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Tumore alla mammella con mutazione dei geni BRCA: oncologi a confronto

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Tumore alla mammella con mutazione dei geni BRCA 1/2: dagli oncologi un manifesto in quattro punti per migliorare presa in carico, prevenzione e accesso ai test

Un tavolo di lavoro con oncologi, anatomopatologi e associazioni pazienti, per far emergere i nodi ancora da sciogliere in Lombardia in tema di presa in carico e prevenzione nelle persone affette da tumore alla mammella con mutazione dei geni BRCA1 e BRCA2.

Da qui, la necessità di elaborare il documento sul valore della medicina di precisione e dei test diagnostici nelle persone affette da tumore alla mammella con mutazione dei geni BRCA1 e BRCA2 che FB & Associati, con il contributo non condizionante di Pfizer, ha portato all’attenzione delle Istituzioni della Regione e la formulazione di un Manifesto con 4 key points.

È emersa l’esigenza di avere test più rapidi, la verifica della familiarità nel corso della prima mammografia di screening, una presa in carico globale delle famiglie a rischio.
Questo progetto fa parte di un percorso iniziato nel 2022 che ha riunito un gruppo di esperti, società scientifiche, associazioni di pazienti e Istituzioni, che ha portato alla stesura di un Policy Brief contenente una call to action nazionale.

La Regione Lombardia ha investito e potenziato i test di profilazione genomica, gli screening, i programmi di sorveglianza per la diagnosi precoce e ha aderito all’assegnazione dell’esenzione D99 a donne e uomini con la mutazione BRCA al fine di offrire gratuitamente a questa categoria a rischio le prestazioni specialistiche correlate alla prevenzione. Ha previsto, inoltre, il PDTA regionale per la gestione della persona a rischio e/o con tumore della mammella definendo un percorso condiviso clinico ed organizzativo multidisciplinare. Ma non basta.

Emanuele Monti, Presidente in Regione Lombardia della Commissione permanente – Sostenibilità sociale, casa e famiglia – ha commentato che «Regione Lombardia è pienamente consapevole dell’importanza di affrontare il tumore alla mammella con mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2 in modo completo ed efficace. Riconosciamo il coraggio e la forza delle donne e delle famiglie che affrontano questa sfida, e sappiamo che c’è ancora molto lavoro da fare. Le istituzioni regionali si impegnano a promuovere la prevenzione, la ricerca e l’accesso a cure di alta qualità per le pazienti affette da queste mutazioni genetiche». Tale posizione è confermata anche da Paola Bocci – Segretario della stessa Commissione di Regione Lombardia – che ha dichiarato: «La lotta contro il tumore alla mammella con mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2 richiede un impegno totale da parte delle istituzioni, della comunità scientifica e delle associazioni di pazienti. Riconosciamo che questa sfida richiede un approccio multidisciplinare e collaborativo. Siamo fermamente convinti che solo attraverso una sinergia tra istituzioni, ricerca e sviluppo, e la stretta collaborazione con le associazioni di pazienti e i clinici, possiamo raggiungere progressi significativi nella prevenzione, diagnosi e trattamento di questa malattia».

Le donne con mutazione BRCA che si sottopongono ad un monitoraggio diagnostico per scoprire il più precocemente possibile l’eventuale insorgenza di malattia, sono costrette alla criticità delle liste d’attesa. Un problema, questo, non solo in Lombardia. «Le donne alle quali è stata identificata la mutazione fondamentalmente chiedono un accesso più rapido ai servizi di sorveglianza», sottolinea Loredana Pau, vicepresidente Europa Donna Italia. «Questo è il punto più critico sia per le pazienti che hanno già avuto un tumore e che scoprono di essere mutate, sia per quanto riguarda invece le donne per le quali la mutazione viene riscontrata a seguito di una verifica nella famiglia.  Chiediamo anche che venga verificata la familiarità al primo accesso alla mammografia di screening».

Nonostante i sistemi di identificazione delle persone a rischio siano sempre in evoluzione, una quota non indifferente di soggetti portatori di mutazione, pari a circa il 15-20%, non viene identificata. Viene da chiedersi, perciò, se vi sia la necessità di allargare i criteri per l’inclusione all’esecuzione del test genetico. «Queste mutazioni non sono così rare e diventano bersaglio di cura per scelte terapeutiche   diverse», interviene Alberto Zambelli, professore associato di Oncologia medica Humanitas University e capo sezione della Senologia oncologica del Centro oncologico Humanitas Irccs di Rozzano, Milano. «Il vecchio schema dei criteri molto selettivi per permettere l’accesso al test ed escluderne altri, oggi va rimodulato, proprio per intercettare chi è portatore della mutazione senza saperlo. Stiamo parlando della popolazione sana e della necessità di attivare interventi di sanità pubblica, da affrontare certamente in un’ottica di farmacoeconomia».

La questione non è solo lombarda, ma di carattere nazionale.  Il costo del test genetico, se impiegato per effettuarlo a tutti i cittadini, richiede un investimento importante da parte dello Stato, che, tuttavia, in un’ottica a lungo termine rappresenterebbe un risparmio rispetto a un possibile sviluppo di malattia nella stessa famiglia negli anni successivi. In questa logica terapeutica, è necessario però che i costi dei test si riducano e che la gestione e il personale coinvolto siano adeguati in termini di risorse. «Va strutturato anche un servizio di psico-oncologia all’interno delle Breast Unit, cosa che al momento non è sempre adeguatamente presente», interviene Alessandra Huscher, Presidente Comitato Regionale Susan G. Komen Italia. «Questo vale sia per le donne che per prime sono risultate positive al test BRCA, sia per la famiglia. L’obiettivo è di coltivare la consapevolezza, per evitare che queste persone vengano sopraffatte dalla paura». «Le donne oggi sono consapevoli di ciò che significa una diagnosi di tumore e sanno quali rischi può portare con sé la presenza di una mutazione genetica. Vogliono essere rassicurate, ma soprattutto informate e con dati scientifici alla mano, al fine di scegliere il percorso che dà più fiducia, che permetta di proseguire coi progetti di vita», spiega Gabriele Martelli, oncologo e chirurgo senologo  S.C. Chirurgia Generale oncologica 3 – Senologia Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. « A questo proposito, il 4 ottobre abbiamo pubblicato su Jama Surgery un lavoro scientifico che dimostra in pazienti operate di neoplasia mammaria e portatrici di mutazione germinale BRCA 1 o 2 un significativo miglioramento di sopravvivenza in quelle che hanno effettuato una salpingo ovariectomia profilattica rispetto a quelle che non l’hanno effettuata. Non solo per un’evidente diminuzione di mortalità per neoplasia ovarica che ha un’alta incidenza nelle pazienti mutate soprattutto BRCA 1 ma anche per un effetto protettivo in termini di riduzione di mortalità per carcinoma mammario che si riscontra soprattutto in pazienti con neoplasia mammaria triplo negativa».
Il tema del miglioramento della presa in carico è certamente fondamentale nell’analisi dello stato dell’arte in Regione Lombardia. Gli   spunti emersi in occasione dei lavori hanno evidenziato la necessità di rendere il più semplice possibile l’accesso al test. Negli ultimi due anni, il Ministero della Salute ha messo a disposizione un fondo per l’implementazione dell’utilizzo della piattaforma NGS che, tuttavia, è ancora molto limitato. Le regioni che hanno ricevuto tali fondi hanno dovuto identificare degli Hub in cui eseguire i test NGS, Next Generation Sequency, con caratteristiche ben precise in termini di personale, di formazione e di numero di test eseguiti.

In Regione Lombardia ci sono 13 centri Hub che soddisfano questi requisiti ed è in programma l’attivazione di ulteriori Hub nelle zone meno accessibili. Una situazione, comunque, privilegiata rispetti ad altre Regioni. «Non possiamo rimanere in una realtà simile in cui c’è una regione che funziona bene e altre meno», interviene Giancarlo Pruneri, Direttore Dipartimento di Patologia diagnostica e Laboratorio – Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. «Strutturare una rete dei laboratori in ogni regione è molto utile e pragmatico. Le nostre supposizioni sull’esistenza di altre mutazioni oltre a quelle già note, si sono rivelate fondate e oggi sappiamo che in caso di famiglie con una forte componente di malattie oncologiche ma negative ai test BRCA, dobbiamo ricercare altri geni mutati, come PALB2, ATM e CHEK2. Dobbiamo dunque pensare di estendere il pannello di ricerca anche a tali geni “critici”, e questo richiede Hub con attrezzature all’avanguardia e personale specializzato». Il lavoro dell’anatomopatologo e quello del genetista diventano così complementari e inseriti nell’ambito dei Molecolar Tumor Board, gruppi multidisciplinari in cui si discutono i casi e che permettono un’accelerazione dei tempi diagnostici e, quindi, anche una presa in carico più rapida delle donne mutate e delle loro famiglie da parte degli specialisti del settore.

Parte, quindi, dalla Regione Lombardia la richiesta di creare in ogni regione un percorso dedicato per la gestione delle donne BRCA mutate, ma anche di acquisire più facilmente dati che consentano di individuare i portatori di mutazioni genetiche, mettendo in campo le conoscenze scientifiche e le risorse disponibili, anche per quanto riguarda la creazione di Hub e di Molecular Tumor Board.  Sì anche a una rete tra le diverse Associazioni pazienti, come ribadiscono Loredana Pau e Alessandra Huscher: «è una collaborazione necessaria al fine di sviluppare obiettivi comuni. E gestire al meglio una campagna di informazione su tutto il territorio nazionale».

Da Milano, il Manifesto con i Key Points

Implementazione dei laboratori Hub, centralizzazione e corretta gestione delle risorse, permettendo ad un bacino di utenza maggiore l’accesso alla piattaforma NGS nei centri accreditati.

Riorganizzazione dei centri dedicati alla diagnostica molecolare che garantiscano un rapporto corretto tra volume ed efficienza di qualità.
Revisione dei codici di rimborso delle prestazioni proposte dai laboratori di anatomia patologica che permetta l’esecuzione di un numero maggiori di prestazioni stesse, garantendo così l’accesso ad un volume di utenza maggiore

Rispetto delle linee guida nazionali: in Lombardia i centri non accreditati come Breast Unit non ricevono rimborsi, nel rispetto delle Linee Guida   Nazionali.   Si   dovrebbe   allargare   questa disposizione a carattere legislativo, per garantire alle pazienti con tumore della mammella, comprese le donne con mutazione BRCA, la miglior presa in carico e i migliori trattamenti possibili.

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