Malattia di Crohn: una percentuale significativa di adulti trattati con mirikizumab ha ottenuto una risposta clinica alla settimana 12 e la remissione alla settimana 52
Una percentuale significativamente superiore al placebo di adulti affetti da malattia di Crohn attiva da moderata a severa, trattati con l’anticorpo monoclonale sperimentale mirikizumab, ha ottenuto una risposta clinica alla settimana 12 e la remissione alla settimana 52, secondo i risultati dello studio di fase III VIVID-1 annunciati dalla compagnia sviluppatrice Eli Lilly.
La malattia di Crohn è una forma di malattia infiammatoria cronica intestinale (IBD) che può causare un’infiammazione sistemica che si manifesta con dolore addominale, diarrea, febbre e perdita di peso. Può portare a ostruzione intestinale, fibrosi e altre complicazioni.
Mirikizumab è un antagonista dell’interleuchina (IL)-23 che si lega alla subunità p19 della citochina, attualmente indicato per il trattamento della colite ulcerosa attiva da moderata a grave in Giappone, Germania, Regno Unito e Canada. L’infiammazione dovuta all’eccessiva attivazione della via della IL-23 svolge un ruolo fondamentale nella patogenesi della colite ulcerosa e della malattia di Crohn.
Raggiunti tutti gli endpoint primari
Nello studio di fase III VIVID-1, in doppio cieco e con controllo attivo (ustekinumab), tutti i pazienti nei bracci mirikizumab dal periodo di induzione di 12 settimane hanno continuato con la terapia originale nella fase di mantenimento dello studio fino alla settimana 52. I soggetti nel gruppo placebo che non hanno raggiunto una risposta clinica alla settimana 12 (non-responder) sono stati passati al trattamento con mirikizumab in cieco.
Uno degli endpoint co-primari dello studio era la quota di partecipanti che otteneva una risposta clinica alla settimana 12 in base agli esiti riportati dal paziente (patient reported outcomes, PRO), definita come una diminuzione di almeno il 30% della frequenza delle feci e/o del dolore addominale con nessuno dei due punteggi peggiore rispetto al basale, e in base alla remissione clinica definita da un punteggio totale del Crohn’s Disease Activity Index (CDAI) inferiore a 150 alla settimana 52 rispetto al placebo.
Nel braccio mirikizumab, una percentuale significativamente più elevata di pazienti ha ottenuto una risposta clinica alla settimana 12 e una remissione clinica alla settimana 52 rispetto al placebo (45,4% vs 19,6%, p<0,000001).
L’altro endpoint co-primario era la percentuale di partecipanti che otteneva una risposta clinica basata sui PRO alla settimana 12 e una risposta endoscopica definita come una riduzione di almeno il 50% rispetto al basale nel punteggio totale del Simple Endoscopic Score – Crohn’s Disease ([SES-CD) alla settimana 52 rispetto al placebo.
Nel braccio mirikizumab, una percentuale statisticamente più elevata di pazienti ha ottenuto una risposta clinica alla settimana 12 e una risposta endoscopica alla settimana 52 rispetto al placebo (38,0% contro 9,0%, p<0,000001).
Raggiunti tutti i principali endpoint secondari
Nello studio mirikizumab ha raggiunto tutti gli endpoint secondari singoli e compositi più importanti alla settimana 52 in confronto al placebo (p<0,000001).
In particolare ha raggiunto la remissione clinica il 54,1% dei soggetti in trattamento attivo in confronto al 19,6% di quelli sottoposti al placebo (p<0,000001). Inoltre per l’endpoint della remissione clinica (definito come CDAI <150), mirikizumab ha dimostrato non inferiorità rispetto a ustekinumab (margine di non inferiorità del 10%).
Riguardo all’endpoint della risposta endoscopica (riduzione ≥50% rispetto al basale nel punteggio totale SES-CD) alla settimana 52, mirikizumab non ha raggiunto la superiorità rispetto a ustekinumab pur avendo ottenuto risultati numericamente più elevati.
La sicurezza complessiva è stata coerente con il profilo di sicurezza noto di mirikizumab e la frequenza degli eventi avversi gravi è stata maggiore nel braccio placebo. Gli effetti collaterali più comuni emersi dal trattamento riportati tra i pazienti in trattamento attivo sono stati Covid-19, anemia, artralgia, cefalea e infezione del tratto respiratorio superiore. Ulteriori eventi avversi di interesse segnalati tra i pazienti trattati con mirikizumab includevano infezioni, reazioni nel sito di iniezione, ipersensibilità, aumento degli enzimi epatici, depressione e pensieri suicidi. Nel braccio attivo non sono stati osservati eventi avversi cardiaci maggiori.
Sulla base di questi risultati l’azienda prevede di presentare alla Fda una domanda di immissione in commercio per mirikizumab per il trattamento della malattia di Crohn nel 2024.