Sclerosi multipla: nuovi dati su ocrelizumab e livelli di deplezione delle cellule B


Sclerosi multipla recidivante: nuovo studio analizza la risposta terapeutica con ocrelizumab e gli effetti sui livelli di deplezione delle cellule B

I pazienti con sclerosi multipla trattati con ofatumumab non mostrano forme severe di Covid-19 secondo i risultati di un nuovo studio

I risultati di uno studio monocentrico condotto su persone con sclerosi multipla recidivante-remittente (RRMS) hanno indicato che la risposta terapeutica con ocrelizumab non è apparsa correlata con i livelli di deplezione delle cellule B. Nonostante ciò, i pazienti con una deplezione delle cellule B più efficace avevano percentuali maggiori di progressione alla Expanded Disability Status Scale (EDSS) e nella progressione indipendente dall’attività di recidiva (PIRA). In particolare, nonostante non mostrassero associazioni significative, i soggetti con soppressione delle cellule B avevano più tempo alla recidiva o a nuova attività di risonanza magnetica (MRI) e una progressione indipendente dall’attività di recidiva rispetto a quelli senza tale soppressione. I dati sono stati presentati a Milano, all’incontro congiunto ECTRIMS-ACTRIMS 2023.

Ocrelizumab, anticorpo monoclonale umanizzato anti-CD20, è stato approvato dalla FDA nel marzo 2017 dopo che studi registrativi avevano mostrato una drastica riduzione dell’attività della malattia infiammatoria nella SM recidivante e una diminuzione della progressione della disabilità nella SM primaria progressiva. Il farmaco è poi stato approvato nello stesso anno da EMA e nel 2018 da AIFA.

Durata della malattia più breve con soppressione di linfociti B
Rispetto ai pazienti con cellule B che non sono state soppresse (BN, n = 48), quelli con soppressione delle cellule B (BS, n = 379) ha avuto una percentuale inferiore di recidive (14,8% vs 20,8%; P = 0,4) e nuova attività di MRI (4% vs 3,01%; P = 0,01). Tuttavia, queste differenze non erano significative.

Il ricercatore senior Antonio Scalfari, neurologo presso il Charing Cross Hospital dell’Imperial College Healthcare NHS Trust di Londra (UK), e colleghi hanno analizzato retrospettivamente 427 pazienti con RRMS, per lo più donne (62,6%), per un periodo di 30 mesi.

I pazienti hanno ricevuto una media di 5,1 infusioni di ocrelizumab, con soppressione delle cellule B definita come conteggio assoluto inferiore a 50 cellule B all’ultima valutazione. All’ultima infusione, la conta media dei linfociti B è cambiata da 271,8 al basale a 16, mentre il punteggio medio EDSS è cambiato leggermente da 3,9 a 4. Utilizzando l’analisi di Kaplan-Meier, i pazienti con BS hanno impiegato più tempo per avere una recidiva (61,2 vs 45,7 mesi; P = 0,4), nuova attività MRI (68,5 vs 44,9 mesi; P = 0,1), miglioramento dell’EDSS (61,2 vs 45,7 mesi; P = 0,4), progressione EDSS (61,2 vs 45,7 mesi; P = 0,4) e PIRA (61,2 vs 45,6 mesi; P = 0,1).

Sebbene i 2 gruppi avessero un’età di insorgenza simile (33 vs 33; P = 0,8), quelli con BS hanno avuto una durata della malattia più breve (10,8 vs 11,9 anni; P = 0,03) e EDSS inferiore al basale (3,8 vs 4,7; P = 0,1) e all’ultima valutazione (3,9 vs 4,7; P = 0,4). Inoltre, questo gruppo ha ricevuto più infusioni di ocrelizumab (5,2 vs 4,5; P <0,001) nel periodo di 30 settimane.

La riduzione dell’attività antinfiammatoria dovuta a terapia anti-CD20 ma anche CD-19
Per quanto riguarda le ragioni per cui la soppressione delle cellule B può aver portato a percentuali maggiori di EDSS e PIRA, i ricercatori hanno concluso che «le misure sistemiche delle cellule B hanno un ruolo nell’attività infiammatoria, ma potrebbero non essere coinvolte nella patogenesi della progressione clinica».

Nel 2020 era stata pubblicata su “Annals of Neurology” da Giancarlo Comi – dell’Istituto di Neurologia Sperimentale dell’Ospedale San Raffaele IRCCS di Milano – e colleghi una ricerca sul ruolo delle cellule B nella SM e nei disturbi correlati.

Le cellule B periferiche di questi pazienti, si leggeva, «mostrano risposte aberranti di citochine proinfiammatorie», includenti un eccesso di linfotossina-a, fattore di necrosi tumorale-alfa, interleuchina-6 e secrezione di fattore stimolante le colonie di macrofagi-granulociti (GM-CSF).

«La deplezione delle cellule B provoca una significativa diminuzione delle risposte pro-infiammatorie delle cellule T CD4+ e CD8+ e delle cellule mieloidi» specificavano i ricercatori dello studio, di cui l’autore senior era Stephen L. Hauser, Department of Neurology, UCSF Weill Institute for Neurosciences, University of California, San Francisco.

«È interessante notare che una piccola percentuale di cellule T circolanti esprime CD20 e queste sono anche esaurite con la terapia anti-CD20; tuttavia, poiché la terapia anti-CD19 sembrava efficace anche nella SM, è improbabile che i robusti effetti degli anti-CD20 nella SM siano mediati esclusivamente dalla rimozione delle cellule T che esprimono CD20» osservavano.

Fonte:
Polidoro F, Zito A, Singh-Curry V, et al. The correlation between B cells depletion and the therapeutic response, among MS patients treated with ocrelizumab. ECTRIMS-ACTRIMS 2023, Milano. Abstract n. 1759/P329. leggi