Fibrillazione atriale subclinica: secondo nuovi risultati, apixaban riduce il rischio di ictus ma con qualche rischio aggiuntivo
Nei pazienti con fibrillazione atriale subclinica rilevata con un dispositivo impiantabile, l’anticoagulante apixaban ha ridotto il rischio di ictus o embolia sistemica rispetto all’aspirina, al prezzo tuttavia di un numero superiore di sanguinamenti maggiori, secondo i risultati dello studio ARTESiA presentati al congresso 2023 dell’American Heart Association (AHA) e pubblicati contemporaneamente sul New England Journal of Medicine (NEJM).
I tassi di ictus o di embolia sistemica sono stati complessivamente bassi, ma con apixaban il rischio era ridotto dello 0,46%. Allo stesso tempo però è aumentato dello 0,77% il sanguinamento maggiore (secondo l’International Society Thrombosis and Haemostasis, ISTH), come ha riferito il relatore Jeff Healey del Population Health Research Institute presso la McMaster University di Hamilton, in Canada. Healey ha osservato che apixaban, dal punto di vista dell’efficacia, ha ridotto il rischio di ictus permanentemente invalidanti o fatali rispetto all’aspirina e, dal lato della sicurezza, non ha aumentato il sanguinamento fatale o intracranico.
«Considerando il rapporto rischi/benefici, la terapia anticoagulante dovrebbe essere presa in considerazione per i pazienti con fibrillazione atriale subclinica che presentano ulteriori fattori di rischio di ictus» ha concluso.
«I risultati dello studio suggeriscono che dovremmo sottoporre questi pazienti a un farmaco» ha commentato Luigi Di Biase dell’Albert Einstein College of Medicine presso il Montefiore Hospital, Bronx, New York, e membro della sezione di elettrofisiologia dell’American College of Cardiology. «Ma solleva anche dubbi sulla possibilità che anche approcci alternativi che potenzialmente comportano minori rischi di sanguinamento, come l’occlusione dell’appendice atriale sinistra, possano essere utili».
Tuttavia, ARTESiA è uno studio positivo e i risultati dovrebbero essere presi in considerazione nella gestione dei pazienti con fibrillazione atriale subclinica, soprattutto se si considera che il 24% dei partecipanti è passato alla terapia anticoagulante in aperto a causa dello sviluppo di episodi di fibrillazione atriale rilevati dal dispositivo di durata superiore a 24 ore o di fibrillazione atriale clinica, ha continuato. «Penso che questi pazienti avranno bisogno di cure. Se l’anticoagulazione è la soluzione o se possiamo pensare a qualcosa di diverso probabilmente è da stabilire, ma a oggi penso che l’anticoagulazione con un anticoagulante orale diretto, in questo caso apixaban, dovrà essere somministrata al paziente».
Lo studio ARTESiA
La fibrillazione atriale subclinica (brevi episodi rilevati da un dispositivo in grado di monitorare continuamente l’aritmia a lungo termine) è stata riscontrata in circa un terzo dei pazienti con un pacemaker o un defibrillatore cardioverter impiantabile (ICD), e in studi precedenti è stata associata a un aumento circa 2,5 volte superiore del rischio di ictus. Trattandosi di un valore inferiore a quello dell’aumento del rischio di ictus associato alla fibrillazione atriale clinica (circa 4,5 volte), c’è una questione aperta sull’opportunità o meno di utilizzare anticoagulanti orali in risposta alla fibrillazione atriale subclinica.
Per chiarire la questione è stato condotto lo studio ARTESiA, in 247 centri in 16 paesi, che ha arruolato 4.012 pazienti (età media 76,8 anni, 36,1% donne) con episodi di fibrillazione atriale subclinica della durata da 6 minuti a 24 ore su un pacemaker impiantato, un defibrillatore o un monitor cardiaco, più uno dei seguenti fattori: età ≥ 55 anni più un punteggio CHA2DS2-VASc ≥ 3, età ≥ 75 anni o storia di ictus. I partecipanti sono stati randomizzati a ricevere apixaban 5 mg due volte al giorno (o mezza dose se soddisfacevano i criteri riportati in scheda tecnica) oppure aspirina 81 mg/giorno.
Al basale, il punteggio medio CHA2DS2-VASc era 3,9. Circa due terzi dei pazienti stavano assumendo una terapia antipiastrinica. L’episodio medio più lungo di fibrillazione atriale subclinica nei 6 mesi precedenti era stato di circa 1,5 ore.
Con apibaxan rischio minore di ictus o embolia sistemica, ma più elevato di sanguinamento maggiore
I pazienti sono stati seguiti per una media di 3,5 anni e, in questo arco di tempo, apixaban ha ridotto il rischio di ictus o embolia sistemica in un’analisi ITT (intention-to-treat) (HR 0,63) e ha aumentato il rischio di sanguinamento maggiore ISTH in un’analisi durante il trattamento (HR 1,80). Il rischio di sanguinamento maggiore è rimasto più alto anche nella popolazione ITT (HR 1,36).
Secondo un’analisi di rischio-beneficio, con apixaban si verificherebbero 4,6 ictus o embolie sistemiche in meno e 4,1 sanguinamenti maggiori in più ogni 1.000 pazienti-anno rispetto all’aspirina.
Il relatore ha osservato che il 45% degli ictus nei pazienti trattati con aspirina erano permanentemente invalidanti o fatali e che questo tipo di ictus è stato ridotto con apixaban (0,27% vs 0,53%, HR 0,51). In termini di sanguinamenti maggiori, solo il 20% di quelli verificatisi nei pazienti trattati con apixaban erano associati a instabilità emodinamica o sintomi neurologici.
Non sono state invece riscontrate differenze tra i gruppi apixaban e aspirina in termini di decesso per tutte le cause (5,06% vs 4,82%, HR 1,04) o decesso per cause cardiovascolari (1,47% vs 1,53%, HR 0,96).
Benefici e rischi del trattamento da valutare con attenzione
«Credo che questo studio dimostri davvero che la terapia anticoagulante orale riduce il rischio di ictus ed embolia sistemica» ha commentato Christine Albert dello Smidt Heart Institute at Cedars-Sinai, Los Angeles, non coinvolta nello studio. «La questione è, considerato il rischio di sanguinamento, se ne vale la pena. Questo non significa che non ci siano dei sottogruppi di pazienti che possono trarne beneficio, ma bisogna valutare meglio i rischi e i benefici per il singolo paziente».
Jose Joglar del Southwestern Medical Center di Dallas, Texas, ha evidenziato il basso tasso di ictus complessivo e ha suggerito che l’anticoagulazione potrebbe essere più utile nei pazienti con punteggi CHA2DS2-VASc più alti, che dovranno essere testati in studi futuri. Ha dichiarato che per ora non implementerà i risultati dello studio nella sua pratica. Lo stesso per Manesh Patel della Duke University di Durham, Carolina del Nord. «Forse solo in caso di un rischio elevato o in presenza di qualche altro fattore determinante» ha detto, sottolineando che ci sono ancora molti pazienti con fibrillazione atriale clinica che non vengono trattati e che rappresentano un’area di opportunità quando si tratta di anticoagulazione.
Referenze
Healey JS, Lopes RD, Granger CB, et al. Apixaban for stroke prevention in subclinical atrial fibrillation. N Engl J Med. 2023 Nov 12.