L’analisi di Federico Tonioni, psichiatra e psicoterapeuta, sul caso di Giovanna Pedretti, la ristoratrice morta dopo la bufera sui social
Prima la celebrità, poi il buio. Giovanna Pedretti, titolare della pizzeria ‘Le Vignole’, trovata ieri sera senza vita nel Fiume Lambro, è rimasta vittima della dicotomia popolarità-vergogna. Perché la sovraesposizione agli attacchi social può generare in una persona esattamente quello che causa una brutta figura: l’esperienza della vergogna.
“La vergogna è il crollo del velo di un’identità posticcia, una caduta a cui non c’è mai riparazione. E una volta che è fatta, è fatta. Di colpo la signora si è trovata in una situazione molto popolare, un picco da cui si può solo cascare. La vergogna fa crollare il velo di come gli altri ci percepiscono. Prima la ristoratrice è stata percepita in maniera molto positiva, riconosciuta per un gesto assolutamente nobile, e ne ha beneficiato la sua identità. Ma dietro questo gesto si celava probabilmente altro – forse una possibile strumentalizzazione per motivi ancora da comprendere – che l’ha collocata nel versante opposto. Il punto è capire qual è la struttura mentale rispetto a chi fa esperienza della vergogna, perché davanti a una brutta figura c’è chi reagisce con ironia, chi con aggressività, chi ha un esordio psicotico o chi arriva al suicidio”. Federico Tonioni, psichiatra e psicoterapeuta, conosce molto bene i pericoli del Web. Ha fondato e dirige dal 2009 il primo Ambulatorio in Italia sulla Dipendenza da Internet, divenuto nel 2016 Centro Pediatrico Interdipartimentale per la Psicopatologia da Web, presso la Fondazione Policlinico Gemelli di Roma.
Tonioni chiarisce che il sentimento di vergogna è proporzionale alla visibilità: “Oggi non riesci a contare le persone che ti possono vedere su un social. Quindi è molto più forte il viraggio dal sentirsi aggredito al sentirsi perseguitato, proprio perché non si ha contezza di quante persone possono vederci”.
I LEONI DA TASTIERA
Cosa spinge tanti utenti a dare addosso a una sconosciuta? “È rabbia pura- risponde il medico- In internet i corpi non sono vicini e di conseguenza l’aggressività non viene contenuta. Se litigo in chat sono più violento che in un incontro dal vivo e questo perché i corpi contengono gli impulsi. La rabbia che si vede nel cyberbullismo non si verifica mai dal vivo. Manca la dimensione concreta e poi c’è l’anonimato”.
L’ANALISI DEL CASO DELLA RISTORATRICE
La signora Pedretti “aveva un problema di bassa autostima, perché altrimenti avrebbe tollerato la frustrazione. L’autostima non viene dalle performance, ma è una questione di amore, di sentirsi amati quando si deludono le aspettative”, aggiunge Tonioni. Andava apprezzato in ogni caso, secondo Claudio Mencacci, presidente della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia (Sinpf) e past president della Società Italiana di Psichiatria, “quello che Giovanna Pedretti aveva detto. Vero o non vero, mi risulta difficile pensare che fosse tutta una messa in scena per aumentare il numero dei clienti della sua ristorazione. Spero che ci siano messaggi sui social che mettano sotto il giusto senso di indignazione comportamenti, veri o falsi, ma sempre da condannare riguardo persone disabili o che hanno fatto altre scelte di genere”. Il tema è la tempesta di cattiverie: “Questa persona è stata violata nel suo senso di riserbo, di ritegno, e anche di modestia, in una comunità dove ha impegnato tutto il suo lavoro. È stata ferita per delle parole che fanno sempre bene, parole di insegnamento- continua Mencacci- credo che questa condizione l’abbia fortemente stressata e colta in un momento di fragilità. Non tutti sono pronti ad affrontare un alto livello di sopportazione del cinismo. Certe esposizioni così cangianti, come un picco di visibilità e poi la caduta, soprattutto per chi non è addestrato, possano diventare una miccia esplosiva. Tutto questo ha rappresentato un fattore precipitante su una condizione che da clinico non posso non aver colto. Se i dati riportati erano corretti, eravamo alla vigilia di una ricorrenza familiare e affettiva molto dolorosa: il 12 gennaio di una decina di anni fa la donna aveva perso il fratello morto suicida a Sant’Angelo Lodigiano”.
L’ORARIO DEI PENSIERI DA DIMENTICARE
Inoltre il presidente della Sinpf nota un particolare rilevante: “Giovanna Pedretti si è allontanata alle 4 del mattino, orario in cui il nostro cervello è nel momento massimo della sua debolezza, in una visione cognitiva sempre negativa. È il momento della spazzatura. Consiglio alle persone di non ascoltare mai qualsiasi pensiero dalle 3 e mezza alle 5 di mattina. Le 4 di mattina rappresentano l’orario massimo in cui vengono commessi i gesti anticonservativi”. Queste poi “sono giornate delicate, quelle dell’inizio dell’anno, e oggi è il Blue Monday (il giorno più triste dell’anno)”, ricorda Mencacci.
ATTACCO SUI SOCIAL, COSA FARE
Come aiutare una persona sotto attacco social? Secondo Tonioni la persona “deve capire che non ha fatto cose per cui è a rischio di arresto e basta solo non andare sui social per non soffrire. Se intuisco che qualcuno dirà una cosa che mi farà male, come l’invidia, il più umano dei sentimenti, e da lì poi il pettegolezzo, non dovrò dare spazio a queste cose, che di fatto non esistono. Dipende tanto da noi, da quanto valore diamo a questi accadimenti. Le situazioni persecutorie le alimentiamo noi– conclude- ma non siamo come ci rappresentiamo su Instagram o Facebook, siamo molto più complessi”. Non è facile anticipare i gesti estremi. “La signora Pedretti non aveva dato segnali: in genere questi atti sono preceduti da lunghe notti insonni, da un continuo soverchiare– termina Mencacci- insisto sul suo senso di vergogna in un paese che ha tutta la natura della sua intimità. Una persona che da tutti era molto amata si sarà sentita assolutamente indifesa senza avere gli strumenti per rispondere. Questa impotenza insieme ad una ricorrenza dolorosa hanno creato il punto di rottura in un’ora, quelle 4 del mattino che rappresentano la massima fragilità”.