Scompenso cardiaco, in Italia colpite oltre 1 milione di persone: il punto dell’associazione ANMCO su prevenzione e nuove terapie
Lo scompenso cardiaco è una patologia cronica in forte aumento che colpisce 15 milioni di persone in Europa e oltre 1 milione nel nostro Paese. In Italia lo scompenso cardiaco è la causa principale di ospedalizzazione nelle persone di età superiore ai 65 anni, con un rilevante impatto non solo clinico, ma anche sociale ed economico. La prevalenza di questa patologia cresce in maniera esponenziale con l’età, colpendo oltre il 20% dei cittadini con più di 80 anni. Se non adeguatamente trattato peggiora nel tempo, con esito fatale nel 50% dei pazienti, entro cinque anni dalla diagnosi. Vi è inoltre uno stretto legame con chi soffre di diabete: 4 persone colpite da scompenso hanno anche questa patologia.
Lo scompenso cardiaco è causato dall’incapacità del cuore di assolvere alla normale funzione contrattile di pompa e di garantire il corretto apporto di sangue a tutti gli organi, che ricevono pertanto quantità insufficienti di ossigeno per le loro esigenze metaboliche portando ad un accumulo di liquidi nei polmoni e nei tessuti. Nello stadio precoce la malattia può essere asintomatica e non sempre facilmente diagnosticabile ma con il passare del tempo i sintomi tendono ad aggravarsi. E’ una sindrome clinica particolarmente complessa che può esporre ad un aumentato rischio di aritmie minacciose per la vita e morte improvvisa.
Il dott. Fabrizio Oliva – Presidente ANMCO e Direttore Cardiologia 1 dell’Ospedale Niguarda di Milano – dichiara: “Fortunatamente l’innovazione in campo medico sta cambiando lo scenario, a beneficio delle persone colpite da questa patologia cronica. Negli ultimi anni sono state implementate le terapie farmacologiche e le possibilità di intervento non farmacologico in questi pazienti con miglioramento della loro prognosi. Se si inizia uno schema terapeutico che comprende i nuovi farmaci dopo i 55 anni si potrebbe garantire al paziente, rispetto alla terapia precedente, 8 anni di vita in più. Dopo i 65 anni, si potrebbe garantire una differenza di 6 anni di vita in più. Nello scompenso cardiaco il concetto di “stabilità”, è diverso da quello della “gravità”. Il paziente può essere stabile clinicamente ma presentare contemporaneamente un elevato grado di rischio sia di morte che di ospedalizzazione. In pratica non esiste il paziente a basso rischio: potremmo dire che lo scompenso cardiaco è una patologia cronicamente acuta. Occorre quindi mettere in atto modelli assistenziali innovativi che mettano in contatto più stretto il territorio con l’ospedale perché anche se il paziente necessita di più ricoveri nel corso dell’anno sarà sempre maggiore il tempo che passerà a domicilio o comunque in un setting assistenziale territoriale. E’ per questo che oltre all’ottimizzazione della terapia, dobbiamo pensare all’ottimizzazione organizzativa per l’inserimento dei pazienti in percorsi assistenziali finalizzato al miglioramento della gestione e della prognosi di questi pazienti sia in termini di ricoveri ospedalieri che di sopravvivenza.”
“Un altro aspetto rilevante – continua il dott. Oliva è la definizione del rischio di morte cardiaca improvvisa nel contesto dello scompenso cardiaco, in questo possono essere d’aiuto le tecniche di imaging avanzato, innanzitutto nell’ambito dell’ecocardiografia. Si tratta di un’indagine tradizionalmente impiegata per valutare la funzione del muscolo cardiaco (frazione di eiezione) che quando ridotta al di sotto di un certo livello (<35%) è associata ad un significativo aumento del rischio di aritmie minacciose per la vita. Le applicazioni più innovative dell’ecocardiografia consentono una più raffinata e precisa valutazione della meccanica e struttura cardiaca fornendo dunque parametri che possono aiutare a individuare i pazienti con scompenso e a più alto rischio di morte improvvisa. Inoltre, negli ultimi anni si sono affiancate all’ecocardiografia altre metodiche che vengono usate sempre più frequentemente in cardiologia come ad esempio la risonanza magnetica. Nel corso degli ultimi anni nell’ambito della terapia per l’insufficienza cardiaca si sono resi disponibili una serie di nuovi trattamenti farmacologici e non. Nel contesto dei trial alcune di queste terapie hanno dimostrato di essere in grado di migliorare significativamente la prognosi dei pazienti ma nel mondo reale permangono difficoltà nella loro implementazione.”
Il dott. Alessandro Navazio – Vice Presidente ANMCO e Direttore Cardiologia Complessa dell’Ospedale Santa Maria Nuova – IRCCS di Reggio Emilia – sottolinea: “Uno degli aspetti che sarà da implementare nel prossimo futuro che permetterà di avvicinare ospedale e territorio ed i vari attori che potranno garantire un’assistenza multidisciplinare, è la telemedicina: la tecnologia ci offre tante possibilità di cura e di assistenza a domicilio del paziente, ma dobbiamo costruire dei modelli organizzativi, affinché le informazioni raccolte vengano gestite al meglio. Altro aspetto quello della prossimità delle cure: sempre di più con la nascita delle case di comunità sul territorio si giocherà la partita di questi pazienti cronici e quindi occorre mettere in atto dei modelli assistenziali innovativi che mettano il medico di famiglia, il cardiologo e tutte le altre figure professionali in contatto più stretto sul territorio per creare un link e una risposta efficace e immediata per il paziente che si rivolge al Servizio sanitario nazionale. Questo in collaborazione con l’infermiere, altra figura professionale fondamentale. Grazie alla Missione 6 del PNRR ci sarà una riprogrammazione della medicina territoriale che, con l’aiuto delle reti di prossimità, delle strutture intermedie e della telemedicina, permetterà una migliore assistenza. In sanità ormai, dobbiamo pensare a modelli di cure tali da offrire ai malati un supporto personalizzato anche a livello domiciliare”.
“Siamo quindi – conclude il dott. Navazio – in una condizione in cui possiamo garantire ai pazienti affetti da scompenso cardiaco ed in genere da patologie croniche che spesso sono presenti nello stesso paziente, un’assistenza in termini di terapia farmacologica e non farmacologica che può cambiare la traiettoria di malattia, garantendo migliore sopravvivenza, riduzione delle ospedalizzazioni e migliore qualità di vita. Tutto questo deve essere supportato da modelli di cura innovativi in cui il paziente possa essere preso incarico in modo multisciplinare e personalizzato. La missione 6 del PNRR ci offre questa opportunità e quindi sorge spontanea un’affermazione ed una domanda. L’affermazione: l’organizzazione è già una buona terapia; la domanda: se non adesso, quando?”