Tumori cerebrali maligni: studio clinico identifica un nuovo, promettente farmaco biologico contro le staminali del cancro nella cura del glioblastoma
Contro il glioblastoma multiforme (GBM), il più comune e aggressivo tra i tumori maligni del cervello, con 40.000 nuovi casi all’anno nel mondo e un’aspettativa di vita alla diagnosi di soli 14,5 mesi, non sono stati identificati nuovi farmaci efficaci negli ultimi 4 decenni. La proteina morfogenetica ossea ricombinante umana 4 (hrBMP4) potrebbe inaugurare ora un approccio terapeutico del tutto inedito per questa neoplasia. L’obiettivo non è più cercare di uccidere tutte le cellule del cancro, ma focalizzarsi, come bersaglio, solo sulle cellule staminali carcinogeniche, vero motore dello sviluppo tumorale. Inoltre, non si cerca di ucciderle, come avviene con i trattamenti attuali, ma, agendo su di esse per farle diventare mature e differenziate, le si rende incapaci di moltiplicarsi e sostenere la crescita del tumore. La nuova terapia, detta appunto di pro-differenziamento, ha superato lo studio clinico di fase 1, dimostrando di essere sicura e molto ben tollerata in una popolazione di pazienti affetti da glioblastoma recidivante (con aspettativa di vita media di 5 mesi). La proteina ha inoltre iniziato a dare prova della sua efficacia nel bloccare, e in alcuni casi eliminare, la neoplasia.
Il trial, pubblicato su una delle più importanti riviste oncologiche, “Molecular Cancer” [i], è stato messo a punto e sostenuto con oltre 14 milioni di euro da StemGen SpA, biotech italiana nata all’interno dell’Università di Milano-Bicocca. La ricerca è stata ideata e coordinata da Angelo Vescovi, Direttore Scientifico dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo (FG) e Professore Associato presso il Dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze della Bicocca. Vescovi è stato inoltre pioniere nell’identificare le cellule staminali cerebrali umane e quelle dei glioblastomi e ha ideato l’approccio di pro-differenziazione nel trattamento dei tumori del cervello, pubblicato in precedenza su “Nature”[ii].
Lo studio multicentrico, condotto a livello internazionale, ha visto coinvolti: la Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, il prof. Clemens Dirven e il team dell’Erasmus University Medical Center di Rotterdam, il Brainlab A.G. di Monaco di Baviera, il Tel Aviv Medical Center, la University Clinic Hamburg-Eppendorf e l’Amsterdam University Medical Center. La ricerca è stata supportata anche dalle americane “The Brain Tumor Funders’ Collaborative Initiative” e “James S. McDonnel Foundation”.
Durata oltre 3 anni, la sperimentazione ha valutato in 15 pazienti affetti da glioblastoma recidivante la somministrazione della proteina hrBMP4 all’interno e nei pressi della massa tumorale, tramite una particolare tecnica di lenta infusione cerebrale, con un dosaggio crescente del farmaco da un minimo di 0,5 a un massimo di 18 milligrammi – essendo un ormone, agisce a concentrazioni anche un milione di volte più basse rispetto ai chemioterapici standard –. I risultati hanno mostrato l’assenza di seri effetti collaterali e l’eccellente tollerabilità del farmaco, anche alla dose massima impiegata, e una promettente evidenza di efficacia. Il 20% dei soggetti ha risposto alla terapia: in due pazienti la lesione è completamente scomparsa, in assenza di altri trattamenti concomitanti, e un terzo paziente, con risposta parziale, è sopravvissuto fino a 27 mesi (circa 4 volte il tempo medio di comparsa delle recidive). Inoltre, nei soggetti “non-responder”, la recidiva si è manifestata quasi esclusivamente nelle aree cerebrali non irrorate da hrBMP4.
“Se si considera che lo studio è stato condotto su soggetti già molto compromessi da una patologia in stadio avanzato e che le terapie standard, a fronte di notevole tossicità e pesanti effetti collaterali, allungano solo di 5 mesi l’aspettativa di vita dopo una recidiva, i risultati ottenuti rappresentano una speranza concreta per iniziare a cambiare la storia di questo terribile tumore cerebrale”, spiega il professor Angelo Vescovi, che da alcuni mesi è Presidente del Comitato Nazionale per la Bioetica. “E c’è di più: un dato fra i più sorprendenti della ricerca – prosegue il neuroscienziato – ci arriva anche dai soggetti che non hanno risposto alla terapia. In questi pazienti, infatti, abbiamo osservato che il tumore è tornato a crescere soltanto nelle aree del cervello in cui non siamo riusciti a far arrivare il farmaco, a causa dei limiti delle tecniche di infusione nel coprire con precisione la lesione cancerosa. Viceversa, i 3 pazienti responder sono tra quelli in cui il farmaco ha raggiunto una porzione maggiore di tumore. Questa è un’ulteriore prova del fatto che la proteina hrBMP4, agendo come regolatore inibitorio delle cellule staminali neoplastiche, può essere in grado di bloccarne la crescita”.
“Nella lotta al glioblastoma, tutti i nostri sforzi basati sui classici modelli di trattamento come chemioterapia, radioterapia, terapie anti-angiogeniche e più recentemente immunoterapia, si sono fino ad ora infranti contro una realtà invariabilmente e rapidamente infausta”, afferma il professor Francesco DiMeco, Professore Ordinario di Neurochirurgia presso l’Università degli Studi di Milano e Direttore del dipartimento Neurochirurgia della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta, tra gli autori dello studio. “Abbiamo allora cambiato strategia, vogliamo ‘rieducare’ quella sottopopolazione di cellule tumorali verosimilmente responsabili della nascita e della progressione del tumore. La ricerca appena pubblicata dimostra che questa strategia è perseguibile in maniera sicura per i pazienti e con indizi di una reale efficacia terapeutica, che indagheremo ulteriormente”.
I ricercatori ripongono ora molte aspettative nella futura fase 2 della sperimentazione clinica, per avviare la quale sarà necessario raccogliere ulteriori finanziamenti.
“Negli studi di fase 2, che partiranno non appena avremo raccolto i fondi necessari, arruoleremo circa 250 pazienti sia con recidiva di glioblastoma multiforme sia di nuova diagnosi”, continua Vescovi. “Potremo, inoltre, disporre di sonde molto più efficienti, che permettono di infondere più farmaco e di veicolarlo con maggiore precisione sulla massa tumorale, coprendola fino al 90% (3 volte l’attuale), per tempi fino a 10 volte più lunghi. Pertanto, ci aspettiamo dati di efficacia ancora più consistenti”.
I nuovi trial, attualmente in progettazione a livello mondiale, coinvolgeranno alcuni dei più grandi centri nordamericani ed europei. Se la fase 2 dovesse anche solo riprodurre su più ampia scala i medesimi risultati, hrBMP4 potrebbe essere utilizzato come farmaco orfano (categoria di medicinali impiegati per la cura delle malattie rare), dato che sia l’European Medicines Agency sia la Food and Drug Administration americana gli hanno già riconosciuto questo status[iii].
Commenta il professor Henry Brem, primario di Neurochirurgia presso la Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora (USA) e uno maggiori specialisti di tumori cerebrali al mondo: “Abbiamo grandi aspettative nei confronti di questa proteina. Se i risultati promettenti dimostrati finora saranno confermati negli studi di fase 2, si aprirà la strada a una terapia innovativa che potenzialmente cambierà gli esiti clinici per i pazienti affetti da gliomi maligni”.
[i] Bos EM et al., ”Local delivery of hrBMP4 as an anticancer therapy in patients with recurrent glioblastoma: a first-in-human phase 1 dose escalation trial”, Mol Cancer 22, 129 (2023), https://doi.org/10.1186/s12943-023-01835-6.
[ii] Piccirillo SG et al., “Bone morphogenic proteins inhibit the tumorigenic potential of human brain tumor-initiating cells”, Nature (2006). 444 (7120), 761-765, https://doi.org/10.1038/nature05349.
[iii] EMA: iscritto nel registro comunitario medicinali orfani al numero EU/3/14/1348; FDA: designation #16-5202 del 4 maggio 2016