Con semaglutide riduzione del 20% degli eventi cardiovascolari in pazienti obesi o in sovrappeso ma non diabetici secondo un nuovo studio
Nei pazienti con sovrappeso o obesità e malattie cardiovascolari preesistenti, ma non diabetici, il trattamento con semaglutide ha ridotto gli eventi cardiovascolari del 20%, secondo i risultati completi dello studio SELECT presentati al congresso 2023 dell’American Heart Association (AHA) e pubblicati simultaneamente sul New England Journal of Medicine.
SELECT è un ampio studio clinico internazionale, nel quale le persone affette da obesità o sovrappeso, ma non da diabete, che hanno assunto semaglutide per più di 3 anni hanno registrato un rischio inferiore del 20% di infarto, ictus o morte per malattie cardiovascolari e hanno perso in media il 9,4% del loro peso corporeo. La semaglutide è un farmaco GLP-1 prescritto principalmente alle persone con diabete di tipo 2. È anche approvato dalla Fda (non ancora in Europa) per la perdita di peso nelle persone affette da obesità.
La riduzione relativa del 20% del rischio di MACE con semaglutide rispetto al placebo in aggiunta alla terapia standard, derivano da una riduzione assoluta dell’1,5%, passando dall’8,0% nei pazienti trattati con placebo al 6,5% in quelli sottoposti al GLP-1 agonista, ha riportato il relatore Michael Lincoff della Cleveland Clinic, in Ohio. In termini di sicurezza non sono stati osservatici risultati inattesi, anche se i noti effetti collaterali gastrointestinali hanno portato a un tasso più elevato rispetto al placebo di interruzione permanente del trattamento nel braccio attivo (16,6% vs 8,2%, p<0,001).
«È stato dimostrato che gli agonisti dei recettori GLP-1 riducono il peso corporeo e diminuiscono il rischio cardiovascolare nei pazienti con diabete di tipo 2, ma fino a ora non era stato dimostrato che migliorassero gli esiti cardiovascolari nei pazienti con un indice di massa corporea elevato ma senza diabete» ha aggiunto il relatore. «Semaglutide è la prima terapia per il controllo del peso che ha dimostrato in un rigoroso studio randomizzato e controllato di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari, definendo il sovrappeso e l’obesità come fattori di rischio modificabili per le malattie cardiovascolari. Alla luce di questi risultati il trattamento potrebbe essere applicato in modo molto più ampio alla popolazione in espansione di pazienti con sovrappeso, obesità e malattie cardiovascolari”.
«Bisogna tuttavia considerare che gli eventi avversi di semaglutide, principalmente correlati al tratto gastrointestinale, potrebbero costituire un deterrente per alcuni pazienti o potrebbero influire sull’aderenza» ha commentato Cynthia Jackevicius della Western University of Health Sciences di Pomona, California. «Altre questioni da considerare sono i costi elevati della terapia e l’accessibilità, che potrebbero esacerbare le disparità sanitarie tra chi può o meno permettersi il farmaco. Tuttavia l’uso di semaglutide potrebbe aiutare ad affrontare le malattie cardiovascolari, che rimangono la principale causa di mortalità nel mondo, così come l’epidemia di obesità. Potrebbe avere un enorme impatto sulla popolazione in termini di riduzione della morbilità e della mortalità dovuta alle malattie cardiovascolari».
La World Obesity Federation prevede che entro il 2035 più della metà della popolazione mondiale sia in sovrappeso o obesa, e uno studio ha attribuito circa 4 milioni di decessi in tutto il mondo nel 2015 a un elevato indice di massa corporea (BMI). «Due terzi di questi decessi erano legati a malattie cardiovascolari, eppure nessuno stile di vita o strategia farmacologica di gestione del peso ha dimostrato di ridurre l’eccesso di rischio cardiovascolare associato al sovrappeso e all’obesità» ha sottolineato Lincoff.
Valutazione di semaglutide nel migliorare gli esiti cardiovascolari
Condotto in 804 centri di 41 Paesi, lo studio SELECT è stato progettato per valutare la capacità di semaglutide di migliorare gli esiti cardiovascolari nei pazienti con un indice di massa corporea elevato ma senza diabete. Ha incluso pazienti con più di a 45 anni che presentavano malattie cardiovascolari preesistenti, un BMI di almeno 27 kg/m2 e nessuna storia di diabete, randomizzati a ricevere semaglutide sottocutaneo una volta alla settimana titolato fino a una dose target di 2,4 mg oppure placebo, entrambi in aggiunta alla terapia standard per la malattia cardiovascolare.
In totale sono stati arruolati 17.604 partecipanti (età media 61,6 anni, 72,3% uomini) con un BMI medio di 33,3 kg/m2 (il 71,5% era obeso con un BMI di almeno 30,0).
Nessuno dei partecipanti aveva il diabete di tipo 1 o di tipo 2 quando è entrato nello studio, anche se circa due terzi dei partecipanti avevano un livello di A1C (la percentuale di emoglobina nei globuli rossi a cui è attaccato il glucosio o lo zucchero) compreso tra il 5,7% e il 6,4%, che soddisfa i criteri per una diagnosi di prediabete, che è il precursore del diabete di tipo 2.
I pazienti erano ben trattati per la loro malattia cardiovascolare sottostante, con il 90,1% che assumeva farmaci ipolipemizzanti, l’86,2% antipiastrinici, il 70,2% beta-bloccanti, il 45,0% ACE inibitori e il 29,5% bloccanti dei recettori dell’angiotensina II (ARB).
L’interruzione prematura permanente del farmaco in studio è stata osservata nel 26,7% dei pazienti trattati con semaglutide e nel 23,6% dei pazienti trattati con placebo. Dopo 2 anni, il 77% dei pazienti nel gruppo in trattamento attivo assumeva la dose target di 2,4 mg.
Riduzione del MACE significativa solo per infarto non fatale
Nel corso di un follow-up medio di 39,8 mesi l’endpoint cardiovascolare primario, un composito di morte per cause cardiovascolari, infarto miocardico non fatale o ictus non fatale (MACE) è stato ridotto significativamente con semaglutide, con un rapporto di rischio di 0,80 (p<0,001).
Ogni componente del dato composito è risultata numericamente a favore di semaglutide, ma ha raggiunto la significatività statistica solo la differenza nell’infarto non fatale:
• Decesso per cause cardiovascolari (2,5% vs 3,0%, HR 0,85)
• Infarto del miocardio non fatale (2,7% vs 3,7%, HR 0,72)
• Ictus non fatale (1,7% vs 1,9%, HR 0,93)
In altri endpoint secondari semaglutide è stato associato a tassi più bassi di eventi di insufficienza cardiaca (3,4% vs 4,1%, HR 0,82), decesso per tutte le cause (4,3% vs 5,2%, HR 0,81) e rivascolarizzazione coronarica (5,4% vs 6,9%, HR 0,77). Inoltre i pazienti trattati con semaglutide hanno mostrato una probabilità significativamente inferiore di progredire verso il diabete, definito come un livello di HbA1c di almeno il 6,5% (3,5% vs 12,0%, HR 0,27).
Questi risultati si sono verificati nel contesto di una perdita di peso significativamente superiore con semaglutide (9,4% vs 0,9%) e di maggiori miglioramenti in una varietà di altri fattori di rischio cardiometabolico, tra cui circonferenza della vita, livello di HbA1c, pressione sistolica e diastolica, proteina C-reattiva ad alta sensibilità e lipidi.
In termini di sicurezza, gli eventi avversi gravi complessivi sono stati meno frequenti nel gruppo semaglutide (33,4% vs 36,4%, P<0,001), tuttavia i pazienti in trattamento attivo avevano maggiori probabilità di interrompere la terapia a causa di eventi avversi, per lo più legati a un tasso più elevato di disturbi gastrointestinali (10,0% vs 2,0%, P<0,001). Anche i disturbi correlati alla colecisti erano di poco più frequenti con semaglutide (2,8% vs 2,3%, P=0,04), ma altri eventi avversi di particolare interesse, tra cui cancro, insufficienza renale acuta e pancreatite acuta, si sono verificati con tassi simili nei due gruppi.
Da notare che, tra le segnalazioni di ideazione suicidaria collegata agli agonisti del recettore del GLP-1 monitorati dagli enti regolatori, i disturbi psichiatrici non erano più elevati nel gruppo semaglutide (0,7% vs 0,6%), anche se in questa categoria non vi è stata un’ulteriore suddivisione degli eventi.
Quale meccanismo per spiegare questi effetti?
Curiosamente, la riduzione del MACE con semaglutide si è verificata precocemente, prima che si potesse ottenere una sostanziale perdita di peso, il che ha sollevato qualche domanda sul meccanismo del beneficio cardiovascolare. Secondo Ania Jastreboff della Yale School of Medicine di New Haven, Connecticut, sarà importante studiare la fisiologia per comprendere al meglio questi risultati, che potrebbero essere correlati agli effetti sull’infiammazione, sulla funzione endoteliale o altri fattori. «Ma è probabile che siano dovuti a una combinazione degli effetti indiretti della perdita di peso, come miglioramenti nell’ipertensione, nell’iperlipidemia e nel controllo glicemico, e degli effetti diretti del farmaco» ha commentato.
Lincoff ha concordato sul fatto che probabilmente non sono semplicemente legati alla perdita di peso. «Penso che attribuire parte dell’effetto al calo ponderale semplifichi eccessivamente una molecola molto complessa e un recettore complesso presente in più tessuti» ha affermato.
Un’altra variabile che potrebbe entrare in gioco, se si considera l’impatto iniziale, sono i cambiamenti nel comportamento del paziente, ha proposto Jackevicius. Anche se i pazienti erano all’oscuro del trattamento, gli eventi avversi gastrointestinali associati a semaglutide avrebbero potuto suggerire loro di essere nel gruppo in trattamento attivo, dato che gli effetti collaterali del farmaco sono piuttosto evidenti, e questo potrebbe averli indotti a modificare ancora di più il loro stile di vita.