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Coronaropatia: un aiuto da imaging seriale con tomografia a emissione di positroni

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Minore rischio di coronaropatia e migliori esiti clinici grazie a strategia guidata dall’imaging seriale con tomografia a emissione di positroni

L’utilizzo dell’imaging PET (tomografia a emissione di positroni) seriale per guidare le decisioni di trattamento relative alla rivascolarizzazione, insieme a una strategia completa di controllo dei fattori di rischio e cambiamenti nello stile di vita, riduce significativamente il rischio di malattia coronarica e migliora l’aderenza alle sane abitudini per 5 anni di follow-up, secondo i risultati dello studio randomizzato CENTURY, presentati a Toronto (Canada), nel corso del meeting annuale 2023 dell’American Society of Nuclear Cardiology (ASNC).

Lo studio suggerisce che questo approccio integrato, se confrontato con la pratica standard, può ridurre gli eventi cardiovascolari avversi maggiori (MACE) – gli endpoint secondari dello studio – riducendo al contempo il numero di pazienti inviati in clinica per la rivascolarizzazione.

Nils Johnson, della McGovern Medical School at UTHealth presso il Memorial Hermann Hospital del Texas Medical Center di Houston), che ha presentato i dati all’ASNC, ritiene che l’intervento intensivo guidato dalla PET possa essere replicato nella pratica del mondo reale.

Lo studio CENTURY, avviato nel 2008, era in anticipo sui tempi in quanto «siamo stati molto più aggressivi sulla gestione dei lipidi» ha detto Johnson. «Penso che quello che stavamo facendo allora sia stato davvero supportato dall’evoluzione che abbiamo visto, caratterizzato da una gestione dei lipidi più aggressiva anche con i nuovi agenti».

«Anche il controllo più aggressivo del diabete ha avuto una grande parte in questo fenomeno» ha aggiunto, «attraverso l’opera dei dietologi che consigliavano i pazienti e cercavano poi di ‘mettere a punto’ i valori di emoglobina A1C».

L’obiettivo dello studio CENTURY era quello di determinare se una strategia guidata dall’imaging – che includesse cambiamenti intensivi dello stile di vita e una gestione medica ottimale per raggiungere specifici obiettivi relativi ai fattori di rischio – potesse ridurre il rischio del paziente e migliorare gli esiti clinici.

Nel braccio di intervento, l’imaging quantitativo di perfusione miocardica PET è stato eseguito al basale, a 2 e a 5 anni, con scansioni rivalutate per guidare le decisioni interventistiche. Questi pazienti avevano anche accesso regolare ogni pochi mesi a infermieri, nutrizionisti e altro personale di gestione al fine di aiutare i pazienti stessi a rimanere in regola con la terapia medica e uno stile di vita sano.

Anche nel braccio di trattamento standard i pazienti sono stati sottoposti a imaging PET, poi hanno avuto una breve revisione preventiva al basale e tutti i trattamenti sono stati gestiti dal medico di medicina generale. Sia i medici che i pazienti erano in cieco risetto ai risultati della scansione PET, a meno che non fosse necessario immediatamente un intervento coronarico percutaneo (PCI) o chirurgico di bypass aorto-coronarico (CABG).

Alla fine, lo studio ha incluso 1.028 pazienti ad alto rischio con malattia coronarica (CAD) subclinica, sospetta o stabilita randomizzati alle due strategie di trattamento tra il 2009 e il 2017. Tra quelli randomizzati, il 42% aveva una storia di CAD, incluso un 26,7% con pregresso PCI, un 9,7% con CABG precedente e un 16,1% con pregresso infarto miocardico (IM).

«Abbiamo terminato lo studio con una popolazione di pazienti rappresentativa di molte delle nostre casistiche cliniche» ha detto Johnson.

Obiettivo primario: ridurre il rischio cumulativo del paziente
L’endpoint primario di CENTURY era la variazione del punteggio di rischio cumulativo (descritto nel disegno e razionale dello studio) (https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0002870321000788), composto da 10 fattori di rischio modificabili, tra cui l’aderenza a una dieta sana, e sei fattori di rischio non modificabili. A 5 anni, i punteggi di rischio finali erano 15,4 nel gruppo di intervento e 16,7 nel gruppo di trattamento standard, con variazioni rispetto al basale rispettivamente di -1,1 e 0,33 (P < 0,0001).

«I pazienti seguiti con monitoraggio PET si sono ‘spostati verso il basso’, nel senso che i loro punteggi di rischio sono diminuiti nel tempo, oltre a essere diventati più sani, mentre il gruppo standard è andato nella direzione opposta» ha affermato Johnson.

Il rischio di MACE era significativamente inferiore a 5 anni nel braccio di strategia globale guidato dalla PET (20,5% vs 29,9%; P = 0,0006), così come lo sono stati i rischi individuali di morte, morte/IM e rivascolarizzazione coronarica. Da notare che il tasso di rivascolarizzazione era più alto nel braccio di cura standard (9,6% vs 14,8%; P = 0,01).

Johnson ha aggiunto che, nonostante 5 anni di follow-up siano già «sopra la media» per uno studio cardiovascolare, i ricercatori stanno pianificando di monitorare i pazienti per più di un decennio. Una prima istantanea di questi dati a lungo termine suggerisce che la strategia globale continua a essere associata a una minore mortalità rispetto al trattamento standard.

Valutata la capacità di flusso coronarico con esame di perfusione a riposo
Come parte integrante dello studio, i ricercatori hanno quantificato la capacità di flusso coronarico mediante imaging di perfusione PET a riposo, che è un modo per valutare la gravità fisiologica della CAD.

Quando i pazienti non avevano una capacità di flusso coronarico gravemente ridotta alla PET, il tasso di rivascolarizzazione era estremamente basso (0,4%), ha spiegato Johnson, sottolineando che tali pazienti sono candidati appropriati per la terapia medica. Anche quando la capacità di flusso coronarico è risultata gravemente ridotta, la rivascolarizzazione è stata eseguita raramente (10,4%).

«Ciò evidenzia che avere una bassa capacità di flusso coronarico è un criterio necessario, ma non sufficiente, per la gestione invasiva» ha affermato l’esperto. «Ci sono infatti altri fattori che vanno di pari passo, come la dimensione del difetto di perfusione, i sintomi del paziente e altri parametri clinici che consideriamo nel complesso per prendere questo tipo di decisioni».

Lo studio ISCHEMIA finanziato dal National Institutes of Health e pubblicato nel 2020 sul New England Journal of Medicine, aveva rilevato che una strategia invasiva con rivascolarizzazione non era migliore della gestione conservativa in pazienti con ischemia da moderata a grave nei test da sforzo, e questo aveva portato alcuni a mettere in discussione il ruolo dell’imaging nucleare nei pazienti con CAD cronica.

Analisi successive hanno anche mostrato che la gravità dell’ischemia non era predittiva del rischio di morte o IM nell’arco di 4 anni di follow-up, così come che non vi era stato un beneficio dalla rivascolarizzazione nei pazienti con ischemia più estesa.

Johnson ha sottolineato che un terzo dei pazienti nello studio CENTURY aveva un difetto di perfusione da stress all’imaging PET, reperto che avrebbe innescato un invio per angiografia coronarica nella maggior parte delle cliniche.

Con la metrica della capacità di flusso coronarico, però, Johnson e colleghi sono stati in grado di ridurre significativamente il numero di pazienti inviati al laboratorio di cateterismo per la rivascolarizzazione, suggerendo che «l’aggiunta di flusso coronarico stratificato al di sopra della mappatura della captazione relativa» può servire come “gatekeeper” iniziale per selezionare in modo appropriato i pazienti per la terapia invasiva, ha affermato lo specialista.

Quale spiegazione per i benefici rilevati?
Riguardo al fattore che guida la riduzione degli esiti clinici negativi, i ricercatori dichiarano di non poter dirlo con certezza. Per esempio, l’entità del cambiamento del colesterolo LDL o della pressione arteriosa non può spiegare la riduzione dei MACE, né può spiegare la migliore distribuzione (deployment) della rivascolarizzazione coronarica. Johnson sospetta che «il metodo apporti un po’ di beneficio sotto molti aspetti diversi» del piano di gestione globale.

Lo studio CENTURY, ha aggiunto, è stato anche uno dei più grandi studi di intervento dietetico condotti fino ad oggi, osservando che il suo gruppo esaminare più attentamente questi dati per determinare quali aspetti possano aver avuto un maggiore impatto sugli esiti clinici.

Il commento del presidente dell’ASNC
La capacità di flusso coronarico non è diversa dalla riserva di flusso coronarico (CFR) valutata nel laboratorio di cateterismo; coglie però non solo la CFR ma anche la quantità di stress o di flusso sanguigno miocardico iperemico, ha commentato Mouaz Al-Mallah, dell’Ospedale Houston Methodist e presidente dell’ASNC.

Lo studio CENTURY, ha affermato, dimostra che questa strategia basata sull’imaging con PET cardiaca può avere un grande impatto non solo sulle decisioni di gestione, ma anche sugli outcome clinici.

«Ciò che si vede in questo studio è che non solo si sta riducendo il rischio, il che è un esercizio matematico, ma che potenzialmente si stanno salvando vite umane» ha sottolineato.

Fonte:
Johnson N, on behalf of the CENTURY investigators. The CENTURY trial: PET-guided RCT of CAD management. Presented at: ASNC 2023. Toronto, Canada.

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