La fibrosi polmonare idiopatica (IPF) rappresenta il prototipo delle patologie fibrosanti. Il punto sui nuovi target terapeutici nella ricerca
La fibrosi polmonare idiopatica (IPF) rappresenta il prototipo delle patologie fibrosanti, la prima che è stata approcciata da un punto di vista terapeutico e della ricerca farmacologica e la prima per la quale sono stati approvati due farmaci, nintedanib e pirfenidone, che hanno consentito di superare l’approccio empirico basato solo su steroidi e immunosoppressori.
I trial registrativi condotti su queste due molecole ne hanno mostrato la capacità di rallentare la progressione della malattia, che tuttavia ancora non può essere né arrestata né curata. «Un approccio che complica un poco la comunicazione medico paziente perché, quando avviamo queste terapie, dobbiamo comunque fare presente ai nostri pazienti che continueranno a progredire e che potrebbero avere degli effetti collaterali» ha osservato Luca Richeldi, professore ordinario e direttore dell’Unità operativa complessa di Pneumologia presso la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma. «Tuttavia siamo in grado di ridurre la progressione mediamente del 50% e oggi otteniamo un beneficio che è molto diverso dal danno che prima causavamo con gli steroidi».
Le linee guida più recenti, pubblicate nel 2022, una volta effettuata la diagnosi di fibrosi polmonari idiopatica, raccomandano come prima opzione un approccio farmacologico, optando per nintedanib o pirfenidone in funzione delle eventuali comorbilità, del profilo di sicurezza e della disponibilità dei farmaci nei diversi paesi.
La ricerca farmacologica in questo ambito è comunque molto attiva, al punto che le linee guida raccomandano anche che i pazienti siano informati della disponibilità di trial clinici nei quali potrebbero essere arruolati a tutti gli stadi di malattia poiché, per quanto efficaci, le attuali opzioni terapeutiche sono subottimali rispetto al risultato che si vorrebbe raggiungere in questi soggetti.
Nuovi target terapeutici nella ricerca sull’IPF
Macrofagi e fibroblasti sono tra le cellule principali responsabili dei meccanismi della fibrosi polmonare in generale e, focalizzando l’attenzione su queste due tipologie cellulari, è possibile individuare dei potenziali target terapeutici.
La ricerca sui macrofagi negli ultimi anni è molto progredita da un punto di vista biologico. La pentraxina, una molecola che agisce sulla modifica del fenotipo dei macrofagi da profibrotici ad antinfiammatori, ha inizialmente mostrato risultati molto promettenti a sei mesi in uno studio di fase II (Raghu 2018). I pazienti trattati con pentraxina per via endovenosa tendevano a stabilizzare la propria capacità respiratoria, soprattutto quando il farmaco non era utilizzato in associazione con gli antifibrotici. Purtroppo il successivo studio di fase III non ha avuto il successo sperato ed è stato interrotto per via dell’assenza di differenze significative con il placebo.
Il fibroblasto è particolarmente coinvolto nella IPF, al punto che si ritiene che sia nintedanib che pirfenidone individuino questa cellula come target principale. Anche in questo caso sono stati studiati alcuni farmaci interessanti, in particolare ziritaxestat, un inibitore dell’autotassina (un enzima che converte la lisofosfatidilcolina in acido lisofosfatidico) che ha dato risultati promettenti in uno studio di fase II relativamente piccolo e di breve durata che ha generato due trial più ampi di fase III, ISABELA 1 e 2 (Maher 2023). Anche in questo caso, però, gli esiti sono stati deludenti e gli studi sono stati interrotti anticipatamente per una mancanza di efficacia in tutti i gruppi di trattamento
L’anticorpo monoclonale sperimentale pamrevlumab, una target therapy contro il connective tissue growth factor (CTGF) per via endovenosa, ha dato risultati interessanti in un trial di fase II (Richeldi 2020) di 12 mesi con una stabilizzazione della FVC dei pazienti rispetto al placebo. Nuovamente, però, i successivi studi di fase III non hanno raggiunto l’endpoint primario o sono stati interrotti.
«Quindi tre grandi studi di fase III negativi e tutti sulla base di studi fase II positivi» ha commentato il relatore. «Questo sta facendo un po’ ripensare la strategia anche all’interno della nostra comunità per capire quanto i nostri studi di fase II siano adeguati a catturare dei messaggi promettenti e soprattutto quanto necessitano i trial più ampi».
Infine, sembra interessante un inibitore delle fosfodiesterasi (BI 1015550), in particolare della subunità 4B che dovrebbe avere un’attività antifibrotica. In uno studio di fase II (Richeldi 2022) nel quale era consentito l’uso di antifibrotici di background, la molecola è sembrata in grado di stabilizzare la FVC rispetto al placebo nell’arco di tre mesi. «Un segnale emerso per la prima volta in una sperimentazione di fase II, da interpretare con cautela ma anche con ottimismo, è stato che la combinazione del farmaco con nintedanib ha portato ad un incremento della FVC. Resta da capire se si tratta di un effetto sulle vie aeree o se dipende dalla sinergia tra i due farmaci» ha affermato Richeldi.
Il conseguente studio di fase III (FIBRONEER – IPF), della durata prevista di 52 settimane, ha completato l’arruolamento di pazienti con fibrosi polmonare idiopatica, mentre un trial con un disegno identico (FIBRONEER – ILD) sta arruolando soggetti con fibrosi polmonari progressive non idiopatiche.
«Dobbiamo sperare ma anche, al contempo, essere consapevoli del fatto che finora i farmaci approvati di cui disponiamo sono i due già citati. Ci sono molti altri studi di fase II e III in arrivo; ciò, per noi che ci occupiamo di questa tipologia di pazienti fa ben sperare» ha aggiunto.
«Con i farmaci approvati e con quelli che speriamo di avere in futuro – ha concluso Richeldi, sarà forse possibile raggiungere l’obiettivo di stabilizzare, se non di far regredire, la malattia».
Referenze
Richeldi L. Nuove terapie delle patologie polmonari fibrosanti. European Respiratory Society (ERS). International Congress 2023. Milan, Italy, 9-13 September.
Raghu G et al. Am J Respir Crit Care Med. 2022 May 1;205(9):e18-e47.
Raghu G et al. JAMA. 2018 Jun 12;319(22):2299-2307.
Maher TM et al. JAMA. 2023 May 9;329(18):1567-1578.
Richeldi L et al. Lancet Respir Med. 2020 Jan;8(1):25-33.
Richeldi L et al. N Engl J Med. 2022 Jun 9;386(23):2178-2187