La storica Tipografia Bardi in crisi: lavoratori a casa


La Tipografia Bardi dal 1876 ha stampato gli atti di Palazzo Madama e carte intestate dei senatori del Regno d’Italia prima e della Repubblica italiana poi: ora la crisi

tipografia bardi

Hanno stampato gli atti parlamentari di Palazzo Madama per quasi un secolo e mezzo. Bollettini, resoconti d’aula, disegni di legge. Biglietti da visita e carte intestate dei senatori del Regno d’Italia prima e della Repubblica italiana poi. Talvolta hanno passato la vigilia di Natale impaginando la finanziaria o stampando migliaia di emendamenti, come prevede la legge. Furono dispensati con norma apposita solo una volta: quando Calderoli nel 2015 annunciò milioni di modifiche al ddl Boschi: con tutta quella carta ci avrebbero ricoperto piazza Navona, meglio evitare. Ora gli attuali lavoratori dell’Antica Tipografia dal 1876, conosciuta ai più come Tipografia Bardi, sono senza lavoro. Non per colpa loro. E nemmeno perché sforbiciati dai tagli al palazzo e ai costi della politica.

Di carta si cerca di stamparne sempre meno, è vero, ma impaginare gli atti del Senato online è un lavoro qualificato, che in pochi sanno fare. Nemmeno trenta persone. Fino a qualche mese fa i dipendenti della tipografia erano ventinove. Tra prepensionamenti e dimissioni per giusta causa ne sono rimasti 18. Sono in cassa integrazione dal giugno del 2023, ma da novembre una mail dell’azienda gli ha comunicato di restare a casa a zero ore, il lavoro non c’è più. La sede di corso Rinascimento 24 è chiusa da metà novembre. È l’ultima sede, occupata dal 2018, dopo quelle storiche di piazza della Cinque Lune e Salita de’ Crescenzi. Tutte a due passi dal Senato, il maggior committente. La Forzani e C. Tipografia del Senato nasce nel 1876 e inizia a stampare per la politica, per palazzo Madama, dal 1877, contratto firmato dal presidente Guido Pasolini dall’Onda. Nelle stanze e in mezzo alle macchine si vedranno negli anni tanti protagonisti della storia italiana. Le foto alle pareti raccontano del re Vittorio Emanuele III, dei presidenti Spadolini, Scognamiglio, Pera. Nei locali non era raro che sotto Natale si brindasse con senatori e maestranze dopo le lunghe fatiche delle finanziarie.

All’inizio del Novecento subentra il fiorentino Giovanni Bardi. Un intellettuale che ama la cultura e la politica. Dà il suo nome alla tipografia, fonda una libreria in piazza Madama, dove per anni s’incontreranno gli antifascisti romani. Acquista la tipografia dei Lincei, a palazzo Corsini, nel 1924 dove stampa con rarissimi caratteri per la composizione di testi multilingue: cirillico, etiopico, ebraico, geroglifico, giapponese, persiano. Pubblica volumi di chimica e matematica. Tutto a mano, con le macchine linotype e monotype, fino al 1980 quando la tecnologia impone una modernizzazione. Che i lavoratori applicano anche ai documenti che stampano quotidianamente per il Senato. La carta diminuisce, ma gli addetti alla fotocomposizione e alla prestampa si specializzano sempre più negli atti parlamentari, adeguando formazione, macchinari, software. Bardi muore nel 1975. Per altri trent’anni la tipografia viene gestita dagli eredi, fino al 2008. Qui cambia di proprietà un paio di volte, fino all’attuale amministratore delegato Guglielmo Nardulli. Il lavoro e i contratti col Senato non mancano. La Bardi fa un’associazione d’impresa con la tipografia Colombo, storicamente legata alla Camera: negli ultimi cinque anni lavorano così.

Al momento del nuovo bando per gli affidamenti di palazzo Madama, a metà nel 2022, la Bardi però non c’è. I 29 lavoratori sono tenuti all’oscuro, nessuno dice loro che stanno per perdere la fondamentale commessa del Senato, che costituisce il 95% del fatturato. Non solo. Parallelamente la proprietà chiede al tribunale di Roma il concordato preventivo, tuttora aperto, senza informare i dipendenti. Passa un anno. La tipografia Colombo, intanto, oltre a quello della Camera vince anche il bando per gli atti del Senato, a partire da maggio 2023. Per i lavoratori della Bardi è una mazzata. Stampano gli ultimi resoconti di palazzo Madama il 30 aprile, poi inizia la cassa integrazione.
Qualcuno riesce ad accedere ai prepensionamenti, altri si dimettono per giusta causa dopo che gli stipendi iniziano ad arrivare a lunghi singhiozzi. Lavorano fino a ottobre, ma senza il Senato c’è poco da stampare. Gli ultimi mesi del 2023, feste comprese, le passano in cig a zero ore, senza stipendi. Per loro non c’è nemmeno una clausola di salvaguardia, come previsto dal codice europeo degli appalti: non è previsto che vengano ricollocati nel nuovo soggetto affidatario, nonostante la professionalità specifica accumulata in anni di lavori parlamentari.

FONTE: AGENZIA DI STAMPA DIRE (WWW.DIRE.IT)