Nei pazienti con leucemia linfatica cronica non trattati in precedenza, un terapia di durata fissa con la combinazione venetoclax-obinutuzumab è efficace e sicura
Nei pazienti con leucemia linfatica cronica non trattati in precedenza, un terapia di durata fissa con la combinazione venetoclax–obinutuzumab è efficace e fattibile in sicurezza sia nei pazienti fit sia in quelli unfit. Lo dimostrano i risultati di un’analisi dei dati combinati degli studi CLL13 e CLL14, presentata al recente congresso dell’American Society of Hematology (AS), a San Diego.
I dati di efficacia del trattamento sono paragonabili nelle due popolazioni, così come quelli relativi alle tossicità. L’analisi evidenzia, inoltre, che nei due studi ridurre l’intensità di dose di venetoclax non ha influito negativamente sui tassi di sopravvivenza libera da progressione (PFS).
Valutare l’impatto della fitness e delle riduzioni di dose di venetoclax
La terapia di durata fissa con la combinazione dell’inibitore di BCL-2 venetoclax più l’anticorpo anti-CD20 obinutuzumab è attualmente uno degli standard di cura per i pazienti con leucemia linfatica cronica naïve al trattamento, proprio grazie ai risultati dei due studi di fase 3 CLL14, condotto su una popolazione di pazienti anziani e unfit, e CLL13, che ha arruolato pazienti più giovani e in forma.
Tuttavia, spiegano nella loro introduzione gli autori, coordinati da Othman Al-Sawaf, del Dipartimento di Medicina interna
dell’Università di Colonia, finora non era chiaro se l’età e/o la fitness avessero un impatto sulla tollerabilità e l’efficacia della combinazione venetoclax-obinutuzumab. Inoltre, aggiungono gli autori, non era ancora stato valutato l’impatto delle riduzioni della dose sulla risposta e sulla sopravvivenza.
Da qui, il razionale del lavoro presentato al congresso americano da Al-Sawaf e i colleghi, un’analisi dei dati aggregati degli studi CLL13 e CLL14 in cui si descrive in dettaglio la tossicità e l’efficacia di venetoclax-obinutuzumab nelle due popolazioni di pazienti arruolate in questi trial.
Analisi degli studi CLL14 e CLL13
Nella loro analisi, gli autori hanno incluso pazienti che erano stati assegnati al braccio venetoclax-obinutuzumab negli studi CLL14 (2015-2016) e CLL13 (2016-2019) ed erano stati trattati con almeno una dose del farmaco in studio e classificati come unfit (sulla base di un punteggio della Cumulative Illness Rating Scale [CIRS] > 6 e/o di una clearance della creatinina < 70 ml/min) o fit. Sono stati, invece, esclusi i pazienti con aberrazioni di TP53, al fine garantire un bilanciamento adeguato delle caratteristiche delle popolazioni dei due studi.
La PFS e la sopravvivenza globale (OS) sono state analizzate mediante la metodologia di Kaplan-Meier e il modello dei rischi proporzionali di Cox.
L’intensità della dose di venetoclax, invece, è stata calcolata come frazione relativa all’interno dei cicli di trattamento somministrati (escludendo i pazienti che hanno interrotto il trattamento a causa della progressione della malattia o del decesso).
Oltre 400 pazienti analizzati
In totale, per quest’analisi gli autori hanno considerato 410 pazienti, di cui 228 dello studio CLL13 e 182 del CLL14. Il tempo mediano di osservazione è stato di 49 mesi (intervallo inter quartile [IQR] 37,0-65,8 mesi) complessivamente e di 38,9 mesi (IQR 33,8-46,3) per lo studio CLL13 e 66,7 mesi per il CLL14 (IQR 64,4-70,8).
L’età mediana dei pazienti al momento dell’arruolamento era di 67 anni (IQR 58-73) e il 55,7% è stato classificato come unfit (età mediana: 72 anni) il 44,3% come fit (età mediana: 58 anni).
Efficacia indipendente dalla fitness
Globalmente, l’efficacia della combinazione venetoclax-obinutuzumab è risultata simile nelle due popolazioni analizzate, indipendentemente dalla fitness dei pazienti e senza differenze significative, sia per quanto riguarda i tassi di risposta e la profondità della risposta sia per gli outcome di sopravvivenza.
Infatti, il tasso di risposta obiettiva (ORR) è risultato dell’89,5% nei pazienti unfit e 96,1% in quelli fit (P = 0,011), mentre il tasso di risposta completa è risultato rispettivamente del 51,8% e 54,1% (P = 0,63). Inoltre, il tasso di non rilevabilità della malattia minima residua (MRD, misurata con una sensibilità pari a 10-4) è risultato dell’80,3% nei pazienti unfit e 85,1% in quelli fit (P = 0,2).
Il tasso di PFS a 3 anni è risultato dell’86,4% nei pazienti non unfit e 87,5% in quelli fit (HR 1,12, 95%-CI 0,70-1,81, p=0,63, B), mentre il tasso di OS a 3 anni è risultato rispettivamente del 91,8% e 96,9 (HR 2,02, IC 95% 0,90-4,55, P = 0,088).
Profilo di sicurezza paragonabile nei pazienti fit e unfit
Anche il profilo di sicurezza è risultato simile nei due gruppi. Infatti, l’incidenza degli eventi avversi (analizzati per un periodo fino a 28 giorni dopo la fine del trattamento) è risultata nel complesso comparabile, a prescindere dalla fitness. Alcuni eventi aversi, quali reazioni infusionali, affaticamento e infezioni, sono risultati addirittura più frequenti nei pazienti fit.
Gli eventi avversi (di qualsiasi grado) considerati di interesse includevano la neutropenia, riscontrata nel 62,7% dei pazienti unfit e nel 56,9% dei pazienti fit (con un’incidenza della neutropenia febbrile pari al 4,4% in ciascun gruppo).
Le reazioni infusionali hanno avuto un’incidenza rispettivamente del 44,3% contro 56,9%, mentre l’affaticamento è stato segnalato rispettivamente nel 15,8% dei pazienti contro 35,9% e la cefalea rispettivamente nel 9,2% contro 18,2%.
Si sono sviluppate infezioni rispettivamente nel 57,5% e nel 69,6% dei pazienti e la rinofaringite, in particolare, è stata segnalata rispettivamente nel 10,5% e 24,3% dei pazienti.
Altri eventi avversi comuni sono risultati bilanciati come frequenza nelle due popolazioni.
Ridurre la dose di venetoclax non impatta sulla PFS
Nella loro analisi, Al-Sawaf e i colleghi hanno valutato anche l’effetto di eventuali variazioni della dose di venetoclax sull’efficacia del trattamento, senza evidenziare un impatto sostanziale delle riduzioni del dosaggio del farmaco sul tasso di PFS.
I pazienti che hanno richiesto una riduzione del dosaggio al di sotto dell’80% rispetto alla dose prevista da protocollo (per cause diverse dalla progressione della malattia o il decesso) sono stati complessivamente il 15,7% (il 14,7% fra i pazienti unfit e il 16,5% fra quelli fit).
L’ORR è risultato dell’82,5% nei pazienti trattati con un’intensità di dose di venetoclax inferiore all’80% rispetto a quella prevista e del 95,9% in quelli trattati con un’intensità di dose uguale o superiore all’80% rispetto a quella prevista (P < 0,001), con un tasso di risposta completa rispettivamente del 42,9% e 55,5% (P = 0,066) e un tasso di non rilevabilità della MRD rispettivamente del 76,2% e 85,3% (P = 0,073).
Il tasso di PFS a 3 anni dalla fine del trattamento è risultato, invece, rispettivamente dell’81% e 82,2% (HR 1,47, 95%-CI 0,84-2,57, P = 0,175).
Questo risultato, concludono dunque Al-Sawaf e i colleghi, suggerisce che eventuali variazioni di dosaggio di venetoclax potrebbero avere un impatto limitato sugli esiti clinici a lungo termine.
Bibliografia
O. Al-Sawaf, et al. The Impact of Fitness and Dose Intensity on Safety and Efficacy Outcomes after Venetoclax-Obinutuzumab in Previously Untreated Chronic Lymphocytic Leukemia. Blood (2023) 142 (Supplement 1):4639; doi:10.1182/blood-2023-188827. https://ashpublications.org/blood/article/142/Supplement%201/4639/499382/The-Impact-of-Fitness-and-Dose-Intensity-on-Safety?searchresult=1