema sembra condividere almeno una cosa, anzi due: la liberazione e l’osservazione di ciò che, pur minuscolo, ambisce a vasti regni, territori, cieli, e poi la concezione della superficie pittorica come campo d’azione ed esplorazione privo di coordinate, potenzialmente illimitato, che soltanto una convenzione di cornici confina entro limiti precisi”. Alla mostra Spoleto Arte 2023 Ema vince il Premio Belle Arti che lo fregia anche del titolo di Maestro, conferiti da una giuria composta, tra gli altri, da Giordano Bruno Guerri, Francesco Alberoni, Salvo Nugnes, Rossana Potenza, Vittorio Sgarbi, Antonino Zichichi.
Un altro spunto di riflessione per Ema è l’estetismo e la sua trasposizione in moda. Proprio la rappresentazione di donne e uomini con vestiti appariscenti composti da ghirigori è alla base della sua terza ed ultima serie Doodle People. Tutte le persone così raffigurate sono sorridenti e con gli occhi chiusi, dando allo spettatore un senso di felicità e complicità. Queste rappresentazioni fantastiche simboleggiano un appagamento personale che non deriva dal giudizio degli altri, ma dallo stare bene con sé stessi, nella propria pelle e nel proprio gusto personale. Ciò è espresso dai grandi copricapo e vestiti appariscenti, non comuni che esprimono un senso di unicità. La serie Doodle People rivela un’influenza orientaleggiante, appresa da Emanuele nei suoi frequenti viaggi in Cina e Giappone, luoghi in cui, secondo l’artista, è presente la vera eleganza che non si ferma agli abiti o al modo in cui essi vengono percepiti, ma va ben oltre. “Esistono decine di esempi che si potrebbero fare in questo caso, come quello rappresentato da Mark Tobey, anche lui, come notoriamente si sa e in ciò simile a Ema, appassionato all’Oriente – scrive ancora Marco Di Capua – , al calligrafismo giapponese e cinese, uno che nella combinazione di pittura e calligrafismo faceva letteralmente brulicare di segni i quadri, alla ricerca di quella «fusione – lui diceva così – del ritmo dello spirito con il movimento delle cose viventi”. Dunque, c’è tutta una vasta tradizione moderna del disseminare, dello spargere semi, del far pullulare di microgesti gli spazi vuoti, ed Ema sembra tenerne conto. “Però come è strana la millenaria storia dell’arte, così sfrontatamente indifferente allo spazio/tempo che abitiamo, tanto che non possiamo sapere con certezza come essa agisca sulla nostra vita fantastica, perché proprio mentre ho appena citato un mistico russo e un simpatico americano e mi volto verso alcuni dipinti di Ema ordinatamente gremiti da piccolissime figurette aleggianti, stagliate su un nulla punteggiato da macchie, aloni e batuffoli, mi riappaiono davanti, indelebili, certi cieli della pittura medievale, affollati da stormi di angioletti in volo, come nel Giotto padovano, per dire. E andate pure in una qualsiasi moschea, e sulle volte e le pareti troverete anche lì, nell’interdizione a rappresentare immagini, nella decorazione scatenata e senza remore – gente che non sa dov’è di casa la bellezza ritiene ancora la decorazione un insulto – qualcosa di Ema. La strategia compositiva, qui, potrebbe essere quella di preparare piste di atterraggio, spazi che consentano ad alcune cose, non a tutte, ad alcune – memorie e larve di figure, un segno, un graffio, una coppia di colori, qualcosa che somigli a un campo di fiori, stelle, nuvole – di apparire. Per contro, altri dipinti, densi di materia, di desiderio di terra, sembrano cercare un qualche imprevedibile splendore nel fango, in un verde d’erba falciata, rimestata e striata, in un magma caldo d’altri pianeti, incerti se cancellare o se disseppellire qualcosa. Mi colpisce la giusta distanza che Ema ha messo tra sé, i suoi lavori, e l’ingombro, la dolente, problematica pesantezza della presenza umana, tenuta a bada da questo suo parteggiare per il disabitato, il desertico o, se uno guarda in alto e più lontano, per qualche allegra, giocosa costellazione che prometta bene. Rendere visibile l’invisibile, è l’eterna lezione, la tensione creativa che non possiamo permetterci di dimenticare. Mi sa”.