Porfiria epatica acuta: un sondaggio evidenzia come anche i sintomi cronici peggiorino la quotidianità dei pazienti, dal punto di vista fisico, emotivo, sociale e lavorativo
La porfiria epatica acuta è una malattia che condiziona pesantemente il benessere dei pazienti, sia dal punto di vista fisico che da quello emotivo, sociale e lavorativo. Non solo: l’impatto sulla qualità di vita non dipende soltanto dal numero di attacchi, ma anche dai sintomi cronici. In sostanza, anche chi affronta gli attacchi acuti solo sporadicamente è sottoposto a un carico di malattia non trascurabile. A riferirlo sono gli stessi pazienti, nei risultati di un questionario promosso dall’azienda Alnylam Pharmaceuticals, i cui risultati sono apparsi recentemente sulla rivista JIMD Reports.
Le porfirie epatiche acute (AHP) sono un gruppo di patologie genetiche rare dovute a un deficit nella biosintesi dell’eme. Nella maggior parte dei casi la malattia è latente, ma alcuni pazienti hanno gravi attacchi neuroviscerali, potenzialmente letali, che possono essere occasionali o verificarsi più di frequente nonostante l’evitamento dei fattori scatenanti, detti anche “trigger” (farmaci, ormoni o stress).
Oltre a questi attacchi – molto dolorosi, specialmente a livello addominale – possono presentarsi anche convulsioni, sintomi psicologici, dolore cronico e neuropatia. Inoltre, sono state trovate associazioni fra AHP e complicanze a lungo termine come ipertensione, malattia renale cronica e carcinoma epatocellulare. Le manifestazioni croniche della AHP possono presentarsi in pazienti con attacchi sia ricorrenti che sporadici, ma gli studi suggeriscono che la loro prevalenza sia maggiore nei soggetti che presentano attacchi più frequenti.
Le strategie di prevenzione dei sintomi cronici sono l’evitamento dei trigger, la soppressione dell’ovulazione nelle donne e la profilassi con emina off-label, mentre le opzioni terapeutiche per gli attacchi acuti si basano sulla perfusione di carboidrati con glucosio ed emina. Da pochi anni, però, i medici hanno finalmente un’arma molto efficace per trattare questa malattia: il givosiran, una terapia basata sul meccanismo dell’RNA interference e somministrabile per via sottocutanea che, nel corso della sperimentazione clinica, ha dimostrato di poter ridurre del 74% il numero annuo di attacchi di porfiria, nonché di alleviare il dolore cronico. Il farmaco è stato approvato – solo per gli adulti – negli Stati Uniti, in Canada e in Brasile, mentre nell’Unione Europea, in Svizzera e in Giappone è indicato anche per gli adolescenti di età superiore ai 12 anni.
È quindi molto importante, per i medici, comprendere come la malattia stravolga la vita dei pazienti: per scoprirlo, clinici e associazioni hanno inviato a 2.375 individui con AHP o ai loro caregiver il link per partecipare a uno studio chiamato POWER (Porphyria Worldwide Patient Experience Research); 328 di loro hanno fornito il consenso informato e 92 di questi hanno soddisfatto i criteri di inclusione, cioè aver avuto più di un attacco di porfiria negli ultimi due anni o aver ricevuto emina e/o glucosio per via endovenosa per la prevenzione degli attacchi. I risultati del sondaggio sono stati poi analizzati sia collettivamente che per sottogruppi di pazienti.
I partecipanti al questionario erano adulti provenienti da Stati Uniti, Italia, Spagna, Australia, Messico e Brasile, con un’età media di 41,1 anni e per il 90,2% di sesso femminile; un terzo di loro (il 34,7%) dichiarava di essere disoccupato o di avere una disabilità/invalidità. La maggior parte dei pazienti (il 73,9%) era affetta da porfiria acuta intermittente (AIP), la forma più comune di porfiria epatica acuta. L’età media dei partecipanti al momento della diagnosi era di 30,8 anni; il tempo medio trascorso per ottenere la diagnosi era invece di 6,4 anni.
Più del 70% dei pazienti ha definito la propria salute fisica, emotiva e finanziaria come “discreta” o “scarsa”, e chi ha riportato dolore, affaticamento e debolezza muscolare ha anche riferito che questi sintomi limitavano le attività quotidiane, rispettivamente nel 94,3%, 95,6% e 91,4% dei casi. La depressione da moderata a grave era presente nel 58,7% dei pazienti e l’ansia da moderata a grave nel 48,9%. Del 47% dei pazienti con un’occupazione, il 36,8% ha evidenziato una perdita di produttività durante il lavoro. Infine, l’85,9% dei partecipanti al sondaggio ha riferito che, nel corso della vita, a causa della malattia ha dovuto rinunciare ad alcuni importanti obiettivi, oppure ha dovuto modificarli.
“A parte le differenze in merito all’assistenza sanitaria ricevuta e alla gravità del dolore, i risultati dell’indagine non variavano in modo significativo a seconda del numero degli attacchi riportato dai pazienti con AHP oppure dell’uso o meno di trattamenti profilattici con emina o glucosio: la patologia ha un impatto sostanziale sul benessere fisico ed emotivo dei pazienti indipendentemente da questi aspetti”, concludono gli autori dello studio. “Questo sondaggio multinazionale dimostra che il carico di malattia nei pazienti con AHP, anche tra coloro che soffrono di attacchi sporadici o che utilizzano un trattamento profilattico, è notevole. Allo stesso modo, i risultati indicano che il carico di malattia non riguarda solo la salute fisica dei pazienti, ma anche il loro benessere emotivo, sociale e finanziario. Per questi motivi c’è sempre più bisogno di strategie terapeutiche in grado di ridurre gli attacchi, alleviare le manifestazioni croniche della malattia e migliorare il benessere del paziente nel tempo”.
In Italia, da pochi mesi, è attiva “Vivi Porfiria”, la prima associazione dedicata ai pazienti affetti da questa malattia. La Onlus, presieduta da Francesca Granata, è entrata a far parte dell’Alleanza Malattie Rare, un tavolo tecnico permanente, nato nel 2017, che oggi riunisce oltre 400 associazioni di pazienti. Inoltre, per chi avesse la necessità di contattare uno specialista, sul portale “Centri Porfiria Epatica Acuta” è disponibile l’elenco di tutti i Centri di riferimento per la patologia sul territorio nazionale.