Carcinoma a cellule renali avanzato o metastatico: nivolumab per via sottocutanea si è dimostrato non inferiore rispetto a quello per via endovenosa
Nei pazienti con carcinoma a cellule renali a cellule chiare avanzato o metastatico, già trattato, il trattamento con nivolumab per via sottocutanea si è dimostrato non inferiore rispetto a quello per via endovenosa sia per quanto riguarda i due endpoint primari di farmacocinetica sia per quanto riguarda il tasso di risposta obiettiva (ORR), con un profilo di sicurezza comparabile. La dimostrazione della sostanziale equivalenza delle due formulazioni arriva dai risultati dello studio di fase 3 CheckMate-67T, appena presentati all’ASCO Genitourinary Cancers Symposium (abstract LBA360).
Nivolumab sottocute offre un’opzione più rapida, semplice e conveniente per la somministrazione, che può aiutare a migliorare l’accesso alle cure e a ridurre le disparità. Nello studio CheckMate-67T, in particolare, il tempo medio di somministrazione di nivolumab sottocutaneo è stato al massimo di 5 minuti.
Inoltre, è stato dimostrato che la formulazione sottocute di nivolumab può ridurre il rischio di reazioni di ipersensibilità.
«Un progresso rivoluzionario»
Presentando i risultati, Saby George, del Roswell Park Comprehensive Cancer Center di Buffalo , ha definito lo sviluppo della formulazione sottocutanea di nivolumab «un progresso rivoluzionario» per medici e pazienti. «Avere la possibilità di somministrare l’immunoterapia per via sottocutanea potrebbe senza dubbio ridurre il carico del trattamento che i pazienti oncologici attualmente devono affrontare, oltre a contribuire a massimizzare l’efficienza all’interno dei sistemi sanitari, liberando le poltrone per infusione, così da poter fornire a più pazienti i farmaci di cui hanno bisogno, in tempi rapidi», ha sottolineato l’autore.
Ulka Vaishampayan, dell’Università del Michigan, invitata dagli organizzatori a discutere lo studio, ha affermato che «sulla base di questi risultati, la sostituzione di nivolumab sottocutaneo laddove si utilizza nivolumab per via endovenosa come agente singolo è ragionevole e costituisce un passo nella giusta direzione verso l’ottimizzazione della terapia del carcinoma a cellule renali».
L’esperta ha aggiunto, tuttavia, che al momento non si è certi di come la formulazione sottocute possa influenzare l’esposizione al farmaco quando questo viene utilizzato in combinazione, come nei regimi nivolumab più ipilimumab o cabozantinib più nivolumab, che attualmente rappresentano lo standard di cura per la terapia di prima linea del carcinoma a cellule renali.
Coformulazione con la ialuronidasi ricombinante
Nivolumab per via endovenosa, da solo o in combinazione con altri agenti, rappresenta attualmente lo standard di cura per il trattamento del carcinoma a cellule renali in stadio avanzato e di numerosi altri tumori, ma c’è un interesse crescente per la possibilità di avere a disposizione altre vie di somministrazione degli anticorpi terapeutici, compreso lo stesso nivolumab.
Formulazioni sottocute di altri anticorpi, fra cui rituximab e trastuzumab, sono state approvate dalle agenzie regolatorie per indicazioni selezionate e sono generalmente preferite dai pazienti rispetto alla somministrazione endovenosa grazie ai loro numerosi vantaggi.
Gli anticorpi terapeutici in versione sottocute, compreso nivolumab, sono stati sviluppati come coformulazione con la ialuronidasi ricombinante, un enzima che consente una più semplice somministrazione dei grandi volumi di liquidi necessari per questi farmaci.
Lo studio CheckMate-67T
Nivolumab sottocute è stato inizialmente valutato nello studio di fase 1/2 CheckMate-8KX, che ha fornito una dimostrazione preliminare della sicurezza di questa formulazione e posto le basi per la sua successiva valutazione in uno studio di fase 3.
Sulla base dei risultati dello studio CheckMate-8KX e di dati storici, i ricercatori hanno selezionato una dose fissa pari a 1200 mg per lo studio CheckMate-67T, intrapreso per valutare la non inferiorità di nivolumab sottocute in pazienti con carcinoma a cellule renali già trattati.
CheckMate-67T (NCT04810078) è uno studio multicentrico internazionale, randomizzato, in aperto, condotto su pazienti con carcinoma a cellule renali avanzato o metastatico già trattati in precedenza con uno o due regimi di terapia sistemica.
I partecipanti sono stati assegnati al trattamento con nivolumab sottocute alla dose di 1200 mg più la ialuronidasi ricombinante ogni 4 settimane (248 pazienti) o nivolumab per via endovenosa 3 mg/kg ogni 2 settimane (247 pazienti).
Il tempo mediano di somministrazione di nivolumab sottocute è risultato non superiore a 5 minuti, mentre una somministrazione endovenosa standard di nivolumab richiede più di 30 minuti, ha sottolineato George.
Centrati i due endpoint primari
I risultati hanno soddisfatto i criteri di non inferiorità della somministrazione sottocutanea rispetto a quella endovenosa per i due endpoint primari farmacocinetici: la concentrazione sierica media nell’arco di 28 giorni (Cavgd28) e la concentrazione minima nel siero allo stato stazionario (Cminns).
La media geometrica della Cavgd28 è risultata pari a 77,373 μg/ml con nivolumab sottocute e 36,875 μg/ml con nivolumab endovena, un rapporto di 2,098 (IC al 90% 2,001-2,200), mentre la media geometrica della Cminns è risultata pari rispettivamente a 122,227 μg/ml e 68,901 μg/ ml, un rapporto di 1,774 (IC al 90% 1,633, 1,927). Il limite inferiore dell’IC al 90% di entrambi i parametri farmacocinetici ha superato la soglia predefinita di non inferiorità, che era pari a 0,8.
La formulazione sottocutanea si è rivelata non inferiore a quella endovena anche per quanto riguarda l’ORR valutato centralmente da revisori indipendenti in cieco (BICR), che era l’endpoint secondario chiave del trial, con un ORR rispettivamente del 24,2% contro 18,2% (RR 1,33, IC al 95% 0,94-1,87). Il limite inferiore dell’IC al 95% ha superato la soglia fissata per non inferiorità, che era pari a 0,6.
Anche altri endpoint secondari sono risultati simili con nivolumab sottocute e nivolumab endovena, fra questi il tempo mediano di risposta (3,7 mesi contro 3,68 mesi) e la mediana della sopravvivenza libera da progressione (PFS) (7,23 mesi contro 5,65 mesi; HR 1,06 IC al 95% 0,84-1,34).
Attenzione agli anticorpi anti-farmaco
Anticorpi antifarmaco (ADA) si sono sviluppati nel 22,8% dei pazienti trattati con nivolumab per via sottocutanea e nel 7% dei pazienti trattati con nivolumab per via endovenosa. George ha affermato che «gli anticorpi anti-nivolumab sono stati osservati in una frazione di pazienti, ma ciò non ha comportato un impatto clinicamente significativo sulla farmacocinetica, l’efficacia o la sicurezza».
Tuttavia, Vaishampayan ha commentato dicendo che «il tasso più elevato di ADA può indicare un meccanismo di resistenza a nivolumab e potrebbe richiedere il monitoraggio della progressione quando si utilizza la formulazione sottocute».
Profilo di sicurezza sovrapponibile
Il profilo sicurezza di nivolumab sottocute è risultato sostanzialmente coerente con quello della formulazione endovenosa, ha riferito George.
L’incidenza complessiva degli eventi avversi correlati al trattamento è risultata del 59,1% (con il 9,7% dei casi di grado 3/4) con nivolumab sottocute e del 64,5% (con il 14,7% % dei casi di grado 3/4) con nivolumab endovena.
Le reazioni di ipersensibilità sono risultate meno frequenti con la somministrazione sottocute rispetto a quella endovena: 1,2% contro 3,7%. Le reazioni locali sono state, invece, più frequenti con nivolumab sottocute rispetto a nivolumab endovena – 8,1% contro 2% –, ma sono state transitorie e hanno avuto una durata media di 3,02 giorni.
Nel braccio assegnato a nivolumab sottocute si sono registrati tre decessi (due per insufficienza respiratoria e uno per arresto cardiorespiratorio), mentre nel braccio assegnato alla somministrazione endovenosa se n’è registrato uno.
Accesso alle cure facilitato
George ha sottolineato ripetutamente che l’introduzione di un’opzione sottocutanea per la somministrazione di nivolumab potrebbe contribuire a migliorare l’accesso alle cure e a ridurre le disparità per i pazienti oncologici, riducendo i tempi di somministrazione e consentendo la somministrazione anche in semplici ambulatori.
«Ciò consentirà di aumentare la disponibilità delle poltrone infusionali, riducendo i tempo di attesa per i pazienti», ha ribadito l’autore, aggiungendo che per gli abitanti in zone rurali, recarsi a un ambulatorio più vicino al proprio domicilio per il trattamento sottocute può essere più semplice che recarsi in un centro di infusione più grande, ma più distante.
La Vaishampayan ha osservato, tuttavia, che non sono stati riportati i risultati relativi alla sopravvivenza globale e che con l’iniezione sottocute i costi per i pazienti potrebbero essere più elevati. Undato, quest’ultimo, tutto da dimostrare.