Steatoepatite non alcolica: pubblicati sul New England Journal of Medicine gli importanti risultati di uno studio di fase 2b su pegozafermin
Sono stati riportati sul New England Journal of Medicine gli importanti risultati di uno studio di fase 2b su pegozafermin, un analogo del fattore di crescita dei fibroblasti 21 (FGF21), che evidenziano la sua efficacia nel migliorare la fibrosi epatica senza peggioramento della steatoepatite non alcolica (NASH). Tale farmaco ora proseguirà il suo sviluppo clinico passando in fase 3.
Pegozafermin è un analogo del fattore di crescita dei fibroblasti 21 (FGF21) glicopegilato a lunga azione (pegilato con l’uso di glicosiltransferasi sito-specifiche) in fase di sviluppo per il trattamento della steatoepatite non alcolica (NASH) e dell’ipertrigliceridemia grave. L’efficacia e la sicurezza di pegozafermin nei pazienti con NASH non cirrotica confermata tramite biopsia non sono ben stabilite.
La steatoepatite non alcolica (NASH) è caratterizzata da un eccesso di accumulo di grasso, infiammazione epatica, e danno cellulare, con o senza fibrosi. La NASH è associata alla sindrome metabolica e a un aumento del rischio di malattie cardiovascolari.
Lo sviluppo di fibrosi clinicamente significativa nella NASH è associato a un peggioramento degli esiti correlati al fegato (ad esempio, progressione verso la cirrosi e le sue complicanze e carcinoma epatocellulare), eventi cardiovascolari e morte.
La prevalenza di NASH tra gli adulti è stata segnalata nel 5,3% in tutto il mondo e nel 14% tra gli adulti di mezza età negli Stati Uniti ed è in aumento. Al momento non è stato approvato alcun trattamento farmacologico.
Il fattore di crescita dei fibroblasti 21 regola il metabolismo dei lipidi e del glucosio e il dispendio energetico.
Pegozafermin, un glicopeghilato a lunga azione (peghilato con l’uso di glicosiltransferasi sito-specifiche)) analogo ricombinante di FGF21, è in fase di sviluppo per il trattamento della NASH e dell’ipertrigliceridemia grave.
L’efficacia e la sicurezza di pegozafermin nei pazienti non cirrotici con NASH dimostrata da biopsia non sono ben consolidate anche se uno studio di fase 1b-2a che ha coinvolto pazienti affetti da NASH non ha mostrato problemi di sicurezza e ha suggerito che la terapia con pegozafermin può migliorare steatosi epatica, marcatori di infiammazione e fibrosi, livelli di lipidi circolanti e controllo glicemico.
I benefici, per quanto riguarda le caratteristiche istologiche del fegato, sono stati osservati in una coorte in aperto di pazienti con NASH confermata dalla biopsia.
L’obiettivo dello studio ENLIVEN era valutare efficacia e sicurezza di pegozafermin nei pazienti con NASH non cirrotica.
Questo studio di fase 2b, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo è stato condotto in 61 centri nel Stati Uniti per valutare l’efficacia e la sicurezza di pegozafermin per un periodo di trattamento di 24 settimane.
Lo studio prevedeva uno screening di 12 settimane e un periodo di trattamento di 24 settimane.
I ricercatori hanno assegnato in modo casuale pazienti con NASH confermata dalla biopsia e fibrosi di stadio F2 o F3 (moderata o grave) a ricevere pegozafermin sottocutaneo alla dose di 15 mg o 30 mg a settimana o 44 mg una volta ogni 2 settimane o placebo a settimana o ogni 2 settimane.
I due endpoint primari erano un miglioramento della fibrosi (definito come riduzione di almeno 1 stadio, su una scala da 0 a 4, con stadi più alti che indicano una maggiore gravità), senza peggioramento della NASH, a 24 settimane e risoluzione della NASH senza peggioramento della fibrosi a 24 settimane. È stata valutata anche la sicurezza.
Tra i 222 pazienti sottoposti a randomizzazione, 219 hanno ricevuto pegozafermin o placebo. La percentuale di pazienti che soddisfacevano i criteri per il miglioramento della fibrosi era del 7% nel gruppo placebo, del 22% nel gruppo pegozafermin 15 mg (differenza rispetto al placebo, 14 punti percentuali; intervallo di confidenza [CI] al 95%, da -9 a 38), 26% nel gruppo pegozafermin 30 mg (differenza, 19 punti percentuali; IC 95%, da 5 a 32; p=0,009) e 27% nel gruppo pegozafermin 44 mg (differenza, 20 punti percentuali; 95 % IC, da 5 a 35; p=0,008).
La percentuale di pazienti che soddisfacevano i criteri per la risoluzione della NASH era del 2% nel gruppo placebo, del 37% nel gruppo pegozafermin 15 mg (differenza rispetto al placebo, 35 punti percentuali; IC al 95%, da 10 a 59), del 23% nel gruppo pegozafermin 30 mg (differenza, 21 punti percentuali; IC 95%, da 9 a 33) e il 26% nel gruppo pegozafermin 44 mg (differenza, 24 punti percentuali; IC 95%, da 10 a 37).
Gli eventi avversi più comuni associati alla terapia con pegozafermin sono stati nausea e diarrea.
Gli autori hanno commentato che la dose di 44 mg ogni 2 settimane per 24 settimane ha portato a miglioramenti significativi, rispetto al placebo, nella fibrosi senza peggioramento della NASH. La progressione della fibrosi è un fattore predittivo chiave degli esiti clinici della NASH, inclusa la morte correlata al fegato e morte per qualsiasi causa.
Il miglioramento di entrambi, steatoepatite e fibrosi, indicano che pegozafermin può influenzare aspetti chiave della NASH. In conclusione, questi risultati supportano l’avanzamento di pegozafermin nello sviluppo della fase 3.
Rohit Loomba et al., Randomized, Controlled Trial of the FGF21 Analogue Pegozafermin in NASH. N Engl J Med 2023 Sep 14;389(11):998-1008.