Uno studio coordinato dal Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University ha scoperto che l’anidride carbonica in atmosfera è ai livelli più alti da 14 milioni di anni
Già nel 1896 lo scienziato svedese Svante Arrhenius aveva intuito che un incremento dei livelli di anidride carbonica (CO2) in atmosfera avrebbe provocato un innalzamento della temperatura media superficiale del nostro pianeta. Arrhenius fu un pioniere nel calcolare che un raddoppio della concentrazione di CO2 potrebbe comportare un aumento della temperatura terrestre di circa 3°C.
Le stime correnti indicano che, su periodi di tempo che vanno da decenni a secoli, ogni raddoppio dell’anidride carbonica potrebbe portare a un riscaldamento globale compreso tra 1,5 a 4,5 °C, portando il pianeta pericolosamente vicino o oltre i 2 gradi di riscaldamento, valore che potrebbe essere raggiunto entro la fine di questo secolo. Tuttavia, è possibile che queste previsioni siano in realtà ancora più elevate. A rivelarlo è uno studio coordinato dal Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University, a cui ha partecipato anche l’Istituto di scienze polari (Isp) del Consiglio nazionale delle ricerche. I risultati sono stati appena pubblicati sulla rivista Science.
“Sappiamo da tempo che aggiungere CO2 in atmosfera aumenta la temperatura” ha affermato Bärbel Hönisch, ricercatrice presso la Columbia University, e coordinatrice del lavoro, “ma questo lavoro ci offre un’idea molto più solida di quanto il clima sia sensibile su scale temporali lunghe”. Per ricostruire la concentrazione di CO2 nel passato geologico si utilizzano misure dirette, quali l’analisi delle bolle d’aria intrappolate nelle carote di ghiaccio delle zone polari, e misure indirette come lo studio dei segnali chimici nelle piante, minerali e organismi fossili. “La composizione isotopica dei gusci carbonatici di alcuni organismi planctonici conservati nei sedimenti marini o dello scheletro dei coralli ci permette di ricostruire il clima del passato”, prosegue Paolo Montagna, ricercatore del Cnr-Isp e coautore del lavoro. “Combinando misure dirette ed indirette provenienti da vari archivi geologici, siamo riusciti ad ottenere una ricostruzione dettagliata dei livelli di CO2 in atmosfera degli ultimi 66 milioni di anni. Questa ricostruzione è stata poi messa a confronto con la curva di evoluzione della temperatura per avere una visione più completa”.
Il periodo più antico, tra 66 e 56 milioni di anni fa, è stato a lungo un mistero, poiché la Terra era quasi completamente priva di ghiacci, ma alcuni studi indicavano livelli relativamente bassi di CO2. Tuttavia, la nuova ricerca ha stabilito che la concentrazione di CO2 in questo periodo era effettivamente elevata, oscillando tra 600 e 700 ppm (parti per milione). Lo studio ha confermato che il periodo più caldo fu circa 50 milioni di anni fa, con livelli di CO2 che hanno raggiunto 1600 ppm e temperature fino a 12°C più alte rispetto ad oggi. Circa 34 milioni di anni fa, la riduzione di CO2 ha portato allo sviluppo dell’attuale calotta glaciale antartica. In seguito, si è verificata un’ulteriore diminuzione della CO2, periodo in cui si sono evoluti gli antenati di molte specie vegetali e animali esistenti oggi. Questo evidenzia come le variazioni di questo gas climalterante abbiano un impatto non solo sul clima, ma anche sugli ecosistemi.
“La concentrazione attuale di CO2 ha superato i 420 ppm, segnando un incremento del 50% rispetto ai livelli ricostruiti alla fine del XVIII secolo” continua Montagna. “Valori così elevati non sono mai stati raggiunti negli ultimi 14 milioni di anni, e questa tendenza, se non mitigata, potrebbe portare le concentrazioni di CO2 a livelli di 600-800 ppm alla fine di questo secolo”.
La nuova ricostruzione, basata su un’analisi approfondita dei dati pregressi, rivela che un raddoppio della CO2 in atmosfera corrisponde ad un aumento della temperatura media globale di 5-8 °C. “Tale scenario evidenzia l’urgente necessità di affrontare le emissioni di gas serra e di elaborare strategie efficaci per contrastare il cambiamento climatico” conclude Hönisch.
Questo studio permetterà ai ricercatori di raffinare i modelli per le previsioni climatiche nei prossimi decenni e differenziare i processi che si manifestano su scale temporali diverse.
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