Tumore dell’endometrio avanzato/ricorrente: atezolizumab più chemioterapia quasi dimezza rischio di progressione o morte rispetto alla chemioterapia
Il trattamento con l’anti-PD-L1 atezolizumab più la chemioterapia standard a base di platino, seguito da una terapia di mantenimento con atezolizumab in monoterapia, migliora la sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto alla chemioterapia più un placebo, seguita dalla terapia di mantenimento con un placebo, nel trattamento di prima linea di pazienti con carcinoma endometriale avanzato/ricorrente.
Lo dimostrano i risultati dello studio di fase 3 AtTEnd, presentato al congresso della European Society for Medical Oncology (ESMO), a Madrid, in una sessione orale Proffered Paper.
Il beneficio di atezolizumab in aggiunta alla chemio è risultato evidente soprattutto nelle pazienti che presentavano un deficit del meccanismo riparazione dei mismatch del DNA (dMMR). Infatti, in questo sottogruppo di pazienti si è osservata una riduzione del 64% del rischio di progressione della malattia o di morte associata al trattamento combinato con atezolizumab rispetto alla sola chemioterapia. Inoltre, si è osservata una riduzione del 59% del rischio di decesso, nonostante circa il 41% delle pazienti del braccio di controllo abbia ricevuto l’immunoterapia come terapia successiva a quella in studio.
«AtTEnd conferma l’eccezionale efficacia degli inibitori del checkpoint immunitario, inclusi gli inibitori di PD-L1, in combinazione con la chemioterapia in pazienti con carcinoma endometriale avanzato/ricorrente, in particolare in quelle che presentano dMMR» ha detto a conclusione della sua presentazione l’autrice principale dello studio, Nicoletta Colombo, Professore Associato di Ginecologia e Ostetricia presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca e Direttore del programma di Ginecologia Oncologica dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano.
Perché combinare immunoterapia e chemioterapia
Colombo ha spiegato che studi precedenti hanno dimostrato l’efficacia della monoterapia con inibitori dei checkpoint immunitari nei tumori con un elevato carico mutazionale, come quello endometriale, in particolare nei casi con dMMR/instabilità dei microsatelliti.
Esiste un forte razionale biologico per la combinazione della chemioterapia con gli inibitori dei checkpoint immunitari, ha sottolineato l’autrice, e la presenza di una sinergia fra i due approcci terapeutici è stata dimostrata da studi clinici recentemente pubblicati.
Lo studio AtTEnd
Lo studio AtTEnd (NCT03603184) è un trial multicentrico internazionale, in doppio cieco, randomizzato, controllato con placebo, al quale l’Italia, con i centri del gruppo MaNGO ha dato un contributo fondamentale, con ben 219 pazienti arruolate (il 40% del totale). Lo studio, ha sottolineato Colombo, è il primo trial internazionale di fase 3 nel quale si è valutata l’aggiunta di atezolizumab alla chemioterapia standard a base di platino per il carcinoma endometriale avanzato/ricorrente.
È stato condotto da ottobre 2018 a gennaio 2022 in 89 centri di 10 Paesi, e, rispetto ad altri studi su questa popolazione, ha arruolato il 20% di donne provenienti dall’Asia.
Per essere idonee all’arruolamento, le pazienti dovevano avere un carcinoma endometriale o un carcinosarcoma; un tumore di nuova diagnosi in stadio da III a IV o recidivato, ma non trattato in precedenza con la chemioterapia sistemica per la recidiva; inoltre, dovevano avere un performance status ECOG compreso tra 0 e 2 e una funzione d’organo e midollare normale. Nelle pazienti con malattia ricorrente era consentita una linea precedente di un regime sistemico a base di platino, purché con un intervallo libero da platino di almeno 6 mesi o più.
Complessivamente, 551 pazienti sono state assegnate secondo un rapporto 2:1 al trattamento con atezolizumab 1200 mg (360 pazienti) o un placebo (189 pazienti), in entrambi i bracci in combinazione con la chemioterapia con carboplatino ( AUC 5 o 6) e paclitaxel 175 mg/m2, seguiti da una terapia di mantenimento con atezolizumab 1200 mg (356 pazienti) o un placebo (185 pazienti) fino alla progressione della malattia.
Al momento della presentazione, ha riferito Colombo, 66 pazienti erano ancora in trattamento di mantenimento con atezolizumab e 27 con il placebo.
Gli endpoint sono stati testati in modo gerarchico: prima si valutava la sopravvivenza libera da progressione (PFS) nella popolazione con dMMR, se questo endpoint veniva centrato si valutava la PFS nell’intera popolazione dello studio (all comers) e, se anche questo risultato era positivo, si passava a valutare la sopravvivenza globale (OS) nelle pazienti all comers.
Le caratteristiche delle pazienti
Nella popolazione delle all comers al basale, il 22,5% delle pazienti nel braccio atezolizumab e il 23,3% nel braccio di controllo presentavano dMMR; rispettivamente il 67,5% e il 66,7% avevano una malattia ricorrente; il 70,3% e il 68,3% non avevano effettuato in precedenza la chemioterapia e il 74,4% e l’85,7% avevano una malattia misurabile.
L’età mediana delle partecipanti era rispettivamente di 67 anni (range: 30-89) e 65 anni (range: 30-89) e la mediana dell’indice di massa corporea era pari rispettivamente a 27,3 (range: 15,1-61,5) e 28,1 (range: 15,1-46,3).
Inoltre, la maggioranza delle pazienti era bianca (80,3% e 75,7%), era PD-L1 negativa (68,6% e 68,2%), aveva un’espressione di ARID1A intatta (68,9% e 69,3%), aveva un’istologia endometrioide (63,1% e 66,1%) e aveva una malattia di grado 3 (48,3% e 44,3%).
Beneficio di PFS con atezolizumab aggiunto alla chemio
Dopo un follow-up mediano di 26,2 mesi, nella popolazione con dMMR, la PFS mediana non era valutabile nel braccio atezolizumab (NE; IC al 95%, 12,3-NE), mentre è risultata di 6,9 mesi nel braccio di controllo (IC al 95%, 6,2 -9.0); inoltre, i tassi di PFS a 12 mesi sono risultati pari al 62,7% nel braccio atezolizumab e 23,3% nel braccio di controllo, mentre i tassi di PFS a 24 mesi sono risultati rispettivamente del 50,4% contro 16,0% (HR 0,36; IC al 95% 0,23-0,57; P = 0,0005).
La superiorità del trattamento combinato con atezolizumab è stata confermata nella popolazione delle all comers (follow-up mediano,: 28,3 mesi), con una PFS mediana rispettivamente di 10,1 mesi (IC al 95%, 9,4-12,3) contro 8,9 mesi (IC al 95%, 8,1-9,6); inoltre, i tassi di PFS a 12 mesi sono risultati rispettivamente del 44,9% contro 28,8%, mentre i tassi di PFS a 24 mesi rispettivamente del 28,1% contro 17,0%. In questo caso, la riduzione del rischio di progressione della malattia o morte nel braccio atezolizumab è risultata del 26% (HR 0,74; IC al 95%, 0,61-0,91; P = 0,0219).
«Il miglioramento della PFS osservato nelle pazienti all comers è dovuto principalmente al grande effetto osservato nel gruppo con dMMR in cui si è riscontrato anche un chiaro beneficio», ha affermato Colombo.
Inoltre, ha riferito l’autrice, nella popolazione con dMMR il beneficio di PFS osservato con atezolizumab in aggiunta alla chemio è risultato coerente nella maggior parte dei sottogruppi pre-specificati. Al di là della presenza del dMRR, si è osservato un beneficio maggiore nelle pazienti di razza caucasica e in quelle con tumori PD-L1 positivi.
Analisi ad interim dell’OS
Gli autori hanno, inoltre, condotto un’analisi ad interim dell’OS, con una maturità dei dati pari al 43% e 236 decessi registrati
Nella popolazione delle all-comers, l’OS mediana è risultata di 38,7 mesi (IC al 95% 30,6-NE) nel braccio atezolizumab, contro 30,2 mesi (IC al 95% 25,0-36,1) nel braccio di controllo e i tassi di OS a 12 mesi sono risultati rispettivamente dell’80,1% contro 74,9%, mentre i tassi di OS a 24 mesi rispettivamente del 62,2% contro 58,0%. Il trattamento combinato con atezolizumab ha ridotto il rischio di morte del 18% (HR 0,82; IC al 95%, 0,63-1,07; P = 0,0483).
In totale, in questa popolazione, le pazienti che hanno ricevuto come terapia successiva a quella in studio un’immunoterapia sono state il 9% nel braccio atezolizumab e il 24,3% nel braccio di controllo.
Nella popolazione con dMMR, l’OS mediana non è risultata valutabile (IC al 95%, NE-NE) nel braccio atezolizumab, mentre è risultata di 25,7 mesi (IC al 95%, 13,5-NE) nel braccio di controllo. I tassi di OS a 12 mesi sono risultati rispettivamente dell’86,8% contro 66,8%, mentre i tassi di OS a 24 mesi rispettivamente del 75,0% contro 54,2%. In questa popolazione il trattamento combinato con atezolizumab ha ridotto il rischio di morte del 59% rispetto alla sola chemioterapia (HR 0,41; IC al 95% 0,22-0,76).
In questo sottogruppo, le pazienti che hanno ricevuto come terapia successiva a quella in studio un’immunoterapia sono state il 6,2% nel braccio atezolizumab e il 40,9% nel braccio di controllo. «Lo studio proseguirà ora come previsto per valutare l’OS», ha detto l’autrice.
Assenza di beneficio nella popolazione con pMMR
Colombo e i colleghi hanno poi valutato gli outcome di sopravvivenza nelle pazienti con MMR proficient, cioè integro e funzionante (pMMR). In questa popolazione, ha rmarcato l’autrice, l’aggiunta dell’immunoterapia alla chemioterapia non ha apportato alcun beneficio.
Infatti, la PFS mediana è risultata di 9,5 mesi (IC al 95% 9,0-10,4) nel braccio atezolizumab e 9,2 mesi (IC al 95% 8,5-9,9) nel braccio di controllo, con tassi di PFS a 12 mesi rispettivamente del 39,5% contro 30,2% e tassi di PFS a 24 mesi rispettivamente del 21,3% contro 16,4% (HR 0,92; IC al 95% 0,73-1,16).
L’OS mediana è risultata rispettivamente di 31,5 mesi (IC al 95%, 25,0-38,9) contro 28,6 mesi (IC al 95%, 22,4-37,2), con tassi di OS a 12 mesi rispettivamente del 77,8% contro 77,3% e tassi di OS a 24 mesi rispettivamente del 57,4% contro 58,3% (HR 1,00; IC al 95% 0,74-1,35).
Tassi di risposta e durata della risposta migliori con atezolizumab in presenza di dMMR
Anche il tasso di risposta obiettiva (ORR) e la durata della risposta (DOR) sono risultati migliori con il trattamento combinato con atezolizumab rispetto alla sola chemioterapia nella popolazione con dMMR, mentre nella popolazione con pMMR non si è riscontrato alcun beneficio in questo senso, ha osservato Colombo.
Nella popolazione con dMMR, l’ORR è risultato dell’82,4% (IC al 95%, 71,0%-89,5%), con un 19,1% di risposte complete e un 63,2% di risposte parziali nel braccio atezolizumab, contro 75,7% (IC al 95% 56,3%-84,7%), con un 18,9% di risposte complete e un 56,8% di risposte parziali nel braccio di controllo (HR 0,27; IC al 95% 0,15-0,48). La mediana della DOR non è risultata stimabile (IC al 95% 15,0-NE) nel braccio atezolizumab, mentre è risultata di 4,9 mesi (IC al 95% 4,3-8,4) nel braccio di controllo.
Nella popolazione con pMMR, invece l’ORR è risultato rispettivamente del 75,0% (IC al 95% 65,5%-77,2%), con un 13,2% di risposte complete e un 61,8% di risposte parziali, contro 74,6% (IC al 95% 62,4%- 78,6%), con un 10,5% di risposte complete e un 64,0% di risposte parziali (HR 0,89; IC al 95% 0,66-1,19). La mediana della DOR è risultata rispettivamente di 7,8 mesi (IC al 95% 6,9-9,7) contro 7,0 mesi (IC al 95% 5,6-7,9).
Profilo di sicurezza gestibile
«Il profilo di sicurezza della combinazione atezolizumab più chemioterapia è risultato gestibile e in linea con quanto atteso», ha detto Colombo.
Complessivamente, l’incidenza degli eventi avversi correlati al trattamento di qualsiasi grado è risultata del 75,6% nel braccio atezolizumab e 63,8% nel braccio di controllo, mentre l’incidenza degli eventi avversi correlati al trattamento di grado ≥3 è risultata rispettivamente del 25,8% contro 14,1%. In ciascun braccio si è registrato un decesso a seguito del trattamento.
Nel braccio atezolizumab e in quello di controllo, rispettivamente 290 e 158 pazienti hanno interrotto il trattamento a causa della progressione della malattia (191 contro 131), di eventi avversi (65 contro 9), del deterioramento delle condizioni cliniche o per decisione del clinico (15 contro 7), del rifiuto del paziente (8 contro 3), ritiro del consenso (5 contro 4), morte (3 contro 2) o per un altro motivo (3 contro 2).
Bibliografia
N. Colombo, et al. Phase III double-blind randomized placebo controlled trial of atezolizumab in combination with carboplatin and paclitaxel in women with advanced/recurrent endometrial carcinoma. Ann Onc. 2023;34(S2): LBA40. doi:10.1016/j.annonc.2023.10.034. https://www.annalsofoncology.org/article/S0923-7534(23)04178-9/fulltext