In corso la campagna “La Sclerodermia è anche nostra”, promossa da GILS, LISS, Lega Italiana Sclerosi Sistemica e AMRER
“La Sclerodermia è anche nostra”, promossa da GILS, Gruppo Italiano per la Lotta alla Sclerodermia, LISS, Lega Italiana Sclerosi Sistemica e AMRER, Associazione Malati Reumatici Emilia-Romagna con il contributo non condizionato di Italfarmaco è la nuova Campagna per accendere i riflettori sulla sclerosi sistemica e fornire ai pazienti informazioni accurate sulla patologia, sul percorso di cura, ad oggi non ancora standardizzato e omogeneo in tutte le regioni, e sulle testimonianze degli specialisti e di chi vive la malattia. (www.sclerodermia.info).
“Essere parte attiva di questa Campagna per noi significa contribuire ad aiutare i pazienti che ogni giorno, a causa della complessità della malattia, si trovano a fronteggiare difficoltà motorie, pneumologiche, cardiologiche e psicologiche” – aggiunge Paola Canziani, Presidente Gruppo Italiano per la Lotta alla Sclerodermia – GILS. “L’obiettivo della Campagna è far emergere con chiarezza ‘la voce dei pazienti’ e valutare concretamente il pesante coinvolgimento che la malattia implica nella gestione quotidiana della persona e del nucleo familiare” – dichiara Mariabeatrice Elvano, Portavoce Lega Italiana Sclerosi Sistemica – LISS. “Percorsi precisi di presa in carico dei pazienti che garantiscano un approccio diagnostico-terapeutico in tempi rapidi sono gli elementi fondamentali per aiutare le persone con questa condizione” – conclude Daniele Conti, Direttore Associazione Malati Reumatici Emilia-Romagna – AMRER.
La sclerosi sistemica è una malattia rara complessa che colpisce il tessuto connettivo. Attualmente i percorsi di cura prevedono una presa in carico a livello ospedaliero e l’utilizzo di dispositivi fissi o indossabili.
“Ad oggi presso il nostro centro i pazienti vengono gestiti in ospedale con l’ausilio di dispositivi indossabili alla presenza di un infermiere o di un medico, affinché possano intervenire in caso di necessità” – dichiara Massimo Reta, Direttore della S.C. Medicina Interna ad Indirizzo Reumatologico – Ospedale Maggiore “C.A. Pizzardi” di Bologna – “Oltre ai nostri hub ospedalieri, abbiamo a disposizione 16 sedi territoriali, in alcune delle quali abbiamo avviato la sperimentazione della delocalizzazione dei pazienti in carico alla nostra struttura raggiungendo il nostro obiettivo, ossia permettere ai pazienti di recarsi presso il proprio distretto, diminuendo il tempo di percorrenza dalla propria abitazione al luogo di cura. Un’opzione che ha permesso di aumentare l’aderenza alla terapia in pazienti che in questo modo riescono a seguire il loro percorso di cura.”
Per i pazienti che, per condizioni fisiche e/o per problemi logistici non riescono a raggiungere la struttura di riferimento, è possibile oggi offrire anche percorsi di cura a domicilio, grazie all’integrazione ospedale-territorio e alla telemedicina che consente di monitorare da remoto i pazienti. “Il concetto di casa come primo luogo di cura grazie alla telemedicina deve diventare una realtà. Tale procedura rappresenta infatti una grande opportunità, tanto che anche l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) ne ha riconosciuto il valore autorizzando percorsi di domiciliazione per farmaci ospedalieri, secondo la valutazione del medico – dichiara Sergio Pillon, Vicepresidente AiSDeT – Associazione italiana Sanità Digitale e Telemedicina.
I pazienti sclerodermici che possono essere presi in carico al di fuori dell’ospedale sono quelli monitorati da anni, in cui la terapia è stata ormai ben identificata e in cui, in definitiva, viene rilevata una buona aderenza ai percorsi di cura proposti.
“Siamo consapevoli che la gestione delocalizzata dei pazienti rappresenti un’importantissima opportunità in termini di miglioramento della qualità di vita, ma allo stato attuale la domiciliazione, per esempio, non può essere applicata a tutti e in ogni caso è necessario avviare un percorso assistenziale che preveda la loro presa in carico grazie all’aiuto degli infermieri di famiglia oppure presso le case di comunità, essendo la terapia infusionale una terapia che necessita del controllo di un sanitario” – precisa Oscar Massimiliano Epis, Direttore della Struttura Complessa di Reumatologia – ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano.
“I progressi raggiunti negli ultimi anni ci hanno permesso di passare dalla necessità di una gestione al letto del paziente, alla possibilità di utilizzare un dispositivo indossabile e un sensore per controllare i parametri a distanza, permettendo così non solo una maggiore mobilità del paziente ma anche, laddove i requisiti lo consentissero, una presa in carico domiciliare” – dichiara Antonino Mazzone, Direttore Dipartimento Area Medica – ASST Ovest Milanese – “Questo ‘nuovo’ percorso terapeutico consente una gestione più confortevole e che si adatta alle esigenze dei pazienti, un vero modello di integrazione tra l’ospedale e il territorio favorito dalla tecnologia, che apre una nuova era per la lotta alla sclerodermia. Una piccola ma sostanziale rivoluzione nell’approccio alla malattia che permetterebbe di monitorare il paziente a distanza e di incidere positivamente sulla qualità di vita dello stesso”.
La sclerosi sistemica è una malattia progressiva sistemica rara, che colpisce in prevalenza le donne. In Italia, questa patologia interessa attualmente quasi 30.000 individui e si sviluppa principalmente tra i 40 e i 50 anni, anche se la sua forma più grave e invalidante può manifestarsi già tra i 20 e i 25 anni. È una malattia del tessuto connettivo che coinvolge la pelle, i vasi sanguigni, il cuore, i polmoni, i reni, l’apparato digerente (tratto gastrointestinale) e l’apparato muscoloscheletrico. Identificare la sclerosi sistemica può essere complesso in ragione delle molteplici manifestazioni della malattia e dei differenti organi che può coinvolgere.
“Oggi, grazie ai criteri di classificazione VEDOSS (Very Early Diagnosis of SSc, ovvero diagnosi molto precoce di sclerosi sistemica) e ACR/EULAR del 2013, abbiamo la possibilità di identificare la sclerodermia in modo tempestivo anche nelle fasi più precoci ed avviarli in un percorso di approfondimento dell’interessamento degli organi interni in modo tale da decidere una terapia che porti rapidamente ad una remissione con un controllo dell’andamento della malattia nel tempo. È importante sottolineare che una diagnosi precoce seguita da un piano terapeutico tempestivo ed appropriato ottimizza la risposta del paziente, rallentando l’evoluzione della malattia e riducendo la possibilità che si creino danni tissutali a livello cardiaco, polmonare, renale e gastrointestinale.” – Marco Matucci-Cerinic è Professore Ordinario di Reumatologia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele.