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Sindrome VEXAS: inibitori della Janus chinasi e dell’interleuchina-6 efficaci

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Gli inibitori della Janus chinasi e dell’interleuchina-6 sarebbero superiori ad altri DMARD come terapia di prima linea per la sindrome VEXAS

Stando ai risultati di uno studio presentato nel corso del Congresso annuale dell’American College of Rheumatology, gli inibitori della Janus chinasi e dell’interleuchina-6 sarebbero superiori ad altri DMARD come terapia di prima linea per la sindrome VEXAS.

Descritta solo 3 anni fa, la sindrome VEXAS è una malattia autoimmune che colpisce principalmente gli uomini di età superiore ai 50 anni, dovuta ad una mutazione somatica acquisita nel gene UBA1 nelle cellule staminali ematopoietiche. A causa della recente descrizione della malattia, non esistono ad oggi linee guida per il trattamento di questi pazienti, con alcuni dati provenienti da studi retrospettivi molto piccoli. Prima di 3 anni fa, molti pazienti non avevano nemmeno una diagnosi chiara e ora ci sono diversi modi per trattare questi pazienti in tutto il mondo.

Disegno dello studio
Per valutare l’efficacia e la sicurezza delle terapie “a target” nei pazienti con sindrome di VEXAS, gli autori dello studio hanno preso in esame i dati dei pazienti del registro nazionale francese VEXAS da novembre 2020 ad agosto 2023.

Alla fine, i ricercatori hanno incluso un totale di 110 pazienti con sindrome di VEXAS geneticamente provata a cui era stata somministrata almeno una terapia “a target”. Alla maggior parte dei pazienti della coorte sono stati prescritti l’inibitore della Jak chinasi ruxolitinib o l’inibitore del recettori di IL-6 tocilizumab, rispettivamente nel 40% e nel 26% dei casi.  Altre terapie “ a target” oggetto di valutazione sono state l’inibitore dell’IL-1 anakinra (17%), gli inibitori del TNF (10%) e altri farmaci non specificati (6%). Il 48% dei pazienti della coorte era stato sottoposto a più di un trattamento “a target”.

I ricercatori hanno definito la risposta completa al trattamento come una remissione clinica con livelli di CRP inferiore a 10 mg/L e dosi giornaliere di corticosteroidi inferiori a 10 mg, mentre la risposta parziale è stata definita come una remissione clinica con una riduzione del 50% dei livelli di CRP e del dosaggio di corticosteroidi.

Risultati principali
Dall’analisi dei dati è emerso che la risposta complessiva a 3 mesi è stata più elevata per gli inibitori dell’IL-6 (32%) e i Jak inibitori (24%), rispetto agli inibitori dell’IL-1 (9%), agli inibitori del TNF e ad altre terapie mirate (0%).
A 6 mesi, il tasso di risposta complessivo per gli inibitori della JAK era aumentato marginalmente, raggiungendo il 30%, mentre il tasso di risposta dell’IL-6 era sceso al 26%.

I ricercatori hanno osservato che, rispetto agli inibitori di Jak chinasi, le altre terapie “a target” presentavano un rischio significativamente più elevato di interruzione del trattamento. Il trattamento è stato interrotto nel 28% dei pazienti trattati con Jak inibitori rispetto al 69% dei pazienti trattati con  inibitori di IL-6.

Tuttavia, i ricercatori hanno notato che gli eventi avversi gravi erano significativamente più elevati per gli inibitori dell’IL-6 rispetto ai Jak inibitori (31% contro 19%).

Riassumendo
Nel commentare i risultati, preliminari e necessitanti di conferme ulteriori, i ricercatori si sono detti convinti della simile efficacia di ruxolitinib e tocilizumab nei pazienti con sindrome VEXAS. Tocilizumab, inoltre, potrebbe rappresentare una buona alternativa a ruxolitinib in presenza di pazienti anziani e in quelli con citopenia o infezioni.

Nel concludere la presentazione al Congresso, i ricercatori hanno annunciato l’intenzione di realizzare un trial clinico randomizzato per mettere a confronto tocilizumab con ruxolitinib.

Bibliografia
Hadjadj J, et al. Abstract L03. Presented at: ACR Convergence 2023; Nov. 10-15, 2023; San Diego.

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