Leucemia mieloide acuta: aggiunta di gemtuzumab ozogamicin alla chemioterapia intensiva può aumentare la quota di MRD-negatività post-consolidamento
Nei pazienti con leucemia mieloide acuta a rischio favorevole o intermedio, l’aggiunta del coniugato anticorpo farmaco gemtuzumab ozogamicin alla chemioterapia intensiva può far sì che una percentuale notevole di pazienti raggiunga uno stato di malattia residua misurabile (o malattia minima residua, MRD) negativa dopo il consolidamento. A suggerirlo sono risultati preliminari di uno studio tutto italiano della Fondazione GIMEMA – lo studio AML1819 – presentati di recente in occasione del congresso annuale della European Hematology Association (EHA).
Inoltre, in un confronto con uno studio precedente sempre della Fondazione GIMEMA, lo studio AML1310, nel quale non si era aggiunto gemtuzumab ozogamicin alla chemioterapia, la percentuale di pazienti MRD-negativi dopo il consolidamento è risultata più alta nello studio AML1819, il cui protocollo prevedeva, invece, l’aggiunta dell’ADC alla chemioterapia. Infatti, nello studio AML1819, dopo il consolidamento circa due terzi dei pazienti a rischio intermedio sono risultati MRD-negativi, a fronte di meno della metà nello studio AML1310.
Approccio post-consolidamento guidato dall’MRD
Lo studio AML1819 si basa sull’esperienza precedente dello studio GIMEMA AML1310 ( Venditti A et al, Blood 2019), nel quale gli sperimentatori sceglievano se avviare i pazienti al trapianto di cellule staminali emopoietiche autologo oppure allogenico a seconda del rischio (per le categorie di rischio favorevole e avverso) o dello stato della MRD (per i pazienti nella categoria a rischio intermedio). In particolare, ha spiegato Venditti, «i pazienti che dopo il secondo ciclo di terapia cioè il primo di consolidamento, risultano ancora positivi per la MRD ricevevano un trapianto allogenico, mentre quelli che risultano MRD-negativi venivano sottoposti a un trapianto autologo».
Sulla base di questa esperienza, i ricercatori del GIMEMA hanno progettato uno studio multicentrico di nuova generazione, lo studio AML1819 appunto, nel quale hanno arruolato pazienti giovani (non più di 60 anni) appartenenti alle categorie ELN2017 a rischio favorevole e intermedio, esclusi i portatori di mutazioni di FLT3, e hanno valutato l’aggiunta di gemtuzumab ozogamicin alla chemioterapia intensiva, utilizzando anche in questo caso un approccio post-remissione guidato dai risultati relativi alla MRD dopo il consolidamento.
Lo studio GIMEMA AML1918
Nello studio GIMEMA AML 1819 (NCT04168502) sono stati arruolati 171 pazienti con leucemia mieloide acuta de novo, sottoposti a un ciclo di chemioterapia di induzione con daunorubicina e AraC più gemtuzumab ozogamicin, a una prima valutazione della MRD e poi a una chemioterapia di consolidamento con daunorubicina e AraC più gemtuzumab ozogamicin, seguita da un’ulteriore valutazione della MRD. A questo punto, i pazienti che risultavano MRD-negativi venivano avviati al trapianto autologo, mentre quelli MRD-positivi al trapianto allogenico.
L’MRD è stata valutata mediante RT-qPCR per i pazienti che presentavano uno specifico marcatore molecolare (una mutazione di NPM1 o riarrangiamenti di CBF) oppure mediante citometria a flusso multiparametrica in quelli privi di una signature molecolare tracciabile.
Dopo il trapianto, i pazienti sono stati randomizzati e assegnati alla sola osservazione o mantenimento con glasdegib per 12 mesi.
Gli obiettivi primari dello studio AML1819 sono in primis determinare la percentuale di MRD-negatività dopo il consolidamento nei pazienti trattati in induzione e consolidamento con gemtuzumab ozogamicin in aggiunta alla chemioterapia, e in secondo luogo valutare l’efficacia di un mantenimento post-trapianto con glasdegib rispetto alla sola osservazione clinica in termini di miglioramento della sopravvivenza libera da malattia (DFS).
In questa analisi preliminare presentata al congresso di Francoforte, Venditti e i colleghi hanno presentato i risultati preliminari dell’analisi dell’MRD al termine del consolidamento.
Alto tasso di MRD-negatività con gemtuzumab ozogamicin
Dei 171 pazienti arruolati, 145 (l’85%) sono risultati valutabili.
L’età mediana del campione era di 53 anni (range: 18-61) e circa la metà dei pazienti (52%) era di sesso maschile; inoltre, 76 pazienti (il 52%) appartenevano alla categoria ELN2017 a rischio favorevole e 69 (48%) a quella a rischio intermedio.
Dei 145 pazienti analizzati, 107 (il 74%) hanno ottenuto una remissione completa (con o senza recupero completo dell’emocromo) dopo l’induzione, di cui 63 su 76 (83%) nel sottogruppo a rischio favorevole e 44 su 69 (64%) in quello a rischio intermedio.
Di questi 107 pazienti in remissione, 105 (98%) sono stati sottoposti al ciclo di consolidamento e 96 (91%) (di cui 58, il 60%, nel sottogruppo a rischio favorevole e 38, il 40%, in quello a rischio intermedio) sono stati poi sottoposti alla valutazione della MRD post-consolidamento.
Di questi pazienti, complessivamente, il 74% è risultato MRD-negativo e il 26% MRD-positivo dopo il consolidamento. Analizzando il dato dell’MRD in funzione della categoria di rischio, si è visto che i pazienti che hanno raggiunto uno stato di MRD-negatività dopo il consolidamento sono stati l’81% (47 pazienti) nel sottogruppo a rischio favorevole e il 63% (24 pazienti) in quello a rischio intermedio.
Nello studio AML1310, il cui protocollo non prevedeva l’aggiunta di gemtuzumab ozogamicin alla chemioterapia, nei pazienti a rischio intermedio la quota di MRD-negatività dopo il consolidamento è risultata del 46% (42 pazienti su 92), e dunque più bassa rispetto a quanto osservato nello studio AML1819. «Pur tenendo conto dei limiti insiti in questo tipo di confronto, sembra dunque che l’impatto dell’aggiunta di gemtuzumab ozogamicin (alla chemioterapia, ndr) sia significativo», ha sottolineato Venditti.
Riguardo agli outcome di sopravvivenza, con un follow-up mediano di 17,4 mesi, la sopravvivenza globale (OS) a un anno dei pazienti a rischio favorevole è risultata dell’83,1% (DS 69,2%, 99,8%) e quella dei pazienti a rischio intermedio del 72,1% (53,0%, 98,0%).
Lo studio AML1819 ora prosegue per la valutazione dell’effetto del mantenimento con glasdegib sulla DFS rispetto alla semplice osservazione, nonché per confermare i risultati dell’analisi preliminare con un follow-up più lungo e verificare se l’elevata frequenza di MRD-negatività osservata si traduce in un vantaggio di sopravvivenza.
Il riscontro dell’alta percentuale di MRD-negatività ottenuta aggiungendo gemtuzumab ozogamicin alla chemioterapia, sottolineano Venditti e i colleghi, ha potenziali implicazioni pratiche, dal momento che nello studio AML1819 questo ha permesso di ridurre la quota di pazienti da sottoporre al trapianto allogenico, anziché autologo.
«Se tutti questi dati venissero confermati, si potrebbe trasferire nella pratica clinica l’utilizzo di un parametro come l’MRD per poter effettuare le opportune scelte trapiantologiche», ha concluso Venditti.
Tuttavia, ha precisato il Professore, «valutare l’MRD richiede un notevole livello di expertise ed è importante, quindi, che tutti i laboratori vengano opportunamente addestrati in modo tale da utilizzare in maniera armonizzata questo approccio dal punto di vista tecnico, per far sì che i risultati ottenuti in laboratori diversi siano confrontabili e riproducibili, il tutto a beneficio del paziente».
Bibliografia
A. Venditti, et al. GIMEMA AML1819 TRIAL: Gemtuzumab Ozogamicin plus intensive chemotherapy impacts on the level of post-consolidation measurable residual disease (MRD) in Acute Myeloid Leukemia. EHA 2023; abstract P505. Link