Uranio impoverito, la storia del sottufficiale Gianluca, ammalatosi di tumore raro dopo la missione in Kosovo: “Muro di gomma, umiliato dai vertici”
“L’uranio impoverito è uno scarto del procedimento nucleare. Ha un peso specifico tre volte superiore all’acciaio, ha un potere cinetico importante, buca corazze di veicoli blindati e strutture di cemento armato. È filiforme, prende fuoco e sviluppa temperature dai 3 ai 6mila gradi nel corpo. Dopo aver perforato quello che trova, crea un aerosol di micron che si disperdono nell’aria, nel sottosuolo, nelle falde acquifere ed entra nel derma. Va in circolo nel sangue e quelle microparticelle si raggruppano e creano un’infiammazione che non può essere risolta dal nostro corpo naturalmente: parte l’inversione cellulare e nasce così la neoplasia”. Gianluca (nome di fantasia) sottufficiale dell’Esercito, ha 40 anni quando a settembre del 2017 riceve quella diagnosi che gli arriva addosso proprio come quel proiettile che buca e fonde quello che trova, senza fermarsi di fronte ad alcuna barriera: “Hai un liposarcoma mixoide di II grado” gli viene detto, e cambia tutto. Un tumore molto raro che nasce e cresce nel corpo di Gianluca che insieme a tanti altri militari come lui è andato in Kosovo in missione, in quelle terre e aree che al tempo, tra il 1997 e il 1998, sono state appena lasciate dagli americani e dai loro armamenti. Oggi è stato finalmente riconosciuto vittima del dovere, ma la storia è tutt’altro che conclusa: la commissione medica gli ha riconosciuto una percentuale bassissima del danno avuto dalla malattia.
IL KOSOVO LASCIATO DAGLI AMERICANI ALLE NOSTRE TRUPPE
Alla Dire ha raccontato la sua vicenda che intanto al Tar del Friuli Venezia Giulia, dopo anni di ostracismo e negazione dai vertici di Forza Armata, come ha denunciato nel suo racconto, ha visto finalmente riconosciuto il nesso di causalità tra la patologia e l’esposizione all’uranio impoverito. Gianluca ha chiesto di essere riconosciuto come “vittima del dovere” anche a nome di tutti i suoi compagni in uniforme che si sono ammalati e che nel frattempo sono morti. Un tema che ha visto nascere commissioni d’inchiesta poi naufragate, ora una nuova voluta dal ministro della Difesa Guido Crosetto, e che vide impegnata l’ex ministra Elisabetta Trenta e che secondo alcuni le costò il dicastero. I sindacati militari, il Sum in particolare sul caso di Gianluca, si sono esposti e chiedono verità contro quello che per questi militari che si sono ammalati è “il muro di gomma dei vertici militari e politici”.
La vita del maresciallo è stata sin da subito tutta operativa e in Kosovo, oggi che la malattia è alle spalle, ha scelto di tornare ancora, e da luglio 2023 opera nella municipalità di Pristina, una zona non contaminata da uranio. Tra qualche giorno sarà proprio il sindaco di Pristina, in una cerimonia, a consegnargli le simboliche ‘chiavi della città’ come peacekeeper tornato nella terra che gli è costata quasi la vita.
Gianluca si arruola nel 1997 e sono tantissime le missioni che lo vedono impegnato in teatro operativo: nel 1998 in Bosnia Erzegovina, nel 1999 e 2000 in Kosovo, nel 2001 sempre in Kosovo nella zona di Decani. Poi nel 2004 in Iraq con Antica Babilonia dove tornerà in altre successive missioni e nel 2007 in Libano, dove anche qui sarà impegnato in altre tre spedizioni.
“Ad agosto 2017 di ritorno da un campo di esercitazione- ha iniziato il suo racconto- noto una tumefazione al polpaccio, sotto pelle e dura, grande come una noce. Non avevo alcun sintomo, né dolore. La biopsia che viene fatta ad Aviano conferma la presenza di cellule tumorali. La chirurgia mi ha tolto 330 grammi di tessuto muscolare, con 72 punti di sutura. Il tumore di 3,4 cm era inglobato nel muscolo e iniziava ad essere preoccupante. Un tumore raro che – come riportato dal centro di ricerca nazionale Airc – colpisce 1 individuo su 800mila, l’1% dei tumori rari”.
“Ho fatto un ciclo di 35 sedute di radioterapia molto forte- ha ricordato ancora- e ho seguito un follow up ogni 3 mesi nei primi 2 anni e poi ogni 6 mesi. Sono passati 6 anni e grazie alla scienza e alla fortuna sono qui e continuo ad essere vivo dopo aver passato il periodo più difficile della mia vita”. Gianluca quando riceve la diagnosi ha tre figli piccoli, una moglie e una carriera che fino ad allora ha riempito di orgoglio ed entusiasmo la sua vita. Vuole capire perché gli sia accaduto, perché questo tumore sembra colpire di più i reduci delle Forze Armate e inizia a documentarsi, a leggere moltissimo, “fino a fare un corso come istruttore sulla materia Cbrn per andare più a fondo e capire meglio”.
“Nella compagnia di cui facevo parte nel 1999, nel Reggimento Ariete, circa 8 colleghi sono deceduti per svariate forme tumorali, da sangue a solidi. Altri si sono ammalati. All’inizio pensavo alle cure, a restare vivo. Poi ho fatto ricerche fino a quando- ha raccontato- mia cugina oncologa mi ha aperto gli occhi e mi ha detto che il mio tumore o era stato radioindotto o veniva da agenti patogeni esterni. Mi indirizzarono ad eseguire indagini presso la cattedra di mineralogia del Professore Pasquale Acquafredda dell’università di Bari. Ad Aviano erano stati stoccati 8 frammenti del mio tumore”. Gianluca vuole sapere tutta la verità: “Ho fatto prelevare 3 campioni istologici del tumore stoccati a meno 80 gradi e con un trasporto speciale li ho fatti avere al professore per un’indagine microscopica d’avanguardia”. Arriva così il tassello mancante: “Vengono rilevate tracce micro e nanometriche nei tessuti di concentrazioni altissime di cromo esavalente, tungsteno, rame, zinco, vari calciti e dolomiti. Questi metalli pesanti si sono legati tra loro e infatti il referto parlava di alta concentrazione di leghe metalliche”.
IL MURO DI GOMMA
Ma quella verità svelata dal microscopio di cui il maresciallo si sente finalmente forte e meno disorientato sembra diventare invisibile negli uffici della sanità militare. Il sottufficiale inizia a sentire ostracismo, silenzio, si accorge di essere ignorato o peggio ancora dimenticato. “La prima visita medico legale all’ospedale militare di Padova è scandalosa”, ha denunciato. “Mi hanno assegnato l’11% di invalidità permanente, seguendo una tabella scaduta nel 2006 per le vittime del dovere e le vittime uranio connesse. Il mio medico legale aveva chiesto il 46%, un iter ora rivalutato dopo il Tar”. Inizia così per lui e per altri come lui il peggior momento di solitudine. “Quello che ci viene insegnato in Esercito e in cui crediamo fortemente è la fratellanza. Il motto è non abbandonare nessuno e nessuno resti indietro. Siamo uno dei migliori Eserciti al mondo per questo, tra i più apprezzati in ambito internazionale. Non posso credere che mamma Esercito rinneghi chi si sacrifica per la bandiera- ha detto- lasciandoci nel totale mutismo, solitudine, abbandono. E’ stato brutto e mi ha fatto riflettere tantissimo”.
“Quando il distretto di medicina militare di Padova, dopo che avevo presentato richiesta per il riconoscimento della causa di servizio, mi rispose che il nesso di causalità con l’uranio impoverito non era confermato mi sono sentito umiliato come malato e come figlio della bandiera. Abbiamo fatto notare al presidente del Tar le ragioni insensate del diniego. Su una relazione c’era un copia incolla sul liposarcoma mixoide dal sito dell’Airc e nessuna menzione ai teatri”, ha sottolineato.
L’AVVOCATO E LA SENTENZA ‘SCUOLA’ DELLA CASSAZIONE
L’avvocato Andrea Bava che ha seguito la battaglia giudiziaria di Gianluca fino ad arrivare a questa vittoria decisiva del Tar, e che segue migliaia di militari che si sono ammalati, con una sentenza di Cassazione che fa ormai giurisprudenza ha ribaltato i termini della questione tracciando una strada nuova e una speranza per questi militari. “Prima- ha spiegato raggiunto dalla Dire- per essere riconosciuti vittima del dovere e avere una causa di servizio anche con relativo miglioramento pensionistico (con un indennizzo economico ben diverso dal risarcimento ed equiparabile alle vittime di terrorismo) si doveva dimostrare il nesso tra la patologia e il rischio di servizio, ormai si è ribaltato l’onore della prova. L’amministrazione si schermava con il Comitato di Verifica che annullava tutto per carenza di documentazione. Nel tempo con le missioni in teatro, i poligoni, lo stoccaggio nei teatri contaminati, i tanti ammalati, l’orientamento è cambiato: se non si trova una causa alternativa alla malattia allora spetta la causa di servizio e questo ha cambiato le regole del gioco”. L’ordinanza di Cassazione di cui parla il legale e che fa giurisprudenza è la 7409 del 2023, sul caso del Maggiore dell’Esercito “che aveva personalmente curato lo smantellamento di 498 mezzi corazzati giunti contaminati dal teatro operativo bellico della ex Jugoslavia- come si legge nel testo- dovendo ritenersi provato il contatto prolungato con blindati muniti di apparecchiature comportanti emissioni radioattive ed usati in contesti operativi ove era avvenuto l’uso massiccio di munizioni ad uranio impoverito”.
“Soprattutto nelle prime missioni nel nord del Kosovo tra il 1997 e il 1998- ha raccontato Gianluca rifacendosi a fonti aperte- siamo stati esposti ad agenti nocivi e senza protezioni. In quella zona sono stati sparati ordigni per 28mila tonnellate e missili da crociera. La coalizione che aveva impiegato uranio (inglesi e americani) avevano fornito mappe con documenti ufficiali agli alleati sulle zone bombardate con uranio impoverito e intimato la massima cautela di non dispiegarsi in quelle zone né sostare”, ed è questa la colpa che non può dimenticare. “Il paradosso è che i vertici politici e militari hanno fatto il contrario: l’Esercito italiano a rotazione per almeno 7/8 anni ha occupato quelle aree: Pec, colpita da missile Tomahawk armato con un penetratore a uranio; e ancora la zona di Banja alla periferia est di Pec, in una struttura dove si erano accampate le Tigri di Arkan dell’esercito paralimitare serbo colpito massivamente da vettori americani con cannoni da 30 mm, i primi disseminatori di uranio. Noi prendevamo quelle aree: 8mila miliari si sono ammalati e 400 sono morti, la maggior parte in quei primi contingenti. E’ una strage silenziosa- e quando lo dice Gianluca ha un nodo nella voce- a me la patologia si è sviluppata dopo tanti anni, non sapremo quando scenderà questo picco”.
Dopo il Tar “come vittima del dovere dovrei avere un indennizzo mensile più alcune agevolazioni come esenzione di tasse, tutele per i figli, medicine gratuite, ma in Italia abbiamo vittime di serie a e di serie B: chiediamo che le vittime del dovere siano equiparate a quelle del terrorismo. Oggi c’è una grandissima disparità, oltre ad avere indennizzi più alti hanno contributi figurativi per andare in pensione prima”.
La battaglia giudiziaria è stata fatta di continue prove, strettoie, dinieghi. “Dopo la sentenza del primo ricorso al Tar e dopo 6 mesi il presidente accettava l’impugnazione e rimetteva il giudizio al Comitato di verifica e vigilanza chiedendo motivazioni più circostanziate. Venivo quindi rimbalzato al Comitato per la seconda volta- ha ricordato Gianluca- e veniva dato un nuovo parere negativo. Dicevano che non mi ero ammalato in operazioni perché svolgevo un ordinario servizio, cercavano di screditare la mia specificità operativa, ricordavano che ero stato in territorio libanese dove notoriamente non è usato munizionamento a uranio, e oltre a non esser vero, prima dove ero stato? Il Comitato di verifica è composto da esperti, ufficiali superiori, medici: menti che producono carta straccia”.
“Un malato oncologico attraversa il periodo peggiore della sua vita e nel più grande momento di bisogno di tuo figlio che ha combattuto per te cosa fai? Lo rinneghi. Io sono stato miracolato perché il mio tumore era in una zona periferica e si era incapsulato nel fascio muscolare. Ma quando parlo con altri ragazzi che si sono ammalati, messi in congedo, buttati su un letto con una pensione da 700 euro a sostenere cure importanti e alcuni all’estero per tentarle tutte, questo ostruzionismo fa ancora più male. Fino a un decennio fa si cercava di silenziare il militare malato a non denunciare- ha ribadito Gianluca- poi grazie alla stampa e ad alcune condanne le cose sono cambiate. Nessun organo militare mi ha detto di ‘non denunciare’, anzi i miei comandanti mi hanno detto vai avanti perchè anche loro avevano fatto teatri come me e avevano visto le patologie oncologiche si stavano diffondendo. Ho avuto appoggio dai comandanti di reparto e nelle mie relazioni di servizio non hanno omesso nulla. L’ostruzionismo è venuto da organi superiori”.
Il solco giuridico, come ha sottolineato l’avvocato Bava, è ormai tracciato anche se la strada della verità secondo Gianluca non sarà mai accessibile del tutto. “Nessuno potrà ammettere un’omissione o leggerezza, nessun vertice politico… guardate cosa è avvenuto alla ministra Trenta”, da qui purtroppo la sua poca fiducia, dopo le 4 commissioni straordinarie, per quella ministeriale con membri esterni voluta da Crosetto.
IN MEMORIA DI CHI NON CE L’HA FATTA
Gianluca ha in mente i volti dei suoi compagni che non ci sono più, li chiama “reduci, figli di mamma Italia, morti in un letto rinnegati da un vergognoso muro di gomma di vertici politici e militari che non hanno saputo gestire una situazione cosi delicata. Amo la mia uniforme e non ne riuscirei fare a meno. Una settimana dopo la radio sono entrato in servizio di nuovo e ho quasi fatto a botte con l’ ufficiale medico perché a casa non volevo stare. Il mio primo sentimento era di paura, ma non avevo paura di morire, avevo paura di lasciare la mia famiglia. Io volevo solo indossare i miei anfibi, le patch e andare a lavoro con miei ragazzi. Si parlava di me come resistente, ma come si fa ad essere resistente a tua madre? Io so che sarò fedele alla bandiera fino all’ultimo mio respiro”, è questa la promessa di Gianluca per tutti coloro che non sono sopravvissuti, per i tanti che per paura di perdere il lavoro hanno tenuto il segreto mentre un tumore gli portava via il corpo e la gioventù.
FONTE: AGENZIA DI STAMPA DIRE (WWW.DIRE.IT)